Churchill: "La democrazia è la peggiore forma di governo, eccetto tutte le altre".
La decisione di Sergio Mattarella, costituzionalista di livello, di opporre un veto per ragioni politiche all’incarico a Paolo Savona come Ministro dell’Economia e la solita contrapposizione che si è subito prodotta nel Paese fra due fazioni, una favorevole e l’altra contraria alla sua decisione, credo debba farci riflettere sul rapporto fra la nostra Costituzione e i Trattati europei e sulla nozione di sovranità popolare.
Se infatti Mattarella, in base alla Costituzione, poteva e doveva legittimamente esprimere riserve di natura giuridica sulla figura di un Ministro che, per ragioni oggettive, non fosse adatto all’incarico, quello che ha suscitato la reazione indignata di molti cittadini, fra i quali insigni costituzionalisti come Onida e Maddalena, è stata la motivazione addotta nel caso di Savona, ovvero il presunto atteggiamento critico del Ministro verso l’UE e verso l’euro, che avrebbe contrariato le aspettative dei mercati e messo in pericolo i risparmi delle famiglie, come se il Presidente avocasse a sé la scelta sulle politiche adeguate da perseguire in sede europea, in disaccordo con la chiara richiesta di discontinuità politica emersa dal voto popolare.
Lasciando da parte i retroscena di questa decisione, raccontati molto bene dal Presidente del Movimento Roosevelt,
Gioele Magaldi, anche con
un'intervista a ControRassegna Blu (minuto 5.02), il gesto di Mattarella appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi. Si tratta della
compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero)
e i Trattati europei.
Dalle parole di Mattarella, sembrerebbe che i Trattati europei abbiano ridotto la nostra sovranità. Ma è così? Aderendo ai trattati europei abbiamo ridotto la nostra sovranità e/o ne abbiamo ceduto una parte? E soprattutto, se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione? La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere? Ovvero, in prospettiva: come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione? Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?
Cominciamo dalla nozione di sovranità. Si tratta di un concetto complesso (non provo nemmeno a sviscerarne tutte le implicazioni), lungamente dibattuto nella filosofia del diritto, in parallelo al percorso storico che porta alla formazione degli Stati moderni. Intesa come sovranità dello Stato, essa esprime l’idea che lo Stato, inteso come persona giuridica, abbia esclusivo potere nell’ambito del proprio territorio, sia indipendente rispetto ad altri poteri esterni ed abbia supremazia nei confronti dei suoi abitanti. Thomas Hobbes, che pure aveva una visione assolutista del potere statale, lo vedeva comunque originarsi da un contratto, da un patto originario (il pactum unionis), stretto fra gli uomini allo stato di natura, che per contenere la violenza insita nella loro natura (bellum omnium contra omnes), cedono la sovranità allo Stato, sottomettendosi totalmente ad esso (pactum subiectionis).
Nella versione più attuale, che si avvale delle riflessioni successive di Grozio, Althusius, Locke e soprattutto Rousseau, e delle discussioni dei coloni della Nuova Inghilterra fra '600 e '700, la sovranità non solo si origina, ma resta nel popolo, poiché gli esseri umani ne sono titolari a prescindere dall’ordinamento giuridico dello Stato. Si parla perciò di sovranità popolare, nel senso che i cittadini – individui liberi e sovrani, portatori di diritti - concordano di delegare allo Stato la sovranità, per far funzionare la società in modo ordinato, restandone però unici titolari. I governanti - almeno nelle democrazie indirette - sono rappresentanti del popolo, scelti ed espressi dalla sovranità popolare e agiscono in nome e per conto del popolo, che li può revocare e sostituire. Come recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana, “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ovvero la esercita per lo più nelle modalità della democrazia indiretta e rappresentativa e nella cornice dell’ordinamento giuridico dello Stato.
La Costituzione prevede anche una limitazione alla sovranità. All’articolo 11, dice: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La Costituzione dice, insomma, che la sovranità è e resta del popolo, ma che lo Stato può accettare particolari limitazioni alla sovranità all’unico scopo di assicurare la pace e la giustizia a livello internazionale (sentite evidentemente come un bene superiore) e in condizioni di parità con altre Nazioni.
Ma limitare – a certe condizioni – la propria sovranità vuol dire cederla? Come ha giustamente rilevato il GIP del Tribunale di Cassino, dott. Massimo Lo Mastro,
in un decreto, in risposta ad una opposizione all’archiviazione di una denuncia dell’avvocato Marco Mori di Genova contro l'on. Laura Boldrini,
limitare e
cedere non sono la stessa cosa.
“Proprio perché senza sovranità lo Stato non esisterebbe, i limiti della Costituzione in materia di compressione del potere d’imperio dello Stato sono rigorosi (proprio per questo il legislatore si è occupato di sanzionare penalmente la lesione del potere d’imperio dello Stato e si parla all’uopo di delitti contro la personalità giuridica internazionale dello Stato ove ne risultino integrati gli estremi soggettivi e oggettivi) … [Sulla base dell’art. 11 Cost.] la sovranità dunque non può essere ceduta ma solo limitata ed anche le mere limitazioni hanno ulteriori “limiti”. Fermo il divieto assoluto di cessioni, la limitazione della sovranità può avvenire unicamente in condizioni di reciprocità ed al fine esclusivo (ogni altra soluzione è stata espressamente bocciata in seno all’Assemblea Costituente) di promuovere un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Limitare significa circoscrivere un potere entro certi limiti, ovvero omettere di esercitare il proprio potere d’imperio (che pure deve rimanere intatto) in una determinata materia, oppure di esercitarlo all’interno di certi limiti generalmente riconosciuti dal diritto internazionale ai fini di pace e cooperazione fra le Nazioni. Purché il contenimento nell’esercizio del proprio potere (che secondo la nostra impostazione democratica appartiene al popolo, ovvero al soggetto rappresentato) sia in ogni caso rispettoso dei cd. “limiti” costituzionali (cfr. Sent. Corte Cost. 238/2014). La cessione di sovranità comporta invece la consegna ad un terzo di un potere d’imperio proprio di uno Stato che così per definizione perde anche la propria indipendenza”.
Questo vuol dire che se cessione di sovranità c’è stata – e c’è stata sicuramente, visto che se per esempio la BCE è indipendente ed ha sovranità monetaria, significa che noi vi abbiamo rinunciato e abbiamo perso l’indipendenza – allora non era legittima e chi l’ha permessa ha commesso un reato. Nessun trattato europeo può avere più forza della nostra Costituzione. Un Presidente della Repubblica non può subordinare la sovranità popolare ai vincoli di trattati internazionali; semmai deve fare il contrario; ha giurato infatti di difendere la Costituzione. Restando al popolo la sovranità, tali trattati possono pacificamente essere ridiscussi o rigettati, purché nelle forme previste dalla Costituzione, ovvero se questa è la volontà del popolo, espressa con il voto.
Ma vuol dire anche che la via d’uscita da questa situazione intollerabile consiste nel
riprendersi la sovranità così malamente compressa e calpestata. Rivendicare sovranità – prima di tutto, sovranità monetaria – non vuol dire né tornare agli Stati nazionali del periodo pre-bellico né uscire dall’Unione Europea né necessariamente uscire dall’euro. Vuol dire al contrario portare a compimento quel processo di federazione europea che farebbe dell’Europa un contrappeso adeguato al dominio delle grandi potenze, USA e Cina soprattutto (non certo spettatori disinteressati), e riprendersi la facoltà di emettere moneta nazionale (magari sotto forma di Stato-note o di crediti fiscali, come spiega da tempo l’economista
Nino Galloni, vicepresidente del MR, misura percorribile anche senza uscire dall'euro), riportare sotto controllo dei cittadini i poteri extranazionali, non eletti e cooptativi che ci hanno imposto questo ordine neoliberista (
in primis, Commissione europea e BCE), riportare in primo piano il benessere e i diritti dei cittadini, invece delle esigenze della finanza internazionale. Non si tratta di tornare indietro, verso forme di sovranismo nostalgico, ma di guardare avanti. Come ha detto bene
Francesco Maria Toscano, si tratta di uscire dal guado in cui ci hanno bloccati, togliendoci una parte consistente di sovranità nazionale, ma senza permetterci di diventare davvero un’Europa unita.
Questo vuol dire riflettere su una forma di sovranità diffusa, che non coincida con il potere “forte” e centralista degli Stati moderni, nel quale spesso entrano in conflitto con lo Stato regioni o minoranze che non si sentono rappresentate (si veda il caso della Catalogna), che contemperi l’autonomia decisionale degli Stati con una volontà comune e cooperativa, democraticamente espressa e che ci renda padroni e artefici del nostro destino. Non è pensabile una sovranità europea che si costituisca per cessione della sovranità nazionale, come sommatoria di non-Stati, perché senza sovranità popolare non c’è Stato democratico, e se i cittadini di un Paese non possono esprimere la loro volontà politica, non siamo più in democrazia. Lo Stato moderno è entrato in crisi con la globalizzazione, ma non abbiamo ancora inventato una forma politica diversa. I Trattati europei sono contratti giuridici fra Stati nazionali, che sono i soggetti contraenti, ciascuno pienamente titolare della propria sovranità. Rinunciare ad essa è un suicidio.
L’Europa è troppo ricca di storia e di differenze nazionali perché esse possano essere ignorate, ma è anche effettivamente portatrice di una cultura condivisa e di una coscienza comune. Lo scenario attuale è desolante, perché disattende i principi istitutivi dell’Unione Europea. Come ricordava
Paolo Savona nel 2015, scrivendo a Luigi Mattarella a proposito della cessione della sovranità fiscale,
“l’oggetto del Patto stipulato a Maastricht in attuazione dell’Atto unico e ribadito a Lisbona nel 2000 parla chiaro: all’art. 2, punto 3, afferma che ‘L’Unione …. si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri’ ”.
La crisi della Grecia – osserva Savona - ha mostrato quanto la realtà sia lontana dalle enunciazioni di principio:
“Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale, perché appare vantaggiosa a pochi paesi capeggiati dalla Germania” .
Stiamo assistendo ad una feroce competizione economica fra gli Stati dell’Unione, a cominciare dal mercantilismo tedesco, ad uno spaventoso trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi e dall’economia reale ai mercati finanziari e abbiamo governi che, uno dopo l’altro, hanno tradito lettera e sostanza della Costituzione, cedendo progressivamente quote di sovranità per loro indisponibili, rendendoci subalterni a poteri oligarchici, estranei e autoreferenziali che tutto hanno a cuore, fuorché il nostro interesse di cittadini.
Credo perciò che ci servano due cose: prendere consapevolezza del colossale inganno perpetrato a nostro danno, con l’illusione del sogno europeo, e riconoscere la necessità di uscire dal guado, ridiscutendo radicalmente i trattati europei, per rifondare l’Europa su basi autenticamente democratiche. Bisogna cioè rendersi conto del paradosso, per il quale chi critica l’euro e i trattati europei ha l’Europa più a cuore di chi si straccia le vesti di fronte ad ogni ipotesi di cambiamento, come stanno facendo in questi giorni i dirigenti del PD ormai in pieno stato confusionale, e intanto svende senza contraccambio (almeno per noi) la nostra sovranità nazionale, la nostra economia e il nostro futuro.
Patrizia Scanu
Direttrice del Dipartimento Istruzione e Formazione civica MR
Candidata alla Segreteria generale