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Quello che segue è un lavoro dell'economista Alberto Bagnai, messo nero su bianco assieme alla professoressa Brigitte Granville e al ricercatore Christian Mongeau pubblicato da Libero Quotidiano (http://www.liberoquotidiano.it/), a proposito di una eventuale uscita dell'Italia dall’Euro.

«Quali sarebbero le conseguenze per l’Italia dal suo abbandono dell’euro? La discussione su questa eventualità si è accesa molto di recente, dal momento che i problemi strutturali dell’eurozona permangono e appaiono ancora lontani da una loro risoluzione. Dopo il paper di Mediobanca sugli effetti per l’Italia dell’uscita dall’euro, è interessante notare su questo tema un altro lavoro partorito dal professor Alberto Bagnai, uno degli economisti più noti in questo dibattito, assieme alla professoressa Brigitte Granville e al ricercatore Christian Mongeau.
L’analisi in questione si intitola “Ritiro dell’Italia dall’eurozona: simulazioni stocastiche di un modello strutturale macroeconometrico”, e stima gli effetti dell’uscita dalla moneta unica per l’Italia su alcuni importanti indici macroeconomici. Cosa accade dunque una volta scelta la strada dell’uscita dall’euro?»

“La svalutazione della lira”
«Uno dei primi scenari presi in considerazione dall’analisi è la svalutazione della nuova lira. Se c’è comune accordo che questa senz’altro avverrà, le previsioni fornite dal modello econometrico utilizzato dagli autori tendono a precisare che il riallineamento del cambio non sarà della stessa entità rispetto a ogni singola valuta estera, ma varierà a seconda delle aree di riferimento prese in considerazione.
Mentre, ad esempio, rispetto ai paesi del Nord Europa appartenenti all’eurozona la svalutazione sarà pari a circa il 24%, verso il dollaro USA sarà solo del 12% e rispetto ad altri paesi europei fuori dall’euro sarà ancora minore, intorno all’8%. Gli effetti di questo riallineamento del cambio si vedono subito con “una significativa spinta alla bilancia commerciale” che aumenterà dell’1,6% del PIL solamente il primo anno.
Il riallineamento del cambio quindi migliora indubbiamente la competitività delle merci italiane, ma per capire se questa manovra di per sé è sufficiente a portare benefici alla crescita economica vanno presi in considerazione i suoi effetti sul PIL reale. Il PIL reale, a differenza di quello nominale, prende in considerazione la crescita “depurata” dagli effetti dell’aumento dei prezzi e fornisce un quadro migliore dello stato dell’economia.
Una forte svalutazione, rilevano gli autori, porta il PIL reale a seguire “un andamento a forma di V”: all’inizio dunque si assiste a un lieve calo del PIL reale, ma si tratta di un effetto temporaneo sostituito dalla sua crescita successiva. Ed è quello che avviene nel caso di una svalutazione della lira nelle previsioni prese in considerazione.
Se infatti nel primo biennio dopo la svalutazione il PIL reale cala dell’1,1%, dal terzo anno in poi il calo diminuisce e alla fine del quinquennio preso in considerazione si arriva ad una crescita complessiva dell’1,4%. L’inflazione fa segnare un aumento già dal primo anno del 2,9%, ma in un’economia attualmente segnata da una spirale deflazionistica questo di per sé non rappresenta un elemento negativo, e riduce il costo reale del debito pubblico italiano.
In questo senso gli effetti sulla riduzione del debito si vedono già dal primo anno di uscita dall’euro con un calo di 5 punti percentuali per arrivare a una diminuzione complessiva di 13 punti percentuali dopo 5 anni. A questo proposito è la svalutazione del cambio a dare un netto contributo alla crescita del PIL nominale senza la quale qualsiasi ipotesi di riduzione del debito è inconsistente. L’analisi fa notare inoltre come non ci siano rischi per la tenuta dei conti pubblici italiani dal momento che “l’Italia ha il terzo avanzo primario dentro l’eurozona” e questa condizione è sufficiente per “ripristinare rapidamente la fiducia dei mercati”».

“Le politiche anticicliche di aumento della spesa pubblica”
«Uno degli spazi più interessanti che l’uscita dall’eurozona offre, oltre alla svalutazione del cambio, è la possibilità di tornare ad applicare politiche anticicliche. Attualmente la struttura dell’euro limita fortemente la possibilità di aumentare la spesa pubblica perché questa condizione aumenterebbe le importazioni e di conseguenza provocherebbe uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti. L’uscita dall’euro e la possibilità di svalutare permettono invece “ la realizzazione di politiche di bilancio espansive senza compromettere l’equilibrio con l’esterno”.
In questo senso l’analisi si indirizza sulla possibilità di aumentare le assunzioni del pubblico impiego di un punto percentuale all’anno e di incrementare complessivamente gli investimenti pubblici del 5% nel quinquennio successivo all’uscita dall’euro. Questa scelta porta a un notevole alleggerimento del debito pubblico, in calo del 7% già dal primo anno, per raggiungere una riduzione complessiva alla fine del quinquennio del 19,6%. Una chiara inversione di tendenza rispetto alle “politiche d’austerità” responsabili dell’esplosione dopo il 2012 del rapporto debito/PIL di oltre 16 punti percentuali nel triennio successivo. Con questo tipo di politiche economiche, il PIL reale cresce dal primo anno dello 0,3% a differenza del precedente scenario, e gli effetti sono particolarmente positivi anche per la disoccupazione, in calo dello 0,7% già il primo anno.»

“L’overshooting del tasso di cambio e i dazi sulle merci italiane”
«L’analisi infine passa in rassegna l’ipotesi di un “overshooting” del tasso di cambio e di dazi ritorsivi contro le merci italiane. L’”overshooting” è un fenomeno che riguarda le oscillazioni del tasso di cambio al di sopra o al di sotto dei valori normalmente attesi. In questo caso quindi la svalutazione potrebbe essere troppo pesante e scendere molto al di sotto della soglia d’equilibrio considerata necessaria, o viceversa rimanere al di sopra del tasso di cambio di equilibrio.
Nonostante queste incertezze presenti nello scenario considerato, le previsioni di crescita del PIL reale restano positive sia in caso di overshooting verso i paesi del Nord Europa, sia verso tutti i partner commerciali dell’Italia: in entrambi i casi alla fine del quinquennio considerato il PIL reale crescerebbe complessivamente dal 3 al 3,3%.
L’analisi non trascura nemmeno l’ipotesi di dazi ritorsivi sulle merci italiane e stima le loro conseguenze. Gli effetti negativi in questo senso sarebbero limitati al primo biennio con un calo complessivo del PIL reale dello 0,5%, mentre dal terzo anno in poi si registra già un’inversione di tendenza con una crescita dello 0,7%. Ci sono dunque dei rischi da un abbandono della moneta unica, ma l’uscita dall’euro restituisce le leve della politica economica e fiscale senza le quali adesso è impossibile costruire le premesse per una crescita economica.»

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