Lo chiamano Mbemba, ma non è il suo vero nome. Ha venticinque anni, è in Italia da qualche mese. Faceva il calciatore, il saldatore, il facchino. Viene dall'Africa centrale, dove tutto è Francia – anche la moneta. Da noi va a scuola, impara l'italiano e lavora come lavapiatti, ma vorrebbe diventare un elettricista. Ora ha scoperto che, se non gli verrà riconosciuto il diritto d'asilo, tra poche settimane diventerà un fuorilegge: non potrà più tornare a dormire, la sera, nella stanza che oggi gli viene assicurata. Il Comune sarà obbligato, per decreto, a revocargli la residenza. È la politica, gli dicono: la politica senza statisti. Ha idea, Mbemba, di cosa sia uno statista? Sa bene che non lo è il presidente del suo paese, servo della Francia. E sa che non lo è neppure il presidente della Francia, i cui cittadini oggi invadono le strade con indosso i gilet gialli. Lo capisce anche Mbemba, che questa Europa non sta in piedi. Tanto per cominciare non ci sono statisti, in circolazione.
Cos'è uno statista? È un politico, certo. Ma diverso da quelli di oggi. È un politico che non si lascia condizionare dai sondaggi, dalla paura di perdere voti. È uno che, le cose, le mette a posto: è lì per quello. Lavora ogni giorno, per metterle a posto: se non oggi domani, e se non domani l'anno prossimo. Uno statista è qualcuno che lavora per il futuro, che ha a cuore la pace di tutti: e sa che, se ci sono problemi grossi, nessuno può starsene veramente tranquillo. Sa anche che i problemi non hanno mai un solo colpevole. Sono complicate, le faccende della politica. Le società sono complesse. Proprio a questo servono gli statisti, quando ci sono: a fare il possibile per mettere tutti d'accordo. A volte un piccolo sacrificio sopportabile, richiesto a ciascuno, può evitare che a qualcuno tocchino sacrifici insopportabili. Tutta l'Europa, oggi, sembra sul punto di indossare un gilet giallo: a troppi è toccato subire sacrifici insopportabili. Ma in tutto questo, che colpa hanno quelli come Mbemba?
Un conto è dire, onestamente: “Chiudiamo le frontiere. Dunque sappiano, gli altri Mbemba in arrivo, che d'ora in poi non ci sarà più posto, per loro”. E un altro è dire: “Voi, Mbemba d'Italia, già ospiti da mesi di questo paese, ora dovrete sloggiare”. Il motivo, dice il governo, è che non ci sono più soldi. È vero, purtroppo. E la colpa non è nemmeno del governo, ma dei cassieri dell'Europa, gli amici del presidente francese. In tanti, in Italia, si avventano contro il governo: oggi sono tutti buoni, fraterni difensori degli amici di Mbemba. Ieri, invece, erano in Parlamento a votare le leggi che hanno tagliato i fondi al governo – fondi che non servivano solo a dare un tetto a Mbemba, ma anche a rappezzare le buche nelle strade, a generare lavoro, a garantire una vecchiaia serena all'anziana signora che vive nell'alloggio accanto a quello di Mbemba, e che ormai fatica ad arrivare alla fine del mese.
Ha ragione, il governo? In parte sì, purché non ci vada di mezzo Mbemba – a cui lo Stato italiano aveva garantito un'assistenza dignitosa, ancorché temporanea. Cosa farebbe, oggi, uno statista? Lavorerebbe per tutti: per rassicurare Mbemba, ma anche l'anziana signora della porta accanto. Uno statista non alzerebbe mai la voce con Mbemba: lo farebbe con i cassieri dell'Unione Europea. Uno statista direbbe: signori, non possiamo cacciare Mbemba, perché gli avevamo dato la nostra parola. E ancor prima, avevamo garantito – alla sua anziana vicina di casa – che mai avrebbe dovuto angustiarsi, per penosi motivi economici, negli anni difficili della sua vecchiaia. Senza uno statista, è probabile che Mbemba – tra qualche mese – se ne debba davvero tornare al suo paese, nell'Africa centrale, dove l'ultimo statista del continente fu assassinato tanti anni fa, il 15 ottobre del 1987, dopo aver annunciato al mondo che più nessuno, degli Mbemba della sua terra, sarebbe stato ricattato dal denaro fabbricato all'estero.
Magari Mbemba non lo sa, ma gli statisti non li porta la cicogna. Non nascono dalla sera alla mattina: per farli arrivare servono idee. Servono qualità umane, e serve tempo. Quello che però sanno – Mbemba, e anche la sua anziana vicina di casa – è che ci sarebbe un gran bisogno, di gente così. Ci sarebbe un gran bisogno, di persone responsabili e ragionevoli. E coraggiose. Che dicessero: signori, così non va. Non è colpa di qualcuno, è colpa di tutti. È il sistema, che non funziona. Vi sembra giusto invitare un giovane africano in Italia, a cui dire – di punto in bianco – che ora dovrà sloggiare? E vi sembra giusto dire, all'anziana italiana, che il governo non sa come aiutarla con le bollette e con la spesa al supermercato, dopo che i governi precedenti (i falsi amici di Mbemba) le hanno tagliato la pensione?
A questo serve, uno statista: a far capire che l'animosità è disonesta, ed è anche una gran perdita di tempo. Non servono capri espiatori, all'anziana signora: servono statisti. Non se ne vedono, all'orizzonte? Non ancora. Non ne vedeva nemmeno l'Africa, fino al giorno in cui Thomas Sankara non si trovò al governo. Sedette, al tavolo. Siamo pieni di problemi? Bene, parliamone. Li risolveremo. Non per passare alla storia, o per vincere le elezioni. Ma per far stare tutti meglio. Ecco il punto: stare meglio, tutti. Africani, francesi, italiani. Adesso, da domani. Unica condizione: dire la verità, sempre. Anche la verità più scomoda. Quella in cui sono bravissimi proprio loro, gli statisti.
Editoriale / LO STATISTA CHE SERVE ALL'ITALIA
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- Categoria: La Voce
- Postato da Giorgio Cattaneo