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Il secondo di una lunga serie di scritti e video.
Ricordiamo che l’attuale situazione dell’ex Ilva era già stata predetta in tempi non sospetti, prima ancora della cessione degli stabilimenti italiani alla Mittal, come anche scritto nel precedente post di MR sul blog e sui social, e che le lacune dello Stato sono gravi, fin dai tempi della cessione estremamente vantaggiosa (per i privati) dell’Ilva al gruppo Riva.

https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/2198-ex-ilva-acelor-mittal-si-sapeva-gia-da-anni-come-sarebbe-andata-a-finire-altro-che-risolto-tutto-in-3-mesi.html

Che fare?
Di Davide Montefiori

La soluzione del problema ArcelorMittal (ex Ilva) di Taranto, attuale patata bollente nelle mani del governo Italiano e degli amministratori della multinazionale franco-indiana dell’acciaio, non potrà risolversi nel breve periodo e non potrà essere indolore, né per i lavoratori interessati (diretti ed indotto), né per la città di Taranto e aree limitrofe, per l’ambiente e la salute e neppure per le forze politiche che cercheranno di risolvere questo rebus. Direi di più, l’avvenire dell’acciaieria di Taranto interesserà oltre che l’Italia anche tutta l’Europa.

 

Come più volte è stato detto, l’Ex Ilva di Taranto è, ancora oggi, l'acciaieria più grande d'Europa, ed è tornata drammaticamente alla ribalta dopo che ArcelorMittal ha annunciato di voler recedere dal contratto di affitto e dal successivo acquisto dello stabilimento pugliese, che si accompagna alla richiesta di avvio della cessione del ramo di azienda di tutti gli otto siti produttivi presenti sul territorio nazionale e delle quattro società del gruppo. L'alternativa proposta dalla multinazionale è il licenziamento di 5 mila dipendenti, vale a dire quasi la metà della forza lavoro totale, che somma 10.777 dipendenti. Sembra un ricatto in grande stile.

Ricordiamo che AcerlorMittal intende restituire ad Ilva, in amministrazione straordinaria, i seguenti stabilimenti: Taranto con 8.277 lavoratori, Genova (1.016), Novi Ligure (681), Milano (123), Racconigi (145), Paderno Dugnano (39), Legnaro (29) e Marghera (52) per un totale di 10.351 dipendenti. A questi si aggiungono i dipendenti delle società del gruppo ArcelorMittal: Amis (64), Am Energy (100), Am Tabular (40), Am Maritime (222). Il numero complessivo di lavoratori arriva così a quota 10.777 unità.

Se a questi, aggiungiamo anche i lavoratori dell’indotto, si stima che siano circa 20.000 i lavoratori totali interessati, con le loro famiglie.

Un altro punto da tenere in considerazione è l’area occupata dall’acciaieria di Taranto che, con i suoi 15 Km2 (15.000 metri quadrati), occupa circa il 6% della città di Taranto ed equivale ad una città come Sondrio o Aosta.

Cerchiamo di fare il punto della situazione, perché, oltre all’aspetto contrattuale tra ArcelorMittal e governo Italiano, esiste, in Italia, un problema industriale.

Le tematiche negative legate all’industria pesante le conosciamo bene, ahimè.

  • Inquinamento dell’aria, della falde acquifere e dei bacini di acqua dolce e salata, del suo e del sottosuolo,
  • Ambiente circostante malsano, a causa delle emissioni inquinanti e altamente concentrate,
  • Aumentate patologie tumorali e cardiovascolari nei cittadini anche in giovane età,
  • Problemi nel riutilizzo del suolo anche dopo lo spegnimento degli impianti, per mancanza di bonifiche adeguate,
  • Alta densità di abitanti intorno ai siti industriali, come è sempre avvenuto nelle città altamente industrializzate, che determinano aumento del traffico, infrastrutture ed edificazione selvaggia e spesso di basso livello architettonico.

Quali sono, invece, alcuni degli aspetti positivi che accompagnano l’avvento dell’industria?

  • Alta percentuale di occupazione e quindi bassa disoccupazione,
  • Reddito distribuito, con possibilità di aumenti salariali,
  • Possibilità per i lavoratori di cambiare facilmente posto di lavoro, a scopo di accrescimento professionale ed economico,
  • Settori di ricerca e sviluppo attivi e funzionanti, per favorire il progresso e l’innovazione tecnologica
  • Garanzie per un futuro prospero per le nuove generazioni
  • Sistemi di assistenza sociale e di volontariato, funzionanti ed attivi
  • Maggior integrazione nella popolazione e minori conflitti sociali
  • Maggiore sicurezza sociale e riduzione della piccola delinquenza

Ma, in questa società post-industriale, l’Italia sembra aver preso alla lettera la definizione riportata dalla Enciclopedia Treccani (Postindustriale: Detto del tipo di società e organizzazione economica che, negli ultimi decenni, va affermandosi nei paesi industrialmente avanzati: caratterizzato dal notevole sviluppo delle attività terziarie o di servizio e da una progressiva diminuzione del numero di addetti alle attività industriali, vede la crescente diffusione delle tecnologie informatiche e, in genere, delle applicazioni della ricerca scientifica tendenti ad automatizzare sempre più i processi e gli impianti produttivi) ed ha smantellato il tessuto industriale nazionale, a favore di un progresso informatico e dell’attività terziaria o ancora legata al turismo e alla cultura, che non hanno dato i frutti attesi o sperati.

Siamo proprio sicuri che si possa fare a meno del tessuto industriale Nazionale e Statale?

Perché la Germania e la Francia non lo hanno fatto, anzi hanno acquistato e ancora acquistano aziende italiane e cercano di tenersi strette le proprie?

Ci sono stati o ci sono accordi internazionali che hanno obbligato i vari governi a comportarsi in questo modo?

L’industria, dalle sue origini, lo sappiamo, crea ricchezza; il settore terziario ed il turismo utilizzano la ricchezza di altri per prosperare. Fino a quando non si riuscirà a trovare nuovi metodi di lavoro, che permettano a tutti i lavoratori italiani (cioè che lavorano ufficialmente sul territorio nazionale) di guadagnare salari decorosi, sarebbe bene rivalutare le industrie ancora presenti sul nostro territorio e non permettere che chiudano o falliscano o, ancor peggio, vengano cedute, per un tozzo di pane, alle multinazionali straniere, il cui interesse è quello di accedere alle referenze aziendali, ai brevetti registrati e al parco clienti delle società acquisite, per poi chiuderle per eliminare la concorrenza in Europa e nel mondo.

Non si tratta di essere nazionalisti, ma realisti sì.

Si devono studiare forme di tutela per i lavoratori e le aziende piccole, medie e grandi, presenti sul territorio nazionale, che producono ricchezza per se stessi e per gli altri. L’intento non deve essere quello di proteggere i soli imprenditori italiani, ma di tutelare, “convincere” o obbligare, qualunque imprenditore presente in Italia a rimanere sul territorio nazionale e penalizzarlo se va via. Ora succede l’esatto contrario.

Ma tornando all’Ex Ilva, perché siamo arrivati a questo punto e quale deve essere la strada da intraprendere per uscirne?

Quale potrebbe essere una soluzione possibile? Forse la chiusura del sito industriale e la Bonifica dell’area. Ma quali potrebbero essere le conseguenze?

Taranto e la Puglia sarebbero messe in ginocchio, la disoccupazione salirebbe alle stelle, lo stato dovrebbe garantire l’assistenza economica per migliaia di famiglie, aumenterebbero il malessere e il disagio sociale, aumenterebbe la delinquenza di strada e garantirebbe il rafforzamento della delinquenza organizzata.

L’inquinamento diminuirebbe subito è vero, e le malattie avrebbero probabilmente un’inversione di tendenza, ma l’inquinamento ambientale presente nell’acqua e nel territorio rimarrebbe vivo per decenni.

Allora cosa fare per non “chiudere una città” e fare morire di stenti una popolazione intera o obbligarla a migrare?

Nessuno, credo, abbia la soluzione in tasca e tutti devono comunque cedere qualcosa. Chi in benessere economico e chi in salute. Si tratta di trovare un compromesso accettabile per tutti. Sicuramente l’Ilva non può più continuare a produrre in questo modo.

Non prevedendo che il sito di Taranto possa essere spostato di zona e neppure chiuso completamente, ecco alcune delle possibili soluzioni che ci permettiamo di suggerire, se si decidesse di continuare a produrre acciaio all’Ex Ilva di Taranto, indipendentemente da chi ne detiene la proprietà o la gestione:

  • Coinvolgere l’intera comunità locale nelle scelte che verranno prese,
  • Investire nelle cosiddette BAT (Best Available Techniques) o MTD (Migliori Tecniche Disponibili) in modo che siano ricostruiti tutti gli impianti, contenendo al massimo le emissioni inquinanti (aria-acqua-suolo-sottosuolo).
  • Parallelamente bonificare, inizialmente i siti maggiormente inquinati a terra ed in mare, per poi estendere le bonifiche a tutto il sito industriale, utilizzando metodi non impattanti sull’ambiente cittadino.
  • Piantumazione delle aree non più utilizzate a fini industriali con alberi e piante compatibili con l’ambiente in cui verranno messe a dimora.
  • Prevedere la costruzione di impianti di depurazione delle acque di superficie, delle falde acquifere e del sottosuolo, nonché dell’aria degli ambienti interni agli edifici presenti nel sito industriale.
  • Prevedere una quota fissa annuale (oppure % sugli utili) da destinare a lavori di bonifica, ricerca ambientale e miglioramento della convivenza tra industria e città.
  • Rendere pubbliche e on line i risultati delle analisi degli inquinanti, eseguite sulle emissioni ai camini e negli scarichi fognari, ceneri o di altro genere.
  • Ricostruzione dei siti produttivi maggiormente inquinanti, lontano dalla città e dalla popolazione.
  • Ricaduta occupazionale sul tessuto industriale della città, della regione e della nazione prima di rivolgersi a società straniere per i lavori di bonifica e rifacimento del sito.

 Una volta bonificata e riavviata, l’Ex Ilva di Taranto, così come gli altri siti della Ex Ilva, potranno fornire acciaio in tutte le forme necessarie, alle nostre aziende (Gruppo Fincantieri, Gruppo Leonardo, Terna, Enel, Ansaldo, Salini, Astaldi, etc.) e contribuire alla ripresa dell’economia italiana così martoriata in questi ultimi decenni.

Riprendiamoci l’Ilva, riconsolidiamo l’industria italiana e diamo un futuro alle prossime generazioni. E’ un traguardo ambizioso, lo sappiamo, ma nulla è impossibile, basta volerlo.
Davide Montefiori (segr. Dip. Ambiente)

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