Anticamente, la Lega era NoTav. Poi, la folgorante conversione sulla via di Lione. Niente, però, in confronto al miracolo dei 5 Stelle: il loro strano premier annuncia di colpo che l'Italia deve arrendersi “all'Europa”, rassegnandosi al surreale tunnel miliardario, mentre Luigi Di Maio cade dalle nuvole, poverino. Di più: annuncia un'eroica resistenza contro il Leviatano affaristico. Scordandosi di essere incidentalmente al governo, ora gli impavidi pentastellati “combatteranno” in Parlamento, dove sanno già che il voto è scontato, a favore della Grande Opera Inutile.
Strano modo di combattere, quello dei 5 Stelle: Ilva e Tap, trivelle e vaccini. Prima no, poi sì. Ora tocca al Tav, la barzelletta del nord-ovest: una ferrovia-doppione, un binario morto condannato dalla storia. In otto anni, s'è fatta solo una piccola galleria esplorativa. Dell'euro-traforo da 57 chilometri non s'è scavato neppure un metro. Eppure, “Dio lo vuole”. E i grillini sono lì per esaudire il volere divino (a modo loro e cioè barando, alla faccia dei loro elettori). A proposito di faccia: lo stesso Grillo ci mette la sua. Era stato il primo a salire sulle barricate, e ora è il primo a scendervi: contrordine, compagni. Si scherzava, anche in valle di Susa.
Gli oppositori dicono che la Torino-Lione non servirebbe a niente. E passi. Il guaio è che lo dicono anche 360 tecnici dell'università italiana, che in passato si rivolsero direttamente a Palazzo Chigi e al Quirinale, chiedendo alle massime autorità di rinunciare allo spreco più disastroso del secolo, nel paese dove le opere utili crollano. Ma il peggio è che i governi – di ogni colore, compreso questo – continuano a insistere in modo teologico su un'infrastruttura contestatissima, senza mai spiegarne la necessità. Di fronte a prove inoppugnabili, la protesta alla fine si sgonfierebbe. Ma le prove non arrivano.
Peggio: l'unica commissione istituita in vent'anni sul tema, quella voluta da Toninelli e presieduta da Marco Ponti, dimostra (una volta di più) che la Torino-Lione è meglio non farla, perché avrebbe costi faraonici, utilità inesistente e profilo occupazionale ridicolo. E quindi la si farà, dice Conte. Un problema psichiatrico, di dissociazione cognitiva? Macché: a imporre il voltafaccia ai 5 Stelle, sostiene l'ex ministro Rino Formica, è stato l'ambasciatore statunitense Lewis Einsenberg. Al che, l'amletico Di Maio – tra l'incudine e il martello – non ha esitato a stabilire chi ci avrebbe rimesso, anche stavolta: gli italiani.
Sono stufi, i connazionali? Qualcuno sì, altri chissà. Lo sono sicuramente gli elettori 5 Stelle, i più sfortunati: avevano sperato che qualcosa potesse davvero cambiare, nel Dna del potere governativo, almeno in termini di trasparenza. Gli elettori della Lega sono stanchi dei 5 Stelle, e quelli del Pd sono nauseati dalla Lega. Tra parentesi, esiste ancora, il Pd? Forse sì, se è vero che ogni tanto si imbarca sulle navi delle Ong o addirittura sale a bordo del governo Macron, come nel caso del marinaio-patriota Sandro Gozi, ennesimo campione del nuovo Risorgimento che usa le capitali europee per bombardare il Belpaese. Tutti, in fondo, remano contro: sovranisti, populisti, sciampisti ex-progressisti. Telefonano a Putin, implorano Trump e mercanteggiano coi cinesi, ma poi mandano Tria a inchinarsi a Bruxelles e votano Ursula von der Leyen a capo della Commissione.
Gli italiani assistono, un po' smarriti, allo spettacolo: è estate, e quindi si fa beccare sull'acquascooter della polizia il figlio dello sceriffo Salvini, l'ultimo yesman del rinomato Club Tav. Credere, obbedire e combattere. Credere a Di Maio, magari, anche quando s'inventa il mandato-zero per allungare la vita dei grilleggianti, traumatizzati dai sondaggi. E soprattutto obbedire, sempre e comunque, al potere alieno che al nostro paese (ancorché gialloverde) continua a rifilare di tutto: dal deficit-zero di Tria, fino all'utilità-zero della ferrovia più comica d'Europa.