Tabella DPCM mascherine scuola bf9d4
In seguito alla discussione avvenuta in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2021, la sentenza n. 2102/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), relativa al ricorso numero di registro generale 9424 del 2020,
ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1, comma 9, lett. s), del DPCM 3 novembre 2020, che aveva imposto “l’uso della mascherina ai bambini di età compresa fra i 6 e gli 11 anni, specificando che tale obbligo permane durante l’orario scolastico” [§ 9.1.2].
Tra i molteplici e rilevanti vizi riscontrati nel provvedimento (al quale, anche sulla scorta delle note del MIUR nn. 1990 e 1994, si è richiamato chi ha ritenuto di estendere l’obbligo anche ad ambiti scolastici e a circostanze non contemplati dal DPCM del 3 novembre) figurano l’irragionevolezza, il “difetto di istruttoria e di motivazione”, oltreché il “non corretto esercizio della discrezionalità amministrativa sotto forma di eccesso di potere”.
La sentenza non comporta effetti pratici immediati: il decreto in questione ha perso infatti efficacia il 3 dicembre 2020, “essendo stato sostituito dal DPCM del 3 dicembre 2020, anch’esso nelle more scaduto e sostituito dal DPCM del 14 gennaio 2021”. Ciononostante, le motivazioni che accompagnano il pronunciamento si attagliano perfettamente nella sostanza anche ai decreti successivi, i quali “hanno reiterato testualmente la medesima misura in questa sede censurata” [§ 7]. Per questo motivo, è deprecabile che una bozza del primo DPCM del governo Draghi riproponga impudentemente per l’ennesima volta – e in una formulazione identica a quella del decreto precedente – lo stesso provvedimento appena giudicato illegittimo dal TAR del Lazio (v. tabella sopra).
Non si sottolineerà mai abbastanza, d’altronde, che i DPCM in questione stabiliscono semplicemente un generico obbligo dell’uso di “dispositivi di protezione delle vie respiratorie”, senza dettagliare che tale utilizzo debba avvenire al banco o durante tutta la durata delle lezioni. In questo senso non appare corretta l’affermazione della sentenza del TAR sopra riportata, secondo cui l’articolo reputato illegittimo specificherebbe che l’obbligo della mascherina “permane durante l’orario scolastico”, un’espressione non riscontrabile né nel DPCM del 3 novembre 2020 né nei successivi.
Tutti i suddetti decreti hanno invece mantenuto sempre sia l’eccezione all’obbligo dovuta alla “condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi” sia la “salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio” già esistenti. Nel caso scolastico, i protocolli prevedono che la mascherina possa essere rimossa in condizioni statiche (cioè quando si è seduti) proprio in virtù del distanziamento tra i banchi, un obiettivo su cui nei mesi estivi si sono concentrati dibattiti e sforzi organizzativi perché ritenuto una delle condizioni imprescindibili per la riapertura delle scuole. In quest’ottica, la spinta per imporre sempre e comunque la mascherina durante le lezioni (per non parlare degli innumerevoli e spesso repentini cambiamenti di orari e modalità didattiche, attuate secondo schemi variabili di intermittenza che nulla hanno da invidiare a quelli delle luminarie natalizie) presenta sgradevoli somiglianze con la dinamica già osservata nel caso di tanti liberi esercenti, dapprima sollecitati ad adeguarsi a una pletora di fantasiose regole presentate come indispensabili per la prosecuzione in sicurezza delle loro attività e in seguito costretti senza troppi complimenti ad abbassare le saracinesche o ad operare in fasce orarie molto limitate. È un carosello dell’assurdo da cui sarebbe opportuno scendere al più presto, posto che sia mai stato ragionevole salirci.
A ben vedere, l’unica fonte che dichiari esplicitamente l’uso obbligatorio della mascherina “quando gli alunni sono seduti al banco e indipendentemente dalle condizioni di distanza” (in palese contraddizione con quanto previsto dai DPCM e dai protocolli anti-contagio) è la nota MIUR n. 1994 del 9 novembre 2020. Sulla questione della natura, della rilevanza e dell’impugnazione delle circolari ministeriali esiste un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, dovuto principalmente alla “molteplicità delle fattispecie che vengono riunite sotto quest’unica denominazione, come riconosce esplicitamente l’articolo 26 della legge n. 241 del 1990” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Sentenza 14/11/2011, n. 19, § 5; cfr. Consiglio di Stato, Sez. I, n. 567/2017, § 2). Ad ogni modo, molteplici pronunciamenti del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione hanno ribadito il principio generale che le circolari ministeriali non sono fonti del diritto, e di conseguenza non possono introdurre limiti ai diritti soggettivi in contrasto con fonti normative di rango primario. A maggior ragione quando sono espressione di una “mera attività interpretativa” di una disposizione di legge (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 567/2017, § 2; cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza 26/10/2016, n. 4478, § 6.6), questi atti non vincolano “i soggetti destinatari estranei all’Amministrazione, che non hanno neppure l’onere dell’impugnativa” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 giugno 2012, n. 3457). Del resto anche la loro efficacia interna non è assoluta, perché possono essere legittimamente disattesi quando risultino palesemente contrari a norme di legge.
La recente dichiarazione di illegittimità pronunciata dal TAR nei confronti dell’art. 1, comma 9, lett. s), del DPCM 3 novembre 2020 rende di fatto insussistente il presupposto fondamentale in virtù del quale le note del MIUR avevano comunicato che “l’obbligo dell’uso della mascherina per il personale scolastico e per gli studenti con almeno sei anni di età” dovesse valere, “ovviamente, oltre che per il primo ciclo di istruzione, anche per il secondo” (nota Miur n. 1990 del 5 novembre 2020), “quando gli alunni sono seduti al banco e indipendentemente dalle condizioni di distanza” (nota Miur n. 1994 del 9 novembre 2020).
Per tornare alla sentenza del TAR, i giudici hanno ritenuto di esprimersi preliminarmente in merito alla “doglianza della parte ricorrente sulla ‘tempistica’ dei DPCM, che non consentirebbe una piena ed adeguata tutela giurisdizionale ‘in quanto i ricorrenti si troverebbero a dover ‘rincorrere’ i DPCM che si succederanno nel tempo senza poter mai trattare la questione oggetto di causa’”. Il Collegio ha tenuto a sottolineare che tale doglianza
meriterebbe de iure condendo una riflessione sui rimedi giurisdizionali che l’ordinamento dovrebbe apprestare, a fronte di situazioni del tutto extra ordinem in cui, come nell’attualità, si è in presenza di atti amministrativi che reiterano più volte le stesse misure ma che sono dotati di efficacia temporale talmente limitata da compromettere, nella sostanza, il diritto di difesa costituzionalmente garantito [TAR Lazio, Sez. I, n. 2102/2021, § 7].
Ulteriori osservazioni iniziali di carattere generale sono particolarmente significative in un’ottica più ampia, e andrebbero tenute ben presenti anche per ciò che riguarda le prescrizioni al di fuori del contesto scolastico. Nelle motivazioni della sentenza, il TAR ha ricordato infatti che la disposizione di cui alla lettera hh-
bis) dell’art. 1, comma 2, D. L. 19/2020 (disposizione aggiunta in sede di conversione del decreto-legge n. 19 per mezzo della legge n. 35 del 22 maggio 2020) contempla invero
solo la ‘possibilità’ di prevederne l’obbligatorietà [della mascherina] nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto, ma sempre fatta “eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi". Tale ultima eccezione [...], dunque, condizionava la prescrizione generalizzata dell’uso delle mascherine all’impossibilità di garantire il distanziamento [§ 9.1.3].
Su questa linea si poneva anche l’allegato 8 del DPCM 14 gennaio 2021 il quale, oltre a reiterare genericamente che “le mascherine devono essere indossate da tutto il personale, e da tutti gli iscritti con più di 6 anni di età”, aggiungeva che “sono essenziali quando il distanziamento fisico è più difficile da rispettare” (sezione 2.4, §
Sensibilizzare al corretto utilizzo delle mascherine, punto 1).
“Viceversa – proseguono i giudici in quello che sembra poco più che un richiamo al semplice buon senso – l’aver imposto l’uso della mascherina [...] anche laddove sia garantita la distanza di un metro, appare non in linea con il principio di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente, contemplato dalla norma in rassegna” [TAR, § 9.1.3].
“Da quanto precede discende la fondatezza anche della censura che ritiene irragionevole l’imposizione indiscriminata della mascherina anche negli istituti scolastici che avevano già adottato misure per garantire il distanziamento fra i banchi” [§ 9.2].
Lo stesso CTS, nel verbale 104 del 31 agosto 2020, estesamente citato dal Collegio giudicante, “ha inteso escludere una imposizione indiscriminata dell’uso delle mascherine avendo, al contrario, suggerito di ‘modularle’ e ‘scalarle’ in peius o in melius in considerazione dell’evoluzione sia dell’andamento epidemiologico sia dell’oggettivo ‘rispetto della distanza di almeno un metro’ fra i banchi” [ivi]. Va ricordato incidentalmente che nel suddetto verbale il CTS attribuiva alla “autorità sanitaria” la facoltà di “prevedere l’obbligo della mascherina anche in situazioni statiche con il rispetto del distanziamento”, ma esclusivamente “per un determinato periodo” [CTS, verbale n. 104, 31/08/2020, p. 9].
Come rilevano i giudici del TAR, nel verbale 104
il CTS si era espresso non solo affermando che l’imposizione della mascherina sarebbe dovuta essere l’extrema ratio soltanto in caso "non sia possibile garantire nello svolgimento delle attività scolastiche il distanziamento fisico prescritto", ma evidenziando che una tale situazione dovesse essere corretta "prima possibile, anche attraverso l’utilizzo di soluzioni strutturali provvisorie già utilizzate in altri contesti emergenziali per periodi temporanei, al fine di garantire il distanziamento prescritto" [TAR Lazio, Sez. I, n. 2102/2021, § 9.2].
Ancor più grave è il fatto che, anche dopo l’acquisizione istruttoria “a firma del Direttore dell’Ufficio I della Direzione Generale della prevenzione del Ministero della Salute del 29 dicembre 2020”, i giudici abbiano ritenuto che “il DPCM del 3 novembre 2020, nella parte oggetto di censura [...] (art. 1, comma 9, lett. s)” continuasse a presentare “i vizii di difetto [di] motivazione e di difetto di istruttoria”, poiché “la citata relazione del Ministero della Salute non ha fornito risposta alla richiesta di “evidenze scientifiche, poste alla base dell’imposizione dell’uso della mascherina anche ai bambini di età superiore ai 6 anni, anche durante l’orario scolastico […] dalle quali possa ritenersi scongiurato il pericolo che si verifichi un calo di ossigenazione per apparati polmonari assai giovani, causato dall’uso prolungato della mascherina” [§ 10.1].
“Fermo restando che le considerazioni svolte dal Ministero della Salute nella citata relazione rappresenterebbero comunque una forma di integrazione postuma della motivazione, di per sé inammissibile”, è emerso peraltro che tale documento “non indica che determinate evidenze scientifiche siano state assunte a fondamento tecnico-scientifico dell’imposizione della misura impugnata” [§ 10].
“Ne risulta, dunque, il non corretto esercizio della discrezionalità amministrativa sotto forma di eccesso di potere” [§ 10.2].
Quanto al monitoraggio “del livello di ossigenazione individuale dopo l’uso prolungato della mascherina”, il Collegio del TAR ha citato il Consiglio di Stato (Sez. III, decreto monocratico n. 6795, 26 novembre 2020) secondo il quale “tale attività”, svolta mediante l’ausilio di “apparecchi di misurazione di semplicissima utilizzabilità […], costituirebbe forse una utile base statistica per contribuire alle valutazioni scientifiche degli organi preposti. Ciò potrebbe anche consentire una valutazione esplicita, delle autorità scientifiche, su uno dei punti di cui al ricorso, relativo alla ragionevolezza dell’uso obbligatorio della mascherina anche ‘al banco’ e con distanziamento adeguato” [TAR Lazio, Sez. I, n. 2102/2021, § 9.1.2; cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. III, decreto n. 304, 26/01/2021].
Le osservazioni del Consiglio di Stato erano già state riprese dall’ordinanza istruttoria n. 7718/2020 (17 dicembre 2020) del TAR Lazio (Sez. I) la quale, “concordando con il giudice di appello”, aveva rilevato “che il DPCM non ha condizionato l’imposizione della misura in rassegna alla verifica di quella serie di variabili oggettive e soggettive segnalate proprio dal CTS nel verbale n. 104” [§ 9.1.2].
Giova ricordare che nel dicembre 2020, in una
lettera aperta pubblicata proprio sulle pagine di questo blog, era stata avanzata una “
modesta proposta” molto simile che, a giudizio di chi scriveva, avrebbe potuto “contribuire in maniera pragmatica, attraverso il metodo sperimentale [con l’ausilio di saturimetri], a dissipare almeno alcuni dei dubbi” riguardo alla “questione dell’eccessivo accumulo di anidride carbonica (ipercapnia) e dell’eventuale carenza di ossigeno (ipossia) dovute alla reinalazione dei gas esalati all’interno di una mascherina”.
In conclusione, può forse essere utile riportare qui quanto il Collegio del TAR ha voluto ricordare riguardo ai principi di prevenzione e di precauzione, sposando la linea di pensiero espressa dalla Commissione Europea nella Comunicazione del 2 febbraio 2000 (par. 6):
“Nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere, tra l’altro:
- proporzionali rispetto al livello prescelto di protezione,
- non discriminatorie nella loro applicazione,
- coerenti con misure analoghe già adottate,
- basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici),
- soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici, e
- in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio”.
La Commissione Europea “ha inoltre chiarito,
a proposito della ‘proporzionalità’, che ‘
non sempre un divieto totale può essere una risposta proporzionale al rischio potenziale’” [TAR Lazio, Sez. I, n. 2102/2021, § 11].
(Davide Romano e Valentina Miola, 28 febbraio 2021)