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Molti ricorderanno la controversa inaugurazione della stagione 2019-2020 di «Report» con l’inchiesta del 21 ottobre scorso La fabbrica della paura, nella quale veniva dipanato il “filo nero” che collegava “la metamorfosi leghista” allo scandalo della trattativa di compravendita di gasolio russo in cui erano rimasti “impigliati” Salvini e il suo ex portavoce Savoini. Quei discussi abboccamenti erano presentati come “una tessera di un mosaico molto più ampio, che vede sullo sfondo la nascita di un asse internazionale tra forze estremiste in Russia e negli Stati Uniti”.

Il 27 aprile 2020 «Report» è tornata a caccia di brune matasse con l’inchiesta Il virus nero, volta a esaminare la “pandemia di disinformazione” riguardo al fenomeno Coronavirus. Anche in questo caso, veniva sostenuta la tesi di un presunto “filo nero che lega tra di loro alcuni dei contenuti di disinformazione diventati più virali”. Si voleva infatti dimostrare, con l’aiuto di “esperti di propaganda online”, di informatici e di esponenti di ONG come Avaaz, che “siti di destra estrema e di alternative right hanno spinto in tutto il mondo la diffusione di video e post, contribuendo a creare una narrazione complottistica e allarmistica sul Coronavirus”.


Dopo avere trattato brevemente l’anomala diffusione virale dell’ormai celeberrimo servizio del «TGR Leonardo», relativo allo studio pubblicato su «Nature» nel 2015 che annunciava la creazione di un virus-chimera a partire dal SARS-CoV, il servizio proponeva altri esempi di notizie false o manipolate in una rapida carrellata che saltava dai “falsi raid per distruggere le antenne” del 5G ad alcune dichiarazioni di Stefano Montanari su «Byoblu24» (un video in seguito rimosso perché “denunciato dalla comunità scientifica come pericoloso e antiscientifico”), dal “ruolo di Bill Gates nella nascita del Coronavirus” (“altro cavallo di battaglia della disinformazione”) ai consigli di bere spesso acqua per eliminare il virus. A quest’ultimo tipo di raccomandazioni dai possibili “effetti devastanti” sulla salute erano peraltro accostate altre dichiarazioni di Montanari, il quale aveva osato (nientemeno!) sconsigliare l’uso dei guanti (v. la trascrizione completa dell’inchiesta, p. 5). Non poteva mancare un accenno a Salvini, a cui si imputava di avere rilanciato in televisione l’appello per la riapertura – “ordinata, composta, sanitariamente sicura” – delle chiese a Pasqua, già promossa da Forza Nuova, uno “tra i partiti italiani più attivi sul fronte della disinformazione online”. I restanti tre quarti del servizio erano quindi dedicati alla ricostruzione delle fortune economiche di Roberto Fiore, ai modi in cui si sostiene la rete neofascista europea e ad altri fatti che avrebbero potuto fornire “novità rilevanti sulla strage della stazione di Bologna”.

Per quanto accurata potesse essere la seconda parte dell’inchiesta, non era certo di aiuto per valutare criticamente i contenuti e gli argomenti di quella che veniva sbrigativamente definita disinformazione sul Coronavirus, un’ampia e vaga nebulosa trattata con superficialità e faciloneria, frullando in unico paiolo brandelli di opinioni argomentate con briciole di impressionistiche notizie per smentirle tutte insieme in maniera apodittica e tautologica. A questo proposito, mi permetto di riportare qui qualche passaggio di un mio nuovo scritto in risposta ad alcune obiezioni circa gli Appunti di una lezione mai svolta, ai quali avevo già accennato in un precedente articolo sul blog del MR:

“Gli orientamenti politici, le convinzioni ideologiche e religiose di chi enuncia o diffonde un messaggio non possono essere […] assunti come criteri di veridicità del messaggio stesso, ma la fallacia ad hominem circostanziale, insieme con molte altre strategie retoriche (argomenti fantoccio, argomenti ab auctoritate e ad ignorantiam, petizioni di principio, colpa per associazione) viene spesso usata a piene mani da un giornalismo e da istituzioni che accusano di mistificazione l’informazione indipendente con un’insistenza e un accanimento pari alla pervicacia con cui essi stessi profondono sistematicamente menzogne, omissioni e manipolazioni. Gli abbondanti esempi degli ultimi mesi proseguono nel solco di una lunga tradizione arricchitasi negli anni di perle indimenticabili, spesso usate per giustificare guerre così umanitarie da produrre milioni di morti. Oltre al grottesco paradosso del bue che dà del cornuto all’asino, si assiste poi a uno spettacolare rovesciamento dei ruoli a livello politico, per cui chi ha per anni denunciato gli «impresari della paura», rei di raccogliere consensi alimentando timore e odio (soprattutto verso gli immigrati) per poi reclamare «pieni poteri», adesso sostiene convintamente un regime di polizia sanitaria che sospende a tempo indeterminato una impressionante serie di libertà fondamentali, usando il bastone del panico e la carota della speranza di generose promesse relative a guinzagli leggermente più lunghi”. Allo stesso modo, i già zelanti persecutori di ex ministri macchiatisi – a loro sommo giudizio – di sequestro di persona, non hanno oggi nulla di ridire riguardo alla revoca delle libertà e al collasso di una nazione intera.

“Penso che chi si proclama sinceramente democratico dovrebbe impegnarsi a discutere ed eventualmente a contestare – anche duramente, ma sempre nell’ambito di un confronto dialettico – le idee di chi la pensa diversamente, senza ricorrere alla ormai consueta pratica della demonizzazione o della censura di avversari politici e ideologici (magari brandendo pure a sproposito il «paradosso della tolleranza» di Karl Popper). Oltre a essere una negazione di fatto delle basi del confronto democratico, in ultima analisi simili atteggiamenti di chiusura rischiano altresì di inficiare la capacità di giudizio, ingessandola in artificiose polarizzazioni”. Dove porti questa ostinata tendenza al pensiero duale è sotto gli occhi di tutti coloro che non hanno indossato il monocolo (perfetto pendant del bavaglio) generosamente elargito ogni giorno dall’autoproclamato Ministero della Verità. Ne ha discusso impeccabilmente Giorgio Cattaneo proprio nell’articolo precedente, del quale raccomando la lettura, limitandomi a concludere con una riflessione su uno dei tanti frutti avvelenati prodotti dal paradigma della quarantena totale.

“Quanto alla questione del tracciamento, sarebbe senz’altro ingenuo pensare che abbia inizio soltanto adesso: il problema del controllo digitale è annoso e si è gravemente acuito dopo l’11 settembre 2001 (nello stesso periodo che ha visto lo sviluppo dei social network) anche in virtù di una scarsa consapevolezza generale riguardo a questo tema. Capita sovente che chi rimarca l’importanza di un approccio rigoroso, strutturato e trasparente a garanzia della riservatezza online, nonché l’esigenza di adottare individualmente dei minimi accorgimenti di tutela personale, venga bonariamente deriso come un esagerato paranoico da coloro i quali considerano che i piccoli affari della quotidianità dei comuni cittadini siano privi d’interesse e che quindi non ci sia «nulla da nascondere». La sottovalutazione del problema o, in maniera speculare, la rassegnata presa d’atto che «tanto ormai siamo tutti sorvegliati» possono aver giocato un ruolo non secondario nel favorire la diffusa accettazione dell’idea del tracciamento digitale in momenti di dichiarata pandemia, sicché anche qualche tenue perplessità è stata facilmente accantonata (forse pure in questo caso con un po’ di ingenuità) di fronte alle rassicurazioni relative a «dati numerici e non nominativi», alla loro conservazione per un periodo di tempo limitato e alla successiva eliminazione.

Proprio l’esperienza attuale, tuttavia, induce a nutrire qualche dubbio sulla temporaneità della sorveglianza e sulle sue modalità apparentemente sicure: è a tutti evidente, infatti, che la stessa sospensione delle libertà costituzionalmente garantite, dapprima presentata come eccezionale, circoscritta e transitoria, si sta prolungando ben oltre le poche settimane inizialmente previste, mentre al contempo un coro sempre più numeroso avverte che sarà necessario abituarsi alla nuova vita, perché «nulla sarà più come prima» (sarebbe peraltro gradita una esplicitazione dei motivi che proprio ora rendono imprescindibile tale cambiamento radicale). È difficile pertanto scacciare il forte sospetto che il tracciamento digitale, alla cui adesione si rischia di vedere dipendere magari la fruizione di servizi e quindi la piena partecipazione alla vita sociale, politica ed economica, non sia altro che l’ennesimo regalo avvelenato (come altri spacciati per miracolosamente risolutivi) contenuto nell’enorme cavallo di Troia che è stato introdotto nelle nostre città grazie alla subdola opera persuasiva di tanti novelli Sinone”.

(Davide Romano, 23 maggio 2020)

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