Un nuovo focolaio di tensione si sta profilando nel Mediterraneo Orientale, in realtà non è nuovo, in senso stretto, ma l‘evoluzione delle condizioni geopolitiche può farlo divenire molto più pericoloso che nel passato. Non ci stiamo riferendo a Israele o alla Siria dove le situazioni sono incancrenite ma stabili, anzi, in lieve miglioramento con una minaccia dell’ISIS residuale, né all’Egitto. Ma alla Grecia, alla Turchia e a Cipro. Ci sono state crisi molto gravi in quest’area, a esempio l’invasione di Cipro da parte della Turchia nel 1974, quindi, cosa c’è di nuovo? Tre condizioni fondamentalmente: i ricchissimi giacimenti di idrocarburi scoperti di recente, il neoottomanesimo della Turchia impersonato da Erdogan, e il nuovo ruolo di Russia e Cina collegati proprio alla nuova posizione della Turchia stessa. Sì è già ribadito che la Turchia potrebbe divenire, se non lo è già, uno dei principali problemi geopolitici dell’Italia. Andiamo con ordine.
I giacimenti
Negli ultimi anni sono stati trovati giacimenti di idrocarburi, specialmente gas naturale, tra i più imponenti del mondo. (vedi analisi precedenti A. Avigliano). Una parte rilevante di questa ricerca è stata attuata dalla nostra ENI, che si pone all’avanguardia in questo campo. Infatti, la parte più cospicua delle concessioni è a suo appannaggio, anche se poi la compagnia stessa rivende ad altre società quote più o meno alte degli stessi giacimenti scoperti, questo anche per un sottile gioco in cui convergono interessi economico/commerciali, reti di alleanze anche in funzione geopolitica ed equilibri da rispettare, nonché capacità finanziarie intrinseche. Ma dove sono dislocati questi giacimenti, e quanto valgono? Egitto, Grecia, Cipro Israele, Libano, Siria. Proprio i primi tre paesi hanno nell’ordine le riserve stimate maggiori. Quante sono le riserve stimate? Nell’ordine dei 15TCM cioè quindici trilioni di metri cubi. Ci sono megaciacimenti dai nomi evocativi di Zhor, Aphrodite, Noor, Calypso, Leviathan (il cui nome, associato all’immagine delle torri di perforazione evoca inquietanti analogie apocalittiche). Se teniamo conto del consumo della UE che è di poco meno di 500 BCM cioè bilioni di metri cubi, e quello dell’Italia di circa 75 BCM, possiamo calcolare che queste riserve basterebbero a coprire i fabbisogni di gas per circa 35 anni per l’Europa e di circa 200 anni per L’Italia, che attraverso l’ENI avrebbe di suo riserve per 80 anni almeno. Ogni anno l’Italia importa gas per un valore di circa 16 miliardi. Il valore del solo Zhor viene valutato attorno ai 100 miliardi di euro, con un margine di circa 10 miliardi. Leviathan è più o meno equivalente a Zhor. Se assommiamo anche il gas scoperto di recente nei reef al largo della Libia, più o meno analogo a quello del mediterraneo orientale, l’intero valore stimato del gas in queste aree equivale a più del PIL annuale italiano. Speriamo che le indiscrezioni di una “svendita” di ENI a gruppi stranieri da parte di M5s sia solo una bufala. Lo sfruttamento di queste risorse tra l’altro genera investimenti colossali, parliamo di circa 100 miliardi di euro tra investimenti infrastrutturali inerenti l’estrazione, la costruzione di pipelines, gli impianti di liquefazione e rigasificazione, ma anche di interporti multimodali, reti ferroviarie, corridoi stradali, navi. In questo ancora una volta l’Italia sarebbe favorita grazie alle sue industrie nel settore, come Saipem, SNAM, Impregilo ecc. S’intuisce facilmente che i vantaggi per i paesi implicati sarebbero enormi e i benefici per i PIL consistenti. Basti solo pensare alle tasse riscosse e alla bilancia dei pagamenti, oltre che all’occupazione. Tutti i giacimenti sarebbero collegati tra loro in modo da formare una pipeline che, partendo da Israele, da una parte arriva (forse) in Egitto e dall’altra attraverso Cipro e la Grecia arriva in Italia attraversando il Mar Ionio. (vedi allegato di Antonio Avigliano). L’Egitto probabilmente si smarcherà dalla pipeline poiché sta implementando impianti per la liquefazione del gas e quindi attracchi per il trasporto via nave. Tutto sommato può essere un fatto positivo poiché così si diversificano le modalità di trasporto e il flusso di gas non sarebbe interrotto in caso di guasto o di attentati a Eastmed, anche se il gas liquefatto costa notevolmente di più rispetto alla pipeline. L’Italia quindi si troverebbe assieme alla Grecia a essere l’HUB principale del rifornimento di gas via pipeline per tutto il resto d’Europa, aumentando ancor di più la sua importanza strategica. Forse è in parte anche per questo che una certa Europa tenta di marginalizzare o di non rendere consapevole l’importanza italiana nella UE. Tutto bene quindi? Assolutamente no. Questo stato di cose genera ovviamente gelosie ed appetiti per chi non è dentro l’affare o addirittura può danneggiarne i propri.
La Russia
Il principale danneggiato da questa situazione che si viene formando è la Russia, ma non è l’unica. Lo sfruttamento di questi giacimenti danneggia anche la Penisola Arabica. Tesi molto accreditate fanno risalire la guerra civile in Siria proprio al rifiuto di questa di far passare oleodotti e gasdotti dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo. Rifiuto appoggiato da Mosca per le stesse ragioni citate più sotto. La Russia rifornisce di gas l’intera Europa arrivando al 43% del totale, l’Italia al 47. Con l’esaurimento dei giacimenti norvegesi e olandesi, (20 % del totale italiano) la percentuale russa, senza la presenza di Eastmed tenderebbe ad aumentare. La fornitura di questo gas è fondamentale per la Russia, sia dal punto di vista economico che geostrategico. Con la spada di Damocle degli approvvigionamenti energetici può condizionare le politiche occidentali e far in modo di non vedersi a sua volta minacciare da politiche troppo aggressive. Inoltre la Merkel e Putin sono affiliati alla stessa Ur-Lodge, Golden Eurasia (Gioele Magaldi: Massoni a responsabilità illimitata. Chiarelettere) Non a caso, nonostante le sanzioni, si sta costruendo Northstream 2, pipeline marina tra Russia e Germania che taglia fuori Ucraina e Polonia. La Russia quindi ha tutto l’interesse, o meglio la necessità, di tentare di destabilizzare quest’area e rendere insicuri gli approvvigionamenti e rischiosi gli investimenti finanziari. Del resto l’Occidente a suo tempo non ha trattato molto bene la Russia dopo la fine della guerra fredda, non le ha permesso di sedersi alla pari tra le potenze occidentali, la ha relegata sul predellino, sfruttata, e sta scontando questo errore strategico, molto simile a quello inferto alla Germania nel primo dopoguerra e potenzialmente foriero di danni paragonabili. La Russia ha due interessi fondamentali nell’area: quello appena citato e il mantenimento di un corridoio trans caucasico che le permetta di arrivare alla Siria e ai suoi porti via terra bypassando i Dardanelli e le limitazioni imposte al passaggio di materiali e navi militari (convenzione di Montreux 1936) Da questo punto di vista la Turchia può divenire un suo alleato strategico, anche se infido.
Erdogan e la Turchia.
Dimentichiamoci della Turchia conosciuta fino a pochi anni fa, occidentale, laica, tutto sommato democratica e con una casta militare che garantiva l’eredità di Mustafà Kemal. Oggi la Turchia si sta islamizzando, la democrazia è oramai azzoppata (non che prima fosse perfetta, intendiamoci, visti i non rari colpi di stato militari) e si avvia verso una rigida democratura, ma soprattutto sta abbandonando l’alleanza occidentale in favore di un’alleanza de facto con Russia e Iran, nonostante le differenze religiose con quest’ultimo. Alleanza pericolosa, poiché la Russia non si fida della Turchia ed è pronta, in caso di retromarcia dell’erede dell’Impero Ottomano, di fargliela pagare cara, ad esempio con la secessione di zone periferiche all’interno dei suoi confini, in modo da preservare comunque il famoso e strategico corridoio caucasico. Putin non dimentica nemmeno la perdita del caccia russo abbattuto proditoriamente dalla contraerea turca qualche anno fa e sarebbe ben lieto di fargliela pagare se venissero meno i vantaggi politici del non farlo. Perché allora la Turchia non intende abbandonare la Nato? Per via della cosiddetta dottrina Luns, dal nome di un segretario generale della NATO degli anni 70. Questa dottrina, varata proprio in occasione dell’invasione di Cipro da parte della stessa Turchia nel 1974, prevede che l’Alleanza non intervenga in caso di scontro aperto tra due paesi aderenti all’Alleanza stessa. Stare dentro l’Alleanza quindi permette alla Turchia la minaccia di una nuova guerra contro la Grecia senza che la NATO debba per forza intervenire. (ciò non toglie però che singoli paesi potrebbero intervenire al di fuori dell’Alleanza in favore della Grecia e… dei propri interessi economici ed energetici nell’Egeo.) Però la Turchia così fa un gioco pericoloso, sospesa sul filo del rasoio, con una politica dei due forni che rischia di fare comunque la fine del… tacchino arrosto.
Se si vuol capire la politica Turca e le trasformazioni in atto e future, bisogna prima comprendere Erdogan.
Erdogan non è un politico qualunque, né è lì a caso. È membro della superloggia Hathor Penthalfa, la più reazionaria e aggressiva tra le ur-lodges neoaristocratiche, in compagnia dei Bush, ma anche di Aznar e Sarkozy, ma anche di Al-Baghdadi (per cui si intuisce il perché di molte delle opacità turche sulla lotta all’ISIS) (Gioele Magaldi: Massoni Società a Responsabilità Illimitata, Chiarelettere)
Soprattutto Erdogan è un membro dell’ordine spirituale Naqshbandiy che appartiene al mondo sufi, e che è l’unico, tra quella galassia di sette religiose, che promuova una partecipazione politica concreta. L’ordine è forte custode dell’ortodossia sunnita e della legge islamica, in quanto si dichiara discendente del primo califfo sunnita Abu Bakr. La Corrente Khalidy e nella fattispecie la loggia Iskenderpasa, avversa a quelle che definisce le deleterie influenze occidentali, promuove il ritorno alle virtù dell’Islam e alla supremazia della Turchia nel mondo islamico. A tale loggia apparteneva Erbakan, mentore per certi versi di Erdogan, che fu deposto dai militari nel 1997, proprio perché di chiara matrice islamica. Ad essa si ispirò pure Demirel, altro primo ministro. Le linee guida della sua ideologia, a cui appunto si ispira Erdogan è quella di liberare la Turchia da quelli che sono definiti i massoni filo occidentali, e dalla cultura filo occidentale in generale, accusata di aver distrutto l’identità turca e di essere controllata da una cospirazione sionista. Altri argomenti caratterizzanti sono quelli di costruire un’industria nazionale il più possibile indipendente dall’Occidente, una finanza islamica, di abbandonare l’Occidente in favore di un’unione di stati islamici a guida turca, appunto. Sono tutti punti che sono in corso d’opera. Infatti, la svalutazione della lira turca è un obiettivo primario dell’attuale regime per frenare le importazioni dei prodotti occidentali, ancora molto apprezzati dalla classe media del paese e per spingere la propria industria manifatturiera nei paesi emergenti a prezzi concorrenziali con i prodotti occidentali, ma per certi versi anche asiatici. Le mosse di Trump riguardo alle pressioni sulla lira turca, paradossalmente andrebbero a favore di Erdogan, se non per il fatto di provocare svalutazione troppo rapida, e non graduale come auspicato dal presidente turco. Infatti, non bisogna più guardare all’economia di quel paese con il metro occidentale, poiché, nel perfetto adeguamento ai principi islamici, Erdogan, anche nel periodo di maggiori tensioni valutarie, ha voluto mantenere molto bassi i tassi d’interesse della valuta locale in disaccordo anche con i dirigenti della banca centrale turca. L’industria turca però ha un tallone d’Achille, il basso profilo tecnologico, per cui è obbligata ad avere dei ricavi netti molto bassi rispetto ai paesi più avanzati come l’Italia, per non dire la Germania, nell’ordine del 3%, quindi è costretta ad avere materie prime e costi dell’energia molto bassi, a parte il costo della manodopera compresso proprio con le svalutazioni competitive. E la Turchia ha scarse risorse energetiche, ed è vicina, molto vicina geograficamente a risorse enormi.
Il Mar Egeo, Cipro e il neoottomanesimo
Una delle caratteristiche dell’erdoganesimo è un ripristino dell’influenza turca su parte del mondo mussulmano mediterraneo e non solo. Ci sono state dichiarazioni di loro esponenti che parlano di una “vera Turchia” a cui sono stati tolti circa 8 milioni di kilometri quadrati. La superficie si riferisce all’incirca ai confini dell’impero alla fine dell’ottocento, quindi tutta quell’area che va dalla Siria fino alla Libia, i Balcani meridionali e molte isole greche. Una delle prime visite fatte da Erdogan all’indomani del fallito golpe ai suoi danni è stata quella alle tombe dei principali protagonisti della storia ottomana, come Selim I, il sultano artefice della più rapida espansione dell’Impero Ottomano. E in quelle lande certe simbologie non sono a caso e non sono coincidenze. La Turchia ha istituito inoltre una base navale in Albania e si attrezza a costituire una base militare in Macedonia del Nord. Inoltre, con il consenso della Russia, la Turchia si è già espansa nelle zone siriane ai suoi confini di Afrin e in parte di Iblid e intende restarci (come dimostra ad esempio la costruzione di uffici postali delle poste turche o i bambini di un asilo che salutano gli insegnanti e i visitatori facendo il saluto dei Lupi Grigi). Sono stati sequestrati in Libia, da parte del governo legittimo, carichi d’armi provenienti dalla Turchia e diretti a formazioni radicali islamiche e a guerriglieri. A Cipro Nord sono stati spediti una quarantina di carri da battaglia Leopard 2 A4, i più moderni in dotazione all’esercito turco, accompagnati da semoventi di artiglieria da 155mm. Per cosa, visto che i greco ciprioti posseggono solo una manciata di vetusti carri? Naturalmente, almeno per la maggior parte di questi territori, il partito di Erdogan non promuove conquiste territoriali ma piuttosto una leadership e una larga influenza economico-culturale. Mire territoriali e di rivalsa non sono una prerogativa del partito ora al comando, ma sono, con varie sfumature, piuttosto condivise da altri gruppi di potere, e quello di Erdogan non è nemmeno il più radicale a riguardo. L’invasione di Cipro (in parte come reazione al golpe filo-greco che depose Makarios nel 1974) era stata pianificata da un regime laico e non è un mistero che gli stessi militari turchi reclamino una serie di isole greche al confine con la Turchia. Ultimamente sono stati liberati con largo anticipo generali e alti ufficiali turchi di stampo nazionalista arrestati durante il fallito golpe, inoltre il ministro della difesa Ulusi Akar ha dichiarato durante un comizio elettorale che le “armate dei crociati (Occidente cioè) si stanno ammassando e noi stiamo preparando le nostre… il giorno della guerra si avvicina, o soldato turco”. (MarcoFlorian geopolitics)
Perché queste isole greche sono così importanti per la Turchia?
Perché esse limitano la pretesa Turca di accedere alle zone economiche esclusive dell’Egeo sede degli immensi giacimenti descritti precedentemente, come li limitano la parte greco cipriota. C’è un’isola greca a tre chilometri dalla costa turca, Kastellorizos, che preclude alla Turchia 100.000 chilometri quadrati di mare da sfruttare, e la Turchia ha bisogno di quelle risorse. In più la Turchia non riconosce, unico paese nell’area, l’Unclos, il trattato che regola appunto anche le ZEE, riconosciuto dall’ONU e dalla UE, anche perché inoltre la svantaggerebbe nella gestione degli stretti del Bosforo. Inoltre, unico paese al mondo, riconosce Cipro Nord e quindi le pretese su gran parte della ZEE greco-cipriota. Dal 1996 almeno esiste un piano redatto dall’accademia militare turca, chiamato EGGAYDAK che, a seconda delle versioni, prevede il possesso da 18 a 160 isole sotto la sovranità greca che fa a braccetto con quello della profondità strategica. C’è una risoluzione del parlamento turco che dispone un’entrata in guerra della Turchia contro la Grecia se questa dovesse adeguare le proprie acque territoriali alle 12 miglia, come da UNCLOS. Si badi bene che questo adeguamento non aumenta le ZEE che resterebbe sempre di 200 miglia.
<<Come in Siria abbiamo combattuto e punito i terroristi, lo stesso faremo contro i banditi del mare. Nessuno potrà sfruttare le risorse del Mediterraneo orientale senza il nostro consenso e quello della Repubblica di Cipro Nord. Chi pensava di poterlo fare impunemente, ha cominciato a capire>>. Così il Presidente turco Recep Tayipp Erdoğan ha avvertito Exxon Mobil, Total ed ENI. (Marcoflorian geopolitics)
Le azioni, anche aggressive, per rendere instabile quest’area del Mediterraneo si sono succedute in questi anni, ricordiamo quelle su navi da prospezione per conto della Francia, degli USA e dell’Italia di circa un anno fa. Se Francia e Usa hanno reagito mandando a loro volta le loro navi militari a protezione di questi bastimenti, l’Italia non ha reagito alle minacce sulla Saipem12000 se non con azioni di blando monitoraggio, divenendo così, agli occhi della Turchia, l’anello debole. L’Egitto ha fatto scortare Saipem10000 dalla propria marina all’interno della propria ZEE, proprio per prevenire azioni di disturbo. Non dimentichiamo che le violazioni dello spazio greco sono centinaia all’anno, in varie forme. Recentemente caccia turchi hanno sorvolato proprio Kastellorizos con una simulata azione di bombardamento. Vista la politica turca sempre più aggressiva, Israele, Egitto, Grecia e Cipro hanno stipulato un’alleanza de facto e hanno ribadito in un comunicato congiunto che azioni turche di minaccia verso i loro interessi energetici avranno una reazione armata. Dietro le azioni turche comunque c’è un tacito appoggio russo, che, come spiegato sopra, ha tutto l’interesse a destabilizzare la zona e a mantenerla nell’incertezza. La Francia, nostra spina geopolitica nel fianco, gioca una politica ambigua, da una parte appoggiando Cipro e Grecia anche dislocando unità navali nelle loro basi nell’Egeo, e proponendo alleanze militari, dall’altra tentando (da indiscrezioni) accordi sottobanco con la Turchia. Uno spiraglio per una politica meno aggressiva da parte della Turchia è la scoperta di giacimenti di gas di una certa entità anche all’interno della ZEE turca, giacimenti che renderebbero meno stringenti i suoi problemi energetici. Recentemente pare esserci un ammorbidimento delle posizioni turche. Il primo ministro greco Tsipras è andato in Turchia per colloqui con Erdogan allo scopo di avviare negoziati per dirimere le controversie in sospeso. Sono stati avviati anche diversi tavoli negoziali tra cui quello tra i due ministri della difesa. Potrebbe essere però una mossa tattica turca per guadagnare tempo in attesa di aver completato il rafforzamento programmato. Bisognerebbe, come pensato in certi ambienti, adottare una strategia per il riavvicinamento della Turchia alla UE, che spiazzi Erdogan e la sua politica antioccidentale e che smuova parte dell’elettorato su posizioni più filoccidentali. Naturalmente questo in cambio di una precisa e inderogabile road map che avvicini legislativamente e democraticamente il paese alla UE. Non dimentichiamo che il consenso esplicito a Erdogan consta di circa il 46 per cento dell’elettorato… che inizia a capire i sacrifici imposti dalle dottrine economiche attuali. Esponenti del governo turco stanno creando partiti politici sempre di stampo nazionalista, ma più propensi alla UE, partiti che potrebbero erodere il bacino elettorale del partito di Erdogan. Attraverso triangolazioni con paesi del Golfo si intravvede anche una possibilità di una partecipazione turca a quote di Eastmed e lo stesso ministro greco cipriota non si dichiara sfavorevole a un’entrata della Turchia nella UE.
È forse l’ultimo tentativo per fermare un’escalation che potrebbe portare a conseguenze gravissime. Analisti hanno calcolato una probabilità di scontro armato nei prossimi 10 anni nell’Egeo tra il 5 e il 35% a seconda dell’intensità dello scontro stesso. Non è detto che il confronto sfoci in un conflitto aperto, potrebbe anche configurarsi come una serie di rivolte, sollevazioni o infiltrazioni abilmente pilotate, secondo le dottrine sulle guerre ibride sviluppate dal generale russo Gerasimov. Sembra poco il 5% di probabilità di uno scontro armato totale? Cosa pensereste se vi dicessero che il nuovo ponte a Genova che sostituirà il Morandi avesse il 5% di possibilità di crollare nei prossimi 10 anni o che una diga avesse le stesse possibilità? Basterebbe all’Italia per fare la politica dello struzzo?
Cosa deve fare l’Italia?
Mantenere una politica equilibrata ma ferma. L’Italia, tolta la Francia, è la principale potenza del Mediterraneo, questo comporta onori e oneri. In una fase così confusa, con l’arretramento dell’influenza statunitense e la politica europea ridotta a un bazar, l’Italia deve crescere dal punto di vista dell’assunzione di responsabilità e avere un ruolo guida e di garanzia degli equilibri della zona, ruolo che, più o meno velatamente, ci viene richiesto da alcuni di quegli stessi paesi. Non dimentichiamo che nelle relazioni tra stati, dove si crea un vuoto questo viene conseguentemente riempito, quasi una legge fisica, come si è visto con il paventato ritiro americano dalla Siria. L’Italia è stata invitata a partecipare all’alleanza informale tra i paesi dell’area in funzione di protezione dei reciproci interessi nell’Egeo (Egitto, Israele, Grecia, Cipro). Un suo appoggio sostanziale potrebbe anche essere una carta da giocare per una promozione “dolce” dell’incremento dei diritti umani in alcune di queste aree. L’Italia tra l’altro non può abbandonare dei paesi membri dell’Unione Europea. Inoltre i suoi interessi, come visto, sono enormi e minacciati, qualunque rinuncia in tal senso sarebbe estremamente nociva sia per il PIL che per lo sviluppo industriale e le esportazioni, nonché per la percezione che all’estero avrebbero di noi. Non dimentichiamo che l’aggiudicazione delle concessioni da parte dei paesi dell’area dipende anche dal modo e dalla forza con cui si prevede che queste concessioni vengano difese. E in questi ambiti la percezione che si ha di un paese, il suo prestigio, la sua determinazione, che sono fatti concreti e che si ripercuotono tangibilmente, possono talvolta essere ancora più importanti del valore intrinseco del paese stesso. Una presenza costante e decisa dell’Italia, una sua presa di posizione, sia soprattutto dal punto di vista diplomatico, ma anche di sicurezza militare (non dimentichiamo che l’Italia, se togliamo via la componente nucleare francese, ha la più importante marina militare del Mediterraneo, assieme appunto alla Francia, anche se tale superiorità è costantemente minata dai tagli di bilancio agli investimenti nella Difesa che avvengono nel momento e nei modi più sbagliati), può spostare completamente gli equilibri della zona, ed evitare con la sua importanza lo scatenarsi di un confronto armato di cui noi saremo tra i principali danneggiati. Non dimentichiamo che potremmo trovarci ad agire quasi da soli, senza l’appoggio sostanziale di potenze dietro le quali spesso tendiamo a rifugiarci per scaricare le nostre responsabilità. Francia e soprattutto Germania, come spiegato sopra, per varie ragioni non hanno alcun interesse ad appoggiarci se non in maniera formale e di facciata e soprattutto non ci toglierebbero le castagne dal fuoco al posto nostro se non in cambio di enormi contropartite e gli USA potrebbero essere distratti da altre zone del globo per loro molto più strategiche (vedi anche ritiro dalla Siria abbandonando gli alleati curdi)
Quindi, dovremmo assicurare l’appoggio a Grecia e Cipro, magari con una presenza costante di qualche nostra nave nelle loro basi, ma nel contempo, forti della nostra importanza, e comunque della percezione conseguente che avrebbe di noi la Turchia, cercare un accordo non squilibrato con essa. Insomma, dovremmo essere attori e promotori degli eventi in questa area, guidarli, non subirli passivamente, altrimenti ne pagheremo conseguenze pesanti.
Si ringrazia vivamente MarcoFlorian geopolitics per la grande quantità di materiale messa a disposizione.