Lo strano caso di due nuovissime navi nate italiane che diventano egiziane (forse).
Quello che c’è dietro e non ti aspetti.
Pochi giorni fa è stata varata a Riva Trigoso la fregata Emilio Bianchi, decima e ultima della serie FREMM. Queste fregate sono la spina dorsale della flotta, quelle che devono assicurare la difesa e la scorta di formazioni navali complesse contro attacchi aerei, navali o sottomarini, e che sono coordinate dai cacciatorpediniere che assicurano la difesa aerea estesa. Queste navi sostituiscono le vecchie fregate classe Maestrale, oramai con circa 35 anni di servizio. Vista la situazione sempre più esplosiva (talvolta letteralmente) del Mediterraneo centro orientale, il completamento di questo programma (che il vecchio Ministro della Difesa la Russa voleva ridurre a sei unità) è stato lungimirante e ci assicura, assieme ad altri assetti (nuovi pattugliatori e sommergibili, i caccia su menzionati e le navi tutto ponte porta aeromobili) uno strumento se non proprio adeguato almeno appena sufficiente di deterrenza e di controllo della stabilità di un bacino per noi vitale, essenziale (nel vero senso del termine). Ma, c’è un ma. Dopo la pomposa cerimonia del varo con tanto di madrina, fanfara, discorsi… la nave, assieme alla gemella Spartaco Schergat, rischia di non entrare mai in servizio nella Marina Militare, ma di venir dirottata direttamente alla flotta egiziana. Tra l’altro, ironia della Storia, il nome di queste due navi è in onore di due degli incursori che, con i famosi Maiali il cui nome ufficiale era Siluri a Lenta Corsa, affondarono due corazzate britanniche nel dicembre del 1941 ad Alessandria d’Egitto, probabile porto di destinazione di queste due navi, qualora divenissero egiziane.
Sulla probabile vendita di queste due navi ne avevamo già parlato nelle settimane precedenti https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/blog-dipartimenti/geopolitica-e-difesa/2259-navi-poltrone-affari-minacce.html, in anticipo rispetto alle prime indiscrezioni di stampa, dopo che sulla Emilio Bianchi , prima del varo, era stato cancellato lo ship number (ma poi riapparso) anche se avevamo attribuito all’Arabia Saudita la volontà dell’acquisto, almeno secondo le indiscrezioni giunteci. L’errore sta probabilmente nel fatto che parte dell’operazione potrebbe essere finanziata dall’Arabia Saudita (ipotesi a cui credo poco per le ragioni esposte in seguito), nazione che però non ha le capacità organizzative e tecnologiche per gestire delle navi così complesse e grandi (6900 tons per 144 metri di lunghezza), del resto queste sono anche al limite delle stesse capacità egiziane.
Ma come si è arrivati a questo probabile esito? Ma noi che vantaggio acquisiamo? Ci conviene privarci di due navi così sofisticate quando in questo momento di crisi multiple potremmo essere impegnati in molteplici missioni di controllo delle linee di comunicazione e di approvvigionamento energetico per noi così vitale e con il rischio di non avere abbastanza navi? (Libia, EastMed, Corno d’Africa, Mar Rosso, Hormuz). La geopolitica e gli interessi strategici delle due nazioni giocano un ruolo fondamentale.
Egitto
Da qualche tempo a questa parte l’Egitto si trova in una situazione inedita. Da importatore di energia, si trova a divenire in un prossimo futuro uno dei principali esportatori del Mediterraneo. La maggior parte dei giacimenti si trova però nella sua ZEE (zona economica esclusiva) marittima. Solo Zohr, il suo giacimento di gas più grande, vale cento miliardi di euro. Quindi, da potenza regionale, soprattutto terrestre, si trova costretto a proiettarsi sul mare per controllare e proteggere le sue risorse. A premere e minacciare queste risorse si pone sempre più una politica turca marcatamente aggressiva sia verso l’Egitto, sia verso Grecia, Cipro e Israele. Questi quattro paesi hanno già in pratica varato un’alleanza militare informale per la difesa comune dei loro interessi energetici. Della questione ne avevamo già ripetutamente parlato https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/blog-dipartimenti/geopolitica-e-difesa/2169-la-nuova-guerra-di-troia-per-l-energia.html
Ma l’aggressività turca e le sue mire neo-ottomane si sviluppano in maniera molto più rapida di quanto inizialmente supposto. Per programmare, ordinare e vedersi consegnata un’unità possono passare anche 5-6 anni. Ma la marina egiziana ha bisogno subito di nuove unità, per giunta sofisticate, per poter competere con la più numerosa flotta turca, per proiettarsi nel Mar Rosso ma anche fino a Hormuz, se necessario, senza sentirsi in qualche modo inferiore dall’Arabia Saudita soprattutto dal punto di vista degli aiuti finanziari anche in campo tecnologico (e non solo). Recentemente aveva acquisito due portaelicotteri anfibie francesi classe Mistral che non potevano più essere vendute alla Russia causa le sanzioni e aveva comperato una fregata FREMM francese più o meno con la stessa modalità con cui vorrebbe acquisire quelle italiane, nonostante la fregata francese, malgrado le somiglianze, sia molto diversa dall’apparente gemella italiana (basta confrontare la diversità delle sovrastrutture). Attualmente in costruzione, pronta consegna o quasi, ci sono solo le Fremm italiane. Entro al massimo due anni potrebbe avere operative due navi appartenenti a una classe già ampiamente sperimentata e ritenuta ai vertici mondiali per qualità (tanto da destare l’interesse dell’US Navy per un possibile acquisto). L’Egitto ha in aprile dell’anno scorso firmato un contratto per 6 fregate leggere tedesche classe Meko 200, ma la costruzione è appena iniziata( e forse sarà ridimensionata) e queste fregate sono più piccole e di caratteristiche inferiori a quelle italiane, che hanno superiori caratteristiche antinave e di difesa antiaerea, ma anche antinave a lungo raggio, nonché, probabilmente, nell’elettronica. Quindi per l’Egitto un’occasione ghiottissima. In più l’Egitto ha bisogno di rinsaldare i rapporti con l’Italia come partner economico e strategico, rapporti che si sono sfilacciati dopo l’ignominioso caso Regeni. Eni è la compagnia energetica che lavora di più in Egitto e che gestisce Zohr e numerosi altri giacimenti. È grazie a Eni e all’Italia che l’Egitto possiede le competenze tecniche per divenire esportatore energetico. ENI per l’Egitto e quasi altrettanto importante che per l’Italia. Non a caso le perforazioni SAIPEM nella ZEE egiziana, minacciate dalla Turchia, sono scortate da navi egiziane. In questo modo, associato alla possibilità di ulteriori contratti per la difesa (si parla di un valore complessivo che potrebbe superare i 9 miliardi di euro, cioè i 2/3 degli stanziamenti annuali della funzione difesa dell’Italia) e per lo sfruttamento dei giacimenti, l’Egitto spera di “compensare” le difficoltà diplomatiche di cui detto. Il contro è che così facendo l’Egitto struttura una marina che diventa un autentico incubo logistico, vista la grande varietà di navi e armamenti che andrà a costruire la sua flotta, con materiale proveniente da Francia, Germania, USA, e Italia. D’altra parte l’Egitto, come altri paesi, preferisce non dipendere totalmente da un solo o pochi fornitori, non volendo essere ricattato o messo in difficoltà in caso di conflitto per quanto riguarda gli approvvigionamenti (come esempio, quando scoppiò la guerra Iran Iraq, l’Italia sospese la fornitura a quest’ultimo di un’intera flotta già quasi totalmente costruita e pagata). Il problema è il finanziamento di tale operazione, due di queste navi, compreso l’addestramento, la manutenzione e le dotazioni viene a costare tra 1 e 1,5 mld di euro. Tenendo presente che l’Egitto è già indebitato con finanziamenti con la Francia per la FREMM francese e per 4 corvette Gowind, che ha siglato il su detto contratto con la Germania per 6 fregate leggere Meko200, risulta difficile trovare fondi anche per queste due ulteriori navi, che diverrebbero le più sofisticate della flotta.
Italia
L’affare allora verrebbe finanziato (parzialmente se si tratta di due navi, quasi totalmente se una) da Cassa depositi e prestiti tramite SACE per 500 ml di euro.
Ma l’Italia, intesa come Stato e industria cosa ci guadagnerebbe?
Se le navi non venissero sostituite la gran parte del prezzo di queste due navi, che supera abbondantemente il miliardo, anche se, appunto, una parte è già stata pagata e un’altra fetta già allocata con i fondi di bilancio. Teniamo presente che parte del prezzo lordo di un manufatto ritorna comunque allo stato sotto forma di tasse, imposte varie, tasse sugli stipendi di chi ci lavora, di tutto l’indotto ecc. È stato calcolato che ogni euro speso per l’alta tecnologia della difesa ritorna con un aumento di 2,6 euro circa di aumento di PIL. Inoltre la cifra andrebbe ascritta alla voce esportazione con benefici sulla bilancia dei pagamenti ma anche sulle uscite dello stato e sul deficit.
Fincantieri ma con lei anche Leonardo entrerebbero in un mercato che la concorrenza franco-tedesca stava bloccando, con uno spostamento netto degli equilibri commerciali, anche perché, assieme allo scafo vengono venduti i cannoni, i missili, i radar… Infatti sembra che l’eventuale firma del contratto e le condizioni di favore concesse tramite SACE sblocchi altre trattative riguardo una fornitura di elicotteri (AW 149), forse aerei d’addestramento, e corvette molto simili a quelle vendute al Qatar, per un totale appunto di svariati miliardi di dollari. Il contratto con l’Egitto potrebbe portare ad altri contratti con altri paesi della regione. Anche in Grecia, Italia e Francia stanno competendo per assicurarsi forniture navali. Si spera solo che le parti più sensibili, specialmente inerenti all’elettronica, ad appannaggio solamente di MM (e degli alleati NATO ma non sempre) vengano rimosse prima della cessione.
Ma la Marina accetterebbe la decurtazione di queste due unità proprio in un’epoca così agitata nel Mediterraneo e non solo? Non sarebbe come darsi la zappa sui piedi?
Bisogna fare una premessa.
Le FREMM furono programmate e progettate da Francia e Italia più di una quindicina di anni fa, con scenari decisamente più tranquilli di quelli attuali, soprattutto con minacce sottomarine oramai quasi trascurabili. L’Italia ne ordinò 6 in versione GP (General Purpose da interdizione ma soprattutto di scorta delle formazioni navali complesse (comprendenti porterei e/o portaelicotteri, navi per operazioni anfibie…) e solo quattro in versione ASW, cioè antisommergibile. La Marina, nonostante siano delle ottime unità, non è stata mai completamente soddisfatta di queste navi, soprattutto per la velocità non eccezionale. La Francia ex potenza coloniale con interessi globali, voleva unità di stazionamento lungo rotte e coste predeterminate e non abbisognavano di grandi velocità quanto di grande autonomia, L’Italia voleva navi atte a scortare appunto la portaerei e pronte a intervenire, quindi con velocità maggiore poiché durante il decollo degli aerei, per quanto il decollo degli F35B e degli Harrier sia corto e non convenzionale, la portaerei deve filare controvento alla massima velocità. Le FREMM italiane filano a una velocità superiore a quelle francesi, grazie a interventi all’apparato motore, ma non quanto vorrebbe MM. Inoltre soffrono di scarsi alloggi per l’equipaggio supplementare di missione (boarding team ecc) per cui l’Italia ha rinunciato a 16 pozzi di lancio dei missili in cambio di locali con cuccette. Le minacce sottomarine ora sono tutt’altro che trascurabili e infatti il Capo di Stato Maggiore della Marina in una recente audizione ha chiesto due unità ASW aggiuntive. La Marina inoltre attualmente si trova a non avere più in servizio aerei antisom. In più nel frattempo la Marina ha progettato delle navi denominate PPA, sette più tre opzioni. (Pattugliatori Polivalenti d’Altura, 6300 tons per 143 metri, molto adattabili a diversi ruoli e tipologie di missione per via della loro accentuata modularità ) che nella versione più sofisticata e potente sono delle vere e proprie fregate che si avvicinano per capacità a dei caccia leggeri, atte a missioni di interdizione e picchetto radar. Hanno radar ancora più sofisticati e potenti e sviluppano capacità ATBM, cioè anti missili balistici tattici.
La Marina accetterebbe a denti stretti due ulteriori navi in sostituzione. Due PPA in più, magari in versione FULL con capacità ASW, oppure in subordine due altre FREMM. Fincantieri propone due ulteriori FREMM, poiché avrebbe forse ricavi maggiori e può sperare comunque nell’esercizio delle altre opzioni PPA. A sfavore dei PPA sta l’architettura stessa della nave, perché non è progettata in funzione ASW. Non possono avere un sonar di prua poiché non hanno un bulbo, come le FREMM e le navi classiche, ma un rostro per certi versi simile alle vecchie triremi che ovviamente non serve a speronare navi nemiche, ma appunto a filare a velocità maggiore. Inoltre sono navi rumorose, caratteristica che disturba la scoperta sottomarina e non silenziose come le FREMM. La terza opzione sarebbe quella di trasformare ulteriori PPA alla versione più sofisticata denominata Full portando il loro numero a 4 o più (su 7 totali più le tre eventuali opzioni complessive che a questo punto dovrebbero giocoforza essere confermate) L’ultima opzione permetterebbe in parte di compensare gli anni di buco di capacità complessive (4), che è il principale problema, con la temporanea rinuncia alle due unità, anche perché le vecchie fregate classe Maestrale sono oramai al limite della loro vita operativa, quindi probabilisticamente soggette a un numero decisamente più alto di avarie e fermi. (come è successo alla vecchia portaerei Garibaldi, ultimamente)
Fin qui le ragioni tecniche e commerciali, quelle più evidenti ma, sottostante, a giocare un ruolo ben più determinante sulla scelta c’è un fattore geopolitico e strategico. E in questo fattore entrano, preponderanti, i problemi delle fonti energetiche, della Turchia e della Libia… e di Regeni.
Geopolitica.
L’Egitto ha bisogno dell’Italia come partner di riferimento in ambito energetico e come elemento di equilibrio in un Mediterraneo sempre più instabile, funzione che, come abbiamo già scritto, l’Italia con questi ultimi governi emalgrado un’America restia a impegnarsi in quest’aerea, non si assume, o perlomeno, pavida, non capisce come farlo (o si rifiuta di capirlo). In questo momento l’Egitto, assieme a Grecia Israele e Cipro, compete con l’aggressiva politica della Turchia in Eastmed, e contemporaneamente compete con la stessa Turchia e il Qatar in Libia. La Turchia e il Qatar sostengono il legittimo governo di Serraj basato a Tripoli mentre Egitto, Arabia Saudita ed Emirati sostengono Haftar. La politica dell’Egitto a favore dell’Italia potrebbe essere motivata da un tentativo di riavvicinamento dell’Italia stessa in tal senso. È noto infatti che l’Italia sostiene (debolmente) il governo Serraj, anche se l’ultimo appiattirsi di Serraj alle politiche turche in cambio di aiuti militari concreti la ha spiazzata. L’Italia quindi si trova ad essere dalla stessa parte della Turchia in Libia e sul versante opposto in Eastmed. L’insediarsi del neo ottomanesimo turco dirimpetto alle coste italiane e al pericolo insito per le nostre concessioni energetiche dovrebbe essere visto come fumo negli occhi nella nostra cancelleria. L’acquisto delle fregate italiane (con la contemporanea acquisizione dei su nominati 20 elicotteri AW 149 di Leonardo e delle altre armi) potrebbe essere una mossa per indurre l’Italia a un riallineamento più equilibrato tra le due fazioni, (non dimentichiamo che contemporaneamente l’Italia ha contratti militari per svariati miliardi con il Qatar in ambito navale e aeronautico) ma nel contempo potrebbe preludere a un tentativo italiano di indurre l’Egitto a premere su Haftar per un atteggiamento meno aggressivo. Segnali di questo avvicinamento sono le ultime dichiarazioni del nostro Ministero degli Esteri che tende a profilare una politica di equidistanza tra le due fazioni e certe insinuazioni giornalistiche della stampa egiziana su una certa stanchezza dell’Egitto nei confronti di Haftar che non ha saputo controllare Tripoli ma neanche arrivare a una soluzione favorevole di qualunque genere in Libia. Teniamo presente che l’Egitto, più che avverso a Sarraj, è avverso ai Fratelli Musulmani che lo sostengono e che vedono come fumo negli occhi e sostenitori degli oppositori al regime.. Sfumata la conquista di Tripoli grazie all’arrivo di armamenti turchi e di tagliagole siriani, giocoforza si deve arrivare a un compromesso. E con Haftar un compromesso stabile e duraturo è impossibile. Nessuno si fida più di lui. Amici e nemici.
Ma non solo queste potrebbero essere le motivazioni recondite che stanno portando a questa possibilità di vendita. Da una parte La Tribune francese cita il possibile accordo come una ripicca di Al Sisi su una salita in cattedra pubblica di Macron con una lezione dall’alto al presidente egiziano su diritti umani e democrazia, non accolta bene, ovviamente. Non che Macron, spinto dal calo di consensi e da alcune ONG francesi, sempre secondo La Tribune, non abbia ragione, beninteso, ma c’è modo e modo di farlo e, agendo con certi toni, si arriva all’effetto contrario. Ma più che questo, crediamo che Al Sisi, alleato di Macron in Libia, voglia smarcarsi da un alleato pasticcione e ingombrante ed acquisire una posizione più sfumata visto che, appunto, oramai Haftar sembra abbia fallito e che non abbia fatto altro che far entrare due attori sgraditi come Turchia e Russia che formalmente sta con Haftar ma mira a spartirsi la Libia con la Turchia con la classica tattica della volpe (in questo caso due) e dei due topi litiganti. L’altro è l’insieme di relazioni tra Egitto, Emirati e Arabia Saudita, con la cessione avvenuta da parte dell’Egitto delle isole Tiran e Sanafir nel Mar Rosso a vantaggio dell’Arabia in cambio di miliardi e alleanze, accordo visto con avversione dal popolo Egiziano. In più l’alleanza tra Emirati e Arabia (alleati dell’Egitto in Libia) è sempre più apparente e meno sostanziale a causa della divergenza di interessi. Gli EAU vogliono proporsi come elemento fondamentale della Via della Seta cinese, anche attraverso il controllo dei porti della Cirenaica. Potrebbe essere l’inizio di un affrancamento dell’Egitto da una triangolazione scomoda. Per questo, come scritto all’inizio, sono propenso a non credere che dietro l’affare delle fregate ci sia l’aiuto economico dei Sauditi. Ultimo, ma non ultimo, l’affare Regeni. L’Egitto sa benissimo che per l‘Italia questo è un vulnus difficilmente superabile (anche grazie all’ammirevole testardaggine della famiglia Regeni) che compromette il ristabilimento di rapporti realmente stretti e con queste aperture commerciali tenta di edulcorare il risentimento italiano.
Cosa dovrebbe fare l’Italia?
L’Egitto, nonostante tutto, è l’unico successo diplomatico dell’Italia negli ultimi dieci anni nel Mediterraneo, rischiare di perdere questi buoni rapporti, e mantenere quelli con la Tunisia dovrebbe essere una priorità.
Sicuramente approfittare e incunearsi in queste occasioni che le sono offerte, sia per tentare di indebolire il fronte pro Haftar (ma non pro LNA), sia contemporaneamente per smarcarsi da una scomoda esclusiva difesa di Serraj che rischia il fagocitamento da parte della Turchia con conseguente perdita della residua influenza da parte dell’Italia. Naturalmente il nervo scoperto resta l’affare Regeni. L’Egitto e alcuni media propongono interpretazioni che coinvolgono i Fratelli Musulmani o servizi deviati, fronde interne in combutta con servizi stranieri che intendevano minare i rapporti tra i due paesi in favore di altri tipi di alleanze/accordi. Può darsi, ma la resistenza e il muro di gomma che frappone l’Egitto alle indagini italiane non depone certo a suo favore (ma non è l’unico paese a erigere muri di gomma nella vicenda, vedi UK). Si spera che il completo stravolgimento delle procure egiziane avvenuto dallo scorso novembre dia nuova linfa al proseguimento delle indagini. Purtroppo niente potrà restituire Regeni a suoi cari, però bisogna far capire che ogni azione contro un cittadino italiano ha il suo prezzo, inevitabile. Questo non per giustizia totale o per una verità limpida, che probabilmente purtroppo non avverrà mai, ma per prevenire altri dolorosi episodi del genere. Se Regeni fosse stato un cittadino americano o francese, il delitto non sarebbe mai avvenuto (se veramente commesso da apparati egiziani fedeli al regime e non apposta per minare i rapporti, come qualcuno appunto sospetta) proprio perché sarebbe stato ben chiaro fin dall’inizio il costo da pagare. In Francia vige il motto “la vendetta è un piatto che va servito freddo” e i Francesi hanno ottemperato a questo motto anche a distanza di lustri. Gli Israeliani hanno perseguito gli attentatori di Monaco in tutto il mondo e per anni. Non si vuole o deve arrivare a questo, ma un costo preserva appunto il futuro da nuovi episodi del genere. In più un paese democratico come l’Italia dovrebbe, discretamente, mettere sul piatto della bilancia anche una pressione su un miglioramento dei diritti umani. Non però in maniera tronfia e arrogante come fatto da Macron, che ottiene appunto l’effetto contrario. Non si deve ovviamente pretendere che l’Egitto diventi la Danimarca o la Svezia in fatto di diritti, ma anche un piccolo freno ai troppo duri trattamenti nelle carceri egiziane sarebbe un equo inizio e una buona base per risaldare rapporti che sono utili ai due paesi visto il contesto attuale del Regimi troppo duri, prima o dopo fanno una brutta fine. Gli esempi non mancano.
Quante cose possono insospettabilmente stare dietro una semplice vendita inaspettata di due o forse una o forse nessuna nave militare, già italiana.
Roberto Hechich
segretario Dipartimento geopolitica e Difesa M.R.