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Le partecipate statali: Fincantieri.

Di Michele Naccheri e Antonio Avigliano, Dip. GeD di MR.

Terzo appuntamento con l’approfondimento sulle partecipate statali, dopo ENI https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/blog-dipartimenti/geopolitica-e-difesa/2178-il-ruolo-delle-partecipate-statali-nella-crescita-dell-italia-prima-parte-eni.html
e Leonardo, https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/blog-dipartimenti/geopolitica-e-difesa/2179-il-ruolo-della-partecipate-statali-nella-crescita-dell-italia-parte-seconda-leonardo.html
partecipate che, lo ricordiamo, sono la spina dorsale strategica della nostra eccellenza tecnologica e che vanno assolutamente difese dagli appetiti stranieri. Partecipate, che grazie alle loro caratteristiche, in tempi di post-covid, hanno una resilienza superiore alla maggior parte del resto dell’economia, e che possono quindi fare da traino per il rilancio del paese. Partecipate in attivo, che portano soldi nelle casse dello stato e che non ha alcun senso pensare di privatizzare ulteriormente, pena la perdita di strategici asset industriali e di eccellenza tecnologica a beneficio di soggetti esteri, con conseguente scadimento del nostro ranking internazionale.

Fincantieri nasce all'interno dell'IRI il 29 dicembre 1959, con la mission di raccogliere e concentrare le partecipazioni delle principali società di Stato attive nella costruzione e riparazione delle navi e per coordinare la produzione dei cantieri pubblici, sostenendoli sul piano tecnico e finanziario. Ad essa viene destinato circa l’80% della cantieristica italiana attraverso la partecipazione e il controllo delle società cantieristiche CRDA, OTO, Navalmeccanica e Ansaldo, dapprima amministrate dall’IRI passate poi sotto la gestione di Finmeccanica.

Nel 1984 Fincantieri subisce una metamorfosi storica, trasformandosi da holding finanziaria delle partecipazioni statali a società operativa vera e propria guadagnando il timone delle attività produttive delle società che prima si limitava a controllare. Nel corso di questa profonda riorganizzazione, incorpora numerose altre società importanti, tra cui Italcantieri e Cantieri navali riuniti (ex gruppo Piaggio) arrivando a contare poco meno di 30.000 dipendenti.

A fine 2012 Fincantieri sbarca nel settore della navalmeccanica offshore. Acquista per 900 mln di euro il pacchetto di maggioranza (50,75%) della STX OSV Holdings Ltd, il più grande costruttore al mondo di mezzi di supporto alle attività di estrazione e produzione di petrolio e gas naturale.

Nel Maggio 2017, Fincantieri vince l'asta per l’acquisizione del 66,66% di ‘’STX France’’, dopo il fallimento della casa madre sudcoreana. L'operazione viene in un primo momento vanificata dal Governo francese, il quale, ricorrendo al diritto di prelazione previsto dagli accordi precedenti con la holding sudcoreana, procede alla nazionalizzazione dell'azienda (di cui già controllava il complementare 33,34%).

Dopo mesi di trattative tra Palazzo Chigi e l'Eliseo, nel Settembre 2017, viene siglato l’accordo di Lione e, nel Febbraio 2018, definito il contratto di compravendita tra Fincantieri e lo Stato francese.

Il contratto prevede che la Francia, tramite "Agence des Participations de l'État" (APE), avvalendosi del diritto di prelazione, salga al 100% di "STX France" e successivamente ne cederà a Fincantieri Europe S.p.A. il 50%. Infine APE ‘’presterà’’ a Fincantieri Europe l'1% di "STX France" per 12 anni al fine di poter esercitare la quota di maggioranza della società. La cessione viene inoltre regolata con una serie di clausole, che, in caso di inadempimento, comporterà la revoca dell’accordo. Accordo per altro ancora in forse per le ‘’ferree’’ regole dell’Europa in fatto di mercato interno e concorrenza .

Nota a margine: non si capisce perché se allo stato francese andava bene che una società coreana controllasse il 66% di STX, non sarebbe andato bene un controllo da parte di Fincantieri, società dell’Unione Europea e di un un paese amico e confinante, di un’analoga quota. Il sospetto è che, visto che ai quei tempi era in atto un’offensiva, più o meno palese, più o meno discreta, francese per l’acquisizione di importanti asset in molti settori industriali strategici italiani, questo avrebbe pregiudicato una futura scalata per Fincantieri stessa, o meglio per gli asset più pregiati, come il militare.

Attualmente il capitale sociale della Società è detenuto per il 71,32% da CDP Industria S.p.A.. A sua volta il capitale sociale di CDP Industria S.p.A. è detenuto al 100% da Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., controllata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze per l'82,77%. Ciò comporta una partecipazione netta dello Stato Italiano in Fincantieri per il 59% dell’intero capitale sociale.

 

Da:  https://www.fincantieri.com/it/governance/azionisti/

  • ORGANIZZAZIONE

Fincantieri è uno dei più importanti complessi cantieristici al mondo e il primo per diversificazione e innovazione. È leader nella progettazione e costruzione di navi da crociera e operatore di riferimento in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia. Nelle navi da crociera è il riferimento, nonché il detentore delle maggiori quote di mercato, grazie all’enorme flessibilità nella realizzazione e produzione, apprezzatissimi da clienti sempre attenti al trend e alla “moda” delle crociere, e al fascino del “italian style”.  Il business spazia dalle navi militari all’offshore, dalle navi speciali ai traghetti a elevata complessità ai mega-yacht, nonché nelle riparazioni e trasformazioni navali, nella produzione di sistemi e componenti nei settori meccanico ed elettrico.

Il Gruppo opera attraverso i seguenti tre segmenti:

  • Shipbuilding: include le aree di business delle navi da crociera ed expedition cruise vessels, navi militari, traghetti e mega-yacht;

 

  • Offshore e Navi speciali: include la progettazione e costruzione di navi da supporto offshore, navi specializzate, navi per impianti eolici offshore e l’acquacoltura in mare aperto, oltre che l’offerta di propri prodotti innovativi nel campo delle navi e piattaforme semisommergibili di perforazione.

Questo segmento, vede protagonista la ‘’controllata’’ norvegese STX OSV (rinominato VARD nel 2013) specializzato nella progettazione e costruzione di mezzi di supporto offshore di alta gamma;

  • Sistemi, Componenti e Servizi: include le aree di business della progettazione e produzione di sistemi e componenti ad alta tecnologia, quali sistemi di stabilizzazione, propulsione, posizionamento e generazione, sistemi di automazione navale, turbine a vapore, sistemi integrati, cabine, servizi di riparazione e trasformazione, servizi di supporto logistico e post vendita, nonché fornitura di soluzioni nell’ambito dei sistemi elettronici e software e nelle infrastrutture e opere marittime.
  • RISULTATI ECONOMICI

I ricavi del gruppo nell’esercizio 2019 raggiungono l’ammontare record di 5,8 mld di euro, in aumento di 433 milioni rispetto al precedente esercizio (+8,0%). Ciò grazie alla notevole crescita dei volumi nei settori Shipbuilding (+8,8%) e Sistemi, Componenti e Servizi (+38,1%) a fronte di una riduzione delle attività nell’ambito Offshore e Navi Speciali (-29,4%) complice la contrazione degli investimenti a livello globale del comparto Oil & Gas.

Facendo un focus sui ricavi dello Shipbuilding, notiamo che le navi da crociera la fanno da padrona segnando un aumento del 10,8% rispetto al 2018 e contribuendo ai ricavi di Gruppo per il 56%. I ricavi dal segmento delle navi militari registrano un aumento del 4,8% con un incidenza sui ricavi del Gruppo pari al 23%. Il settore militare peraltro è quello a più alta redditività e valore aggiunto, e vista l’altissima tecnologia, quello che comporta più indotto e maggiore aumento del PIL per investimento. Cioè per ogni euro investito c’è un ritorno di valore di 3,4 euro. Il più atto tra i vari settori industriali.

Il settore militare, sia interno che esportato, in questo momento diventa fondamentale per compensare le prevedibili contrazioni del settore croceristico e quelli dell’off shore e navi speciali,  minati dalle conseguenze del COVID.

A dimostrazione del valore del gruppo va sottolineato che sul complessivo dei ricavi, a pesare maggiormente sono gli ordini verso clienti esteri che rappresentano l’82% del totale.

Da: Bilancio 2019 - https://www.fincantieri.com/

Floridissima la situazione relativa agli ordini registrati nel corso del 2019. Essi ammontano a circa 8,7 mld di euro (in linea con il 2018), per 28 nuove navi. Degli ordini complessivi, il settore Shipbuilding pesa per il 93% (82% nel 2018), il settore Offshore e Navi speciali pesa per il 2% (11% nel 2018) e il settore Sistemi, Componenti e Servizi pesa per il 10% (12% nel 2018).

Chiudiamo lo spaccato guardando ai numeri relativi agli investimenti del Gruppo. Essi rispecchiano a pieno la ‘’mission’’ di Fincantieri e la chiara volontà di rimanere leader mondiali nei settori di riferimento. Questo si evince dal rapporto investimenti/ricavi che nel 2019 tocca la quota 4,8% in crescita di quasi il doppio rispetto a quanto registrato nel 2018 (2,9%). Essi ammontano a 279 mln di euro e sono principalmente legati all’adeguamento delle aree operative delle infrastrutture di alcuni stabilimenti italiani ai nuovi scenari produttivi futuri che prevedono la costruzione di navi sempre più grandi e vedono un forte incremento del volume di attività legato principalmente alla gestione del consistente carico di lavoro già acquisito.

Fincantieri inoltre si espande anche in aree contigue a quelle navali, ma non coincidenti, come a esempio la recentissima acquisizione Support Logistic Services (SLS), società specializzata nella realizzazione, installazione e manutenzione di sistemi di comunicazione satellitare, sistemi radar e di comunicazione radio, per applicazioni in ambito militare e civile.

  • ATTUALITA’

Per comprendere il grande valore strategico del Gruppo Fincantieri per l’Italia nello scacchiere geopolitico europeo e globale riportiamo 2 avvenimenti che riguardano da vicino il gioiello tricolore.

 ‘’Affaire’’ Fincantieri - STX

Come visto nel Cap.1 nel Febbraio 2018 sembrava essersi conclusa la telenovela Fincantieri – STX. Tuttavia a Gennaio 2019, su richiesta di Berlino e Parigi, la Commissione europea ha accettato di aprire il dossier dei Chantiers de l’Atlantique per valutare la coerenza dell’operazione con le regole dell’antitrust comunitarie.

L’indagine della Commissione, avviata lo scorso Ottobre, giunge due mesi più tardi alla seguente conclusione preliminare: l’operazione sarebbe incompatibile con le regole del mercato interno. Da qui si sono susseguite una serie di risposte (ai dubbi di Bruxelles) del Gruppo Fincantieri, e timidi tentativi di intervento del Governo nella persona dello stesso premier Conte. Tuttavia ad oggi, complice la situazione legata al Covid-19, non si è ancora giunti ad una decisione definitiva che pare lontana anche per stessa ammissione della commissaria europea alla concorrenza Vestager.

La linea del Governo è quella che le norme sulla concorrenza siano ormai superate in quanto elaborate anni fa, quando ancora non c’era un’idea chiara di mercato globale. Pertanto, seguire quelle regole adesso e applicarle sarebbe un errore, perché è limitativo per i ‘’campioni’’ europei come Fincantieri.

Concordando con la linea del Governo italiano e volendo ipotizzare un ipotetico (quanto tardivo) endorsement di Bruxelles al matrimonio in questione, rimangono tuttavia dubbi e delusioni per la lentezza decisionale in una questione che sembra invece essere molto semplice e in linea con quanto invocato dalla Commissione in tema di integrazione industriale dei Paesi membri.

Rimane anche l’amaro in bocca per l’atteggiamento di Parigi che dopo una prima intesa su Stx, cercava la collaborazione di Roma nell’ambitissimo settore militare, abbozzando la strada per una progressiva alleanza tra Fincantieri e la francese Naval Group.

 Val la pena di far notare che proprio nell’ambito militare navale l’Italia è il principale concorrente della Francia e che, anzi, visti i recenti successi negli Usa (FFGX) e nel Qatar, la sta affiancando e in molti casi  superando anche come livello tecnologico.  Con la sottocitata recente vendita delle fregate FREMM modificate agli USA, Fincantieri oramai si pone ai vertici mondiali nella costruzione di navi militari di medio tonnellaggio.

Insomma mentre l’instabilità degli scenari geopolitici mondiali impone agli Stati europei di rinnovare e adattare i propri strumenti navali alle nuove minacce, in un momento storico in cui il maritime security diventa priorità strategica di molti Paesi (in particolare i colossi asiatici), rimaniamo spettatori dell’immobilismo e l’inadeguatezza burocratica dell’Europa e della furbizia transalpina.

Fregate FREMM agli USA

 Lo scorso Aprile, la controllata Fincantieri ‘’Marinette Marine Corporation’’ si è aggiudicata la gara del programma FFG(X) per la fornitura di una fregata lanciamissili alla marina militare statunitense. La commessa del valore di circa 800 milioni di dollari prevede, oltre la costruzione della fregata suddetta, l'opzione per la costruzione di altre 9 fregate nonché il supporto post vendita e l’addestramento degli equipaggi per un complessivo che può arrivare a 5,5 miliardi di dollari.

La vittoria consolida il lavoro avviato anni fa da Fincantieri con la US Nav, per la quale è già in corso la costruzione di 16 navi multiruolo LCS (Littoral Combat Ship) per le operazioni in acque litorali di medie dimensioni, delle quali 10 sono state già consegnate e 6 in lavorazione. LCS peraltro fornite anche alla Reale Marina Saudita (4 unità) tramite lo stesso Governo degli Stati Uniti.

Per gli esperti del settore era prevedibile che Fincantieri fosse la favorita, ma la sorpresa poteva essere dietro l’angolo, come è stato nella gara per le fregate australiane, dove anche lì le Fremm avrebbero dovuto essere le favorite… Infatti la concorrenza non è stata delle più semplici da affrontare. Parliamo infatti dei cantieri General Dynamics Bath Iron Works, di Huntingron Ingalls e di Austal. A questi si aggiungono i colossi Atlas Nord America che aveva proposto una MEKO A-200 di derivazione tedesca, e Lockheed Martin con la Freedom che si sono ritirare a gara in corso. Alla fine la US Navy ha deciso di affidarsi al Gruppo triestino, giudicando il progetto FREMM come il più avanzato e innovativo ed il migliore al mondo sotto il profilo tecnologico.

Il tutto rientra nella nuova strategia USA di concentrare l’attenzione oltre che su attività militari di livello costiero (brown waters del cui acquisto LCS è figlio), anche su attività per  fregate da “blu waters”.

È utile rammentare che l’US Navy non costruisce fregate dagli anni ottanta, poiché, con il sopraggiunto collasso dell’Unione Sovietica ed il declino costante dell’operatività della Flotta Russa, nella Marina Statunitense si era diffusa la convinzione di poter rinunziare alle unità del tipo fregata.

Oggi invece, con la rinnovata attività sottomarina russa in Atlantico e Mediterraneo e la crescente pressione aeronavale cinese nell’area del Pacifico, la Marina Statunitense si è vista costretta a rivedere le sue strategie operative.

A conferma della grande stima per il Gruppo triestino, il capo di Stato maggiore della US Navy, l’ammiraglio Mike Gilday, ha dichiarato che “le unità tipo FFG saranno una parte importante della nostra futura flotta, FFG è l’evoluzione delle Small Surface Combatant con una maggiore letalità, capacità di sopravvivenza e migliorata capacità di supportare la strategia di difesa nazionale nell’ambito dell’intera gamma di operazioni militari. Sicuramente ci aiuterà a condurre le operazioni marittime in modo più efficace e migliorerà la nostra capacità di combattere sia in alto mare che vicino alle coste”.

Da segnalare inoltre che il cantiere della “Marinette Marine Corporation” era stato visitato dal vicepresidente USA Mike Pence lo scorso novembre. Pence tenne un lungo discorso definendo lo stabilimento una realtà produttiva che “ha giocato un ruolo fondamentale nella Difesa nazionale”.  A questi recentemente si è affiancato lo stesso Trump che ha dichiarato: "Siete un patrimonio del Paese. Forgerete il futuro della Navy".

Sarebbe auspicabile che certe affermazioni siano rivolte anche da politici italiani alla parte nazionale dei nostri cantieri navali.

Prima dell’acquisizione da parte di Fincantieri i cantieri Marinette erano sull’orlo del fallimento, con produzione, organizzazione e obsolescenza marcati. Sono stati rivoltati come calzini e portati a un standard di eccellenza paragonabile a quello dei cantieri italiani, con annessa una considerevole riduzione dei costi sia di produzione che gestionali, tali da renderli ai vertici USA come produttività. E non è un caso che si sia arrivati a questi risultati di vendita. Risultati che fanno pensare a una partecipazione futura, per certi versi inconcepibile fino a pochissimo tempo fa, per la gara per la sostituzione dei caccia Arleigh Burke, la vera ossatura della US Navy.

Nel lungo processo di selezione tecnica e politica, quindi, un ruolo decisivo potrebbe averlo avuto la filosofia dell’amministrazione Trump (come indicano alcune fonti italiane). Considerando il cantiere Marinette comunque uno stabilimento americano, i capi politici del Pentagono potrebbero aver scelto il progetto italiano seguendo la filosofia di Trump non solo di abbassare i prezzi delle forniture militari, ma allo stesso modo rafforzare a livello industriale e politico il rapporto con l’Italia, a dimostrazione del peso geopolitico del colosso triestino.

 

 Fregate FREMM all’Egitto

La vicenda libica ha evidenziato i limiti e l’incapacità di Roma di incidere nel Mediterraneo. Tutto ciò contemporaneamente a un ritorno in auge della politica aggressiva e espansionistica di Ankara, tornata in Tripolitania dopo oltre un secolo.

Quindi se da un lato abbiamo un Erdogan che in pochi mesi ha permesso al governo Sarraj di riprendere parte della Tripolitania e di minacciare le aree sotto controllo diretto del LNA di Haftar, dall’altra vediamo l’immobilismo di Conte quasi rassegnato all’inconsistenza e alla confusione.

In questo complesso e disperato scenario, un’utile sponda viene proprio da, e attraverso Fincantieri. Ed il suo ruolo chiave nella partnership con l’Egitto che diventa sempre più alleato naturale in chiave anti-turca.

La partnership Italia – Egitto vede appunto protagonista Fincantieri quale fornitrice di 2 fregate FREMM-IT e che rappresentano per il Cairo un enorme salto di qualità (basti pensare che sostituiranno le fregate Knox ormai obsolete e superate).

A queste potrebbero aggiungersi altre 4 fregate (come riportato da Arab Weekly) e 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, oltre a 24 caccia Eurofighter Typhoon e numerosi velivoli da addestramento M-346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore complessivo di 10,7 miliardi di dollari. Se così fosse, parleremo di una tra le più grandi commesse del dopoguerra e confermerebbe l’Egitto quale primo cliente dell’industria militare italiana.

Tutto ciò a conferma della strategia Egiziana di pesare sempre più nello scacchiere mediterraneo. Infatti la Marina Egiziana, non potendo impiegare le future FREMM-IT in mare per lunghi periodi (assenza di rifornitori di squadra e copertura aerea antisommergibile a medio/lungo raggio) sembra in procinto di lanciare un programma di costruzione di nuove basi e approdi tra Mar Rosso, Sinai e costa del Mediterraneo, di cui una non distante dalla Cirenaica. Tale proposito passa quindi inevitabilmente per una crescita navale, e una calcolata divergenza con la Marina Turca sempre più attiva nell’area di interesse egiziano.

Guardando ora all’Italia possiamo dire che sebbene questa vendita abbia significato un rafforzamento delle relazioni con l’Egitto nel ‘’mare nostrum’’, dall’altra parte della bilancia dobbiamo mettere lo svantaggio di aver ceduto le due FREMM al Cairo piuttosto che alla Marina Italiana (come da progetto iniziale).

Alcuni analisti sottolineano che la vendita di due navi che stavano per essere consegnate  alla Marina Militare Italiana, possono indebolire l’ossatura della flotta in un momento turbolento per il Mediterraneo e con un riarmo navale generalizzato nel bacino stesso. In più non pongono molta fiducia su un avvicinamento dell’Egitto all’Italia su questioni fondamentali come la Libia.

Va oltretutto precisato che le forze armate egiziane sono un incubo logistico, vista la panoplia di armamenti provenienti da un grande numero di fornitori stranieri, però questo ha dà il vantaggio di essere meno sottoposto al ricatto o a sanzioni da parte di alcuni schieramenti che potrebbero bloccare la manutenzione o i ricambi degli armamenti precedentemente venduti

Dobbiamo però osservare, smentendo in parte tali timori che lo stato italiano sembra aver già rassicurato la Marina Militare su una pronta riacquisizione di altre due fregate sostitutive, in allestimento antisommergibile, più consono alle esigenze attuali della Marina stessa. Fincantieri ha rassicurato che le 2 fregate, a questo punto da costruire, (che avrebbero dovuto essere consegnate quest’anno e il prossimo) possono essere consegnate in un tempo record di meno di quattro anni, lasciando quindi la marina Militare scoperta per circa 3 anni e con il bisogno di prolungare la vita operativa delle ultime 2 fregate Maestrale oramai obsolescenti e sfiancate. Da fonti di stampa specializzata, Fincantieri dà per sicuro e scontato il nuovo contratto (ricordiamo che in massima parte le navi sono già state pagate dallo Stato). D’altra parte, a nostro giudizio, l’accordo potrebbe invece sbloccare certe empasse diplomatiche riguardanti l’affare Libia. Costruendo molti degli strumenti militari egiziani, saremo in grado di esercitare pressioni riguardo le forniture di pezzi di ricambio e la manutenzione di tali mezzi, se la situazione con l’Egitto si facesse problematica.

Naturalmente e conseguentemente sullo sfondo resta l’increscioso caso Regeni. La vendita delle navi avrebbe dovuto essere, oltre che il suggello di un’alleanza informale nel Mediterraneo, uno spunto per una soluzione diplomatica e per un almeno apparente far luce sul caso (senza illuderci su “vera giustizia”) . Le ultime, arroganti risposte della magistratura egiziana pongono  dubbi su questa ipotesi e spingono a chiedersi  anche a molti dei sostenitori di questo accordo navale (come Roberto Hechich, segretario Diparimento GeD MR) se non sarebbe il caso di usare la oramai quasi fatta e certa vendita di tale pacchetto come strumento di pressione in tal senso. La vendita di tale pacchetto è altrettanto utile sia a noi che all’Egitto. Non crediamo che se il cittadino fosse stato USA o Britannico, la reazione dell’Egitto sarebbe stata così noncurante.

Non ci resta che rimanere in attesa di sviluppi.

Alla luce di quanto descritto, ha senso continuare ad avere tentazioni nel privatizzare ulteriormente tali asset strategici italiani (ENI, Leonardo, Fincantieri ecc) o non sarebbe meglio potenziarli ulteriormente incrementando gli investimenti statali in tali aeree?

Michele Naccheri, Antonio Avigliano.

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