Il Corno d'Africa inquieto
Il Corno d’Africa ed i paesi del Continente africano che compongono quella importante zona strategica del mondo sono in questo 2020 alle prese con problematiche di politica economica ed energetica che per forza di cose investono enormi interessi di geopolitica internazionale.
Del resto ciò che accade nel Corno d’Africa ha direttamente o indirettamente ripercussioni sullo scacchiere Mediorientale, vale a dire sull’altra sponda continentale del Mar Rosso. Il Corno d’Africa ha quindi una valenza strategica per i traffici mondiali. Al largo delle sue coste si trovano le rotte marittime dove transitano le merci per il bacino Mediterraneo e quindi per l’Europa ed Italia attraverso Suez Per quanto concerne l’Italia, il Corno d’Africa ed il Canale di Suez sono intimamente legati alla sua storia ed al suo destino passato, ma anche presente e sicuramente futuro. D’altronde l’Italia deve tornare ad esercitare un’equilibrata influenza a difesa dei suoi interessi legittimi e avere voce sullo scenario mediterraneo (Mediterraneo allargato che va dal nord-Africa all’Africa orientale fino al Mar Rosso e al Vicino Oriente) dopo moltissimi anni di torpore, e le vicende del quadrante orientale africano rivestono un’importanza strategica fondamentale..
In virtù di ciò si focalizzerà l’attenzione su due questioni riguardo quest’area, degne di analisi attenta e puntuale.
Andiamo con ordine, cercando di approfondire la prima situazione di crisi. Ad ottobre 2019 il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed Ali, di fronte al Parlamento del suo paese ha parlato del più grande progetto infrastrutturale avviato negli ultimi anni in Etiopia: una enorme diga a servizio di una centrale idroelettrica in costruzione sul Nilo Azzurro, fiume che a Khartoum, la Capitale del Sudan, si unisce al Nilo Bianco formando il Nilo (che nel complesso attraversa ben 10 paesi), il quale poi sfocia nel Mediterraneo tra le città egiziane di Alessandria e Port Said. La costruzione dell’enorme diga a 15 km dal confine con il Sudan e a circa 3200 km dal delta del Nilo sta preoccupando moltissimo l’Egitto, il quale teme che l’Etiopia possa riempire il bacino della diga troppo velocemente riducendo significativamente la quantità d’acqua disponibile per le città e le zone agricole lungo il fiume. L’Etiopia progetta di riempire il bacino in soli quattro anni mentre le autorità egiziane preoccupate dall’eventuale siccità durante il riempimento, vorrebbero un processo molto più lento che duri almeno 12 anni. Lo scontro tra Egitto ed Etiopia sulla costruzione dell’enorme diga sul Nilo (la più grande dell’Africa) è iniziato diversi anni fa, ma si è intensificato di recente con l’avvicinarsi della fine dei lavori. Il contesto giuridico è invero complesso Le stime etiopi prevedono infatti di cominciare a riempire il bacino già dalla prossima estate. L’ulteriore questione indotta da questa vicenda è legata a importanti implicazioni politiche sia da parte del governo etiope guidato dal riformista Abiy, sia dal regime autoritario egiziano del presidente Abdel Fattah Al Sisi.
In Etiopia la diga porterebbe illuminazione a milioni di case e garantirebbe diversi milioni di dollari di profitti dalla vendita di energia elettrica ai paesi vicini. Potrebbe inoltre diventare un simbolo dell’ascesa dell’Etiopia come una delle potenze all’interno dell’Africa. Per l’Egitto l’acqua del Nilo determina l’esistenza stessa del paese, che è in gran parte desertico ed è per lo più abitato sulle sponde del fiume. Inoltre per Al Sisi, Presidente autoritario ed ex generale, mostrarsi morbido su una questione di sicurezza nazionale sarebbe molto dannoso. Negli ultimi anni Egitto ed Etiopia si sono accusati reciprocamente di non rispettare le norme internazionali sulla gestione e lo sfruttamento delle acque del Nilo. In questa complessa ed intricata situazione il Governo egiziano rivendica sulla base di due accordi internazionali stipulati con il Sudan (uno in epoca coloniale e l’altro nel 1959) il predominio di fatto sulle acque del Nilo. L’Etiopia dal canto suo non ritiene di riconoscere accordi a cui non ha partecipato e pensa di avere consequenzialmente il diritto a portare avanti progetti che più sono utili al suo sviluppo.
Mentre i due paesi litigano sui tempi di costruzione della diga e su quelli necessari al riempimento del suo bacino idrico, molti osservatori di politica internazionale, ma anche idrologi di prestigio, sostengono che in realtà le minacce più grandi per il futuro del Nilo arrivano dalla rapida crescita della popolazione egiziana e dai cambiamenti climatici. Questi due fattori potrebbero causare importanti carenze idriche nella regione entro il 2025. Non ultimo non va sottovalutato che un rapido riempimento del bacino idrico provocherebbe un abbassamento del livello del Nilo in troppo breve termine, non dando il tempo alla natura di ripristinare adeguatamente il letto del fiume. Gli Stati Uniti si sono offerti come mediatori tra i due paesi nel febbraio 2020, ma a riprova di quanto gli interessi in gioco siano di importanza vitale per Egitto ed Etiopia la mediazione americana per ora non ha portato a concreti risultati. Comunque l’amministrazione Trump con il suo Segretario di Stato Pompeo, si sta adoperando non poco, consapevole della posta in ballo in quella zona del mondo per far sì che la situazione non degeneri in una crisi di tipo militare dalle conseguenze imprevedibili. Anwar al-Sadat, presidente della Repubblica Araba d’Egitto dal 1970 al 1981, diceva nel 1979 che “l’acqua è la sola ragione che potrebbe condurre l’Egitto di nuovo in guerra”. Boutros Ghali, segretario generale delle Nazioni Unite dal 1992 al 1997, statuiva nel 1987 che “la prossima guerra dell’acqua si svolgerà sul Nilo”.
Bisogna però ricordare che una grave scossa al contesto ecologico del Nilo lo ha dato lo stesso Egitto con la costruzione della diga di Assuan, e la conseguente formazione del lago Nasser. Questo ha di fatto annullato le tradizionali inondazioni del Nilo che portavano molto materiale fertilizzante lungo tutto il corso dell’Alto Egitto. Inoltre il materiale, che non può essere depositato lungo il corso, si deposita proprio nel lago che, in mancanza di drenaggio intenso, potrebbe riempirsi in poche decine d’anni. Alcuni bracci secondari hanno già perso parte della loro profondità. Si sta pensando a sfruttare il materiale depositato come fertilizzante da impiegare poi nelle stesse terre dove non arriva più. Inoltre il clima è cambiato grazie a questo bacino che è il secondo bacino artificiale al mondo. (6000 km2), facendo aumentare il tasso di umidità dell’aria ed il conseguente disagio delle popolazioni limitrofe.
La seconda questione riguarda i complessi e difficili rapporti tra due confinanti e storicamente contrapposti Stati del Corno d’Africa: Etiopia ed Eritrea.
Simbolicamente ufficializzato dai leader delle due nazioni nel giorno in cui le rispettive popolazioni celebravano l’inizio del nuovo anno, la riapertura del confine eritreo-etiope dell’ 11 settembre 2018 rappresenta l’immagine più vivida della riappacificazione tra i due paesi. Si è sancita così la fine delle ostilità a venti anni dall’inizio del conflitto (formalmente terminato con gli accordi di Algeri del dicembre 2000, ma in realtà seguito da un prolungato periodo “no guerra no pace”).
La dichiarazione congiunta del 9 luglio 2018 ed il conseguente accordo di pace di Gedda rappresentano certamente l’apice di un cambiamento epocale. Tuttavia a due anni dalla firma l’accordo di pace, amicizia e cooperazione del 16 settembre 2018 rischia di rimanere incompiuto, mentre la normalizzazione delle relazioni tra Eritrea ed Etiopia risulta più apparente che reale. Nonostante le parole dei due leader, il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed e il Presidente eritreo Isaias Afewerki, facessero presagire il contrario, alle enfatiche dichiarazioni di intenti non hanno fatto seguito né concreti sviluppi sui cinque punti della Dichiarazione, né definitivi processi di attuazione dei sette articoli dell’accordo. Anzi, l’evolversi delle relazioni tra i due paesi sembra segnare una battuta di arresto rispetto alle speranze prospettate. La frontiera aperta tra i due Stati è stata gradualmente richiusa nei successivi cinque mesi (tra dicembre 2018 e aprile 2019). Le decisioni del 2002 della Commissione Internazionale per la risoluzione in arbitrato della disputa sui confini (seppur formalmente accettate dall’Etiopia nel 2018) non sono state ancora attuate, né in relazione alla demarcazione del confine né al ritiro delle truppe. La ripresa delle relazioni commerciali transfrontaliere e degli investimenti per progetti infrastrutturali congiunti non ha portato a una riduzione della conflittualità interna ai rispettivi confini, l’impianto repressivo del governo eritreo non ha subito modifiche sostanziali. Lo status quo sembrerebbe dunque dimostrare la persistenza dell’instabilità regionale di questa area nevralgica e della precarietà nelle relazioni odierne tra Eritrea ed Etiopia. Ad ogni buon conto non va dimenticato che sia la democrazia etiope guidata dal riformista Ahmed che il regime di Isaias Afewerki debbono trovare delle mediazioni all’intero dei loro stessi paesi con le élite ed i ceti sociali più forti e avanzati economicamente e culturalmente: forze sia in un paese che nell’altro a forti spinte conservatrici e che nutrono reciprocamente rancori e diffidenze. Come aggravante il regime eritreo dell’Asmara paga anni di isolamento internazionale e sanzioni per via del suo autoritarismo. Va anche detto che l’Eritrea nella sua storia si è trovata spesso schiacciata tra giganti enormemente più grandi di lei, sia come forza militare, vastità geografica e superiorità in termini di popolazione. Sudan, Etiopia e Somalia, con il cuscinetto di Djibouti, sono nazioni geopoliticamente ingombranti vicino all’Eritrea, con tutto ciò che ne ha conseguito dal punto di vista delle relazioni nei vari secoli.
La materia è complessa e non facile da far comprendere. Il processo si riappacificazione risponde invero al concretizzarsi ei precise condizioni, sia nell’ambito più ristretto dei rapporti interstatali tra Addis Abeba ed Asmara, sia nei termini più ampi degli assetti geopolitici regionali del Corno d’Africa e trans-regionali.
Alessandro Loreto,
Ruben Giavitto