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In questo articolo la trascrizione dell'intervento a GED inerente la deriva autoritaria in Turchia e le sue potenzialità destabilizzatrici in tutto il Mediterraneo. Articolo che in parte riprende altri interventi precedenti pubblicati su questo stesso blog.
Siamo stati fin tropppo facili profeti in quel che dicevamo. Negli ultimi giorni si è aggiunto l'arresto del deputato dell'opposizione Enis Berberoglu vice presidente del Partito Repubblicano, accusato di aver fatto trapelare, anni fa, alla stampa il coinvolgimento diretto della Turchia nella guerra siriana, tramite l'invio di armi, protette dai servizi sgreti, ai ribelli radicali islamici, alcuni dei quali, come Al Nusra, lo ricordiamo, sono costole provenienti da Al Qaeda. (come avevamo già scritto a suo tempo noi di GED) Allora sia il il capo redattore che il direttore furono arrestati per 100 giorni prima di venire liberati da un tribunale di Istanbul. Ora Dundar, l'ex direttore, si trova in esilio in Germania per sfuggire alla caccia del governo turco. Con lui sono state arrestate altre due persone del partito filo curdo accusate di terrorismo e contiguità con il PKK. L'opposizione parla di fascismo strisciante.
In più, da notizia ancora non confermate, la Turchia avrebbe offerto all'Arabia Saudita miliziani radicali siriani da far intervenirenel conflitto dello Yemen sia contro gli Houthi sia contro la regione di Aden sotto controllo degli Emirati, come fatto a sostegno del governo di Tripoli in Libia. Al di là dell'accettazione o meno dell'Arabia Saudita (che segnerebbe una clamorosasvolta dopo i tentativi timidi di normalizzazione con la Siria), solo il sospetto di una tale mossa non può che generare inquietudine.
In pratica si appresterebbe a divenire una specie di hub per l'impiego dei mercenari radicali sotto il suo comando in Siria in tutto il Medio Oriente e oltre. Così facendo sovvertirebbe sia gli equilibri del Medio Oriente sia eserciterebbe pressioni indirette verso gli EAU e verso lil fronte pro Haftar in Libia (EAU è lo sponsor più attivo di Haftar) . Vedremo se le notizie saranno confermate.
Alcuni potrebbero chiedersi perchè parliamo spesso di Turchia, ci sono paesi nel mondo in cui i diritti democratici e i Diritti dell'Uomo sono ben più violentati che in Turchia, compresi paesi nello stesso bacino mediterraneo. Sì, è vero, ma la Turchia ha alcune specificità E già, o almeno è già stata una democrazia, che sta regredendo sempre più. E' stata una democrazia imperfetta, con il controllo dei militari a garantire la laicità dello stato contro le derive islamiche, (che ora non c'è più in quanto  i vertici laici delle forze armate sono stati decapitati) ma pur sempre una democrazia in cui i Diritti Civili facevano passi avanti, e si tratta di difendere quello che ne rimane e impedire un completo asservimento a un regime autoritario e antidemocratico. In più tale regime, alleandoso con gruppi di estrema destra, vuole attuare una politica estremamente aggressiva verso l'esterno, per ristabilire l'influenza che aveva prima del crollo dell'Impero Ottomano, come evidenziato nella trascrizione. Altre nazioni, malgrado siano illiberali, possono solo migliorare, con politiche di moral suasion sullla strada di un graduale miglioramento dei Diritti Civili, e non sono fonte di instabilità esterna tale da minacciare i nostri stesssi interessi nell'area del nostro cosiddetto Mediterraneo Allargato.
Dopo gli aggiornamenti ecco la trascrizione.

Turchia tra repressioni e aggressività esterna: una mina vagante nel Mediterraneo

“Carceri #Turchia. Questa notte grazie alla legge sull’esecuzione penale è stato rilasciato un membro della criminalità: Alaattin Cakicy, appartenente ai Lupi Grigi. La legge concede la riduzione della pena per 90.000 prigionieri, ma non per i giornalisti, politici dell’opposizione e attivisti per i diritti umani.”

Così iniziava l’altra settimana un comunicato del Movimento Roosevelt. Citava il messaggio su FB di Mariano Giustino, corrispondente per radio Radicale dalla Turchia, censurato dal social media stesso. Non solo FB aveva censurato il messaggio, ma aveva bloccato il profilo del giornalista per oltre 40 giorni, profilo sbloccato solo dopo che la vicenda è arrivata sulla stampa nazionale ed è stata indetta in parlamento un’interrogazione sul caso. FB ha ammesso un proprio errore e si è scusata. Un errore protratto per 40 giorni dopo ripetuti solleciti a recedere da tale decisione…mah.

Errore che appare ancora meno credibile, poiché non è la prima volta che succede. Sono state censurate almeno due altre pagine che pubblicavano contenuti relativi all’informazione su manifestazioni di sostegno alla causa curda in Siria.

Bene, in pratica Facebook censura un post che si schiera a favore dei diritti umani, forse su pressione dello stesso governo turco, che sta sempre più restringendo in Turchia gli spazi democratici e l’applicazione degli stessi Diritti Umani.

Nel comunicato avevamo scritto anche che non ci fermavamo lì, ma che avremmo reagito e preso spunto per approfondire l’argomento Turchia, la sua deriva verso sempre meno diritti democratici e libertà civili, e il suo posizionamento geopolitico nel bacino del Mediterraneo e non solo. Avevamo scritto in tempi ancora non sospetti che la Turchia è uno dei tre principali problemi geopolitici dell’Italia. Inoltre è diventato forse la principale fonte di destabilizzazione dell’intero bacino Mediterraneo assieme all’Italia stessa, anche se per ragioni opposte, e lo vedremo più avanti. Ma andiamo con ordine. Iniziamo dal messaggio di Giustino. Chi sono i Lupi Grigi che vengono liberati dalle carceri turche al posto di dissidenti, giornalisti e difensori dei diritti civili?

I Lupi Grigi sono un’organizzazione parafascista, nazionalista, xenofoba, che predica una sorta di neo-ottomanesimo ed è ritenuta responsabile di numerosi attentati sia in Turchia che all’estero. Alì Agca il presunto attentatore di Papa Paolo II si era dichiarato appartenente ai Lupi Grigi. I Lupi Grigi sono perfettamente funzionali alle politiche espansive e neo ottomane di Erdogan, il quale oltre a loro ha appunto liberato molti militari legati all’estrema destra nazionalista, finiti in carcere prima e durante il tentato golpe del 2016 ai suoi danni.

La repressione del fallito colpo di stato  ha portato in carcere decine di migliaia di persone solo per un semplice sospetto di collusione con il gruppo gulenista (seguaci di Fettullah Gulen una volta alleato di Erdogan e ora in esilio negli USA) accusato di essere l’ispiratore dello stesso colpo di stato. Dopo il tentato golpe, quasi da operetta, sono stati incarcerate trentamila persone e hanno perso il loro lavoro oltre 150.000 solo per il sospetto (vero o creato) di essere simpatizzanti di Gulen,. Solo a febbraio di quest’anno ci sono stati altri 766 arresti. Molto spesso la sospetta simpatia per il movimento di Gulen è stato solo il pretesto per sbarazzarsi di elementi contrari al regime attuale e all’islamizzazione della società. 

Molti esponenti dell’opposizione sono stati arrestati e accusati di simpatie per il terrorismo di matrice curda con lo scopo anche di sbarazzarsi di rivali elettorali.  Questo ha portato a vuoti spaventosi in molte amministrazioni statali: esercito, magistratura, alta burocrazia  vuoti ricoperti da fedelissimi a Erdogan senza esperienza. L’esercito e la magistratura sono stati forse i più colpiti, anche perché la costituzione turca voluta da Mustafà Kemal poneva l’Esercito come garante della laicità dello stato contro eventuali ritorni di una islamizzazione nelle leggi e nella società.

 Una conseguenza pratica sono state le perdite relativamente ingenti sofferte dalle truppe turche durante la conquista di Afrin, nel Nord della Siria ai danni dei Curdi siriani. In quel frangente hanno subito anche la perdita di Leopard 2 di fabbricazione tedesca, che sono considerati tra i carri migliori al mondo, da parte di formazioni di guerriglieri, che non sono sicuramente addestrati a livello di truppe di un esercito regolare, proprio a causa dello scarso addestramento tra i comandanti dei reparti che hanno sostituito i quadri epurati. Le epurazioni e discriminazioni comunque non si sono fermate dentro i confini della nazione ma sono avvenuti in diversi paesi sia del medio oriente che dell’Europa, specialmente balcanica. Nel 2018 in Moldavia e in Kosovo (dove l’influenza turca è notevole, anche a suon di finanziamenti),  in Bulgaria e Ucraina cittadini turchi sono stati rapiti e portati nelle carceri della madrepatria. Così in vari stati africani e del Sud-Est asiatico. Molti di questi paesi hanno di fatto avallato queste pratiche per timori di ritorsioni da parte del governo turco. L’Unione Europea ha giustamente avviato delle procedure contro quei paesi, appartenenti all’unione stessa, che hanno avallato simili pratiche. Bosnia, Albania, Grecia (ovviamente) Macedonia hanno resistito a tali pressioni. A cittadini turchi residenti in Italia l’ambasciata turca ha ritirato il passaporto invitandoli a tornare in Turchia per riaverlo (così da poter disporre di loro) ai figli nati all’estero da genitori in qualche modo sospetti o invisi,  viene negata la nazionalità rendendoli degli apolidi.

Nell’ottobre dello scorso anno centinaia di persone sono state arrestate per aver criticato l’offensiva turca in Siria, ogni trasmissione o articolo di stampa che avrebbe potuto avere “impatto negativo sul morale delle truppe o ingannare i cittadini veniva censurato. Il direttore del portale Diken, veniva arrestato per aver pubblicato un articolo dal titolo “Le Sdf denunciano: due civili hanno perso la vita“ ll 27 ottobre l’avvocata ed editorialista Nurcan Kaya è stata arrestata all’aeroporto di Istanbul dopo che aveva scritto su Twitter: “Sappiamo per esperienza che ciò che chiamate operazione di pace è un massacro“. Solo nella prima settimana dell’offensiva militare, 839 account sono stati posti sotto indagine per “diffusione di contenuti di rilevanza penale”; 186 persone sono state messe in custodia di polizia e 24 di loro sono state rinviate in detenzione preventiva.

Una delle persone arrestate è accusata di “propaganda in favore di un’organizzazione terrorista” per aver retwittato tre post. No alla guerra

 Il parlamentare  Sezgin Tanrıkulu, dovrà rispondere di un tweet contenente questo testo: “Il governo deve saperlo. Questa è una guerra ingiustificata e una guerra contro i curdi“. Nella prima settimana dell’offensiva militare almeno 27 persone, molte delle quali affiliate all’Hdp, sono state arrestate nella provincia di Mardin con accuse di terrorismo. Tra queste, la sindaca della città di Nusaybin, subito sostituita da un governatore distrettuale.  Il 12 ottobre le “Madri del sabato“, un gruppo di parenti di vittime di sparizioni forzate che organizzano veglie pacifiche ogni sabato dal 2009 per ricordare i loro cari, sono state avvisate che, se fosse stata pronunciata la parola “guerra”, la manifestazione sarebbe stata sgomberata. Cosa puntualmente e violentemente avvenuta non appena è iniziata la lettura di una dichiarazione che criticava l’operazione militare in Siria.

 Bisogna intendere che Erdogan ha una visione piuttosto allargata di terrorismo. Terrorista è qualsiasi cosa metta in dubbio la sua linea politica o qualsiasi concetto da lui propugnato, non i Lupi Grigi però, quindi il dollaro stesso talvolta diventa terrorista quando si rivaluta sulla lira turca e anche frutta e verdura diventano terroristi quando il loro prezzo aumenta troppo. I Curdi, che siano turchi o di altre nazioni sono visti terroristi che minacciano lo stato turco a prescindere, poiché minacciano l’omogeinizzazione culturale e linguistica della Turchia allargata che sta nella mente di Erdogan e che comprende anche città siriane come Aleppo o Raqqa, che prima o dopo, in condizioni per lui favorevoli, potrebbero entrare nelle sue mire. Probabilmente anche Cipro, Grecia e poi Italia e Francia saranno tacciate di terrorismo poiché si contrappongono alle illegittime richieste del governo turco sui giacimenti di gas al largo delle coste cipriote e greche. Vedremo in seguito.

E veniamo brevemente alla Siria e alle milizie di Erdogan cha là vi combattono.

Le milizie islamiche al soldo della Turchia, 11.000 di loro oramai sono tra l’altro in Libia, sono soldataglie programmate per attuare delle vere e proprie pulizie etniche in quanto hanno permesso di saccheggio, di uccidere e terrorizzare le popolazioni locali, in maniera non dissimile da quanto faceva l’ISIS, esecuzioni mediatiche a parte. È proprio a quelle milizie che dobbiamo le sevizie e l’uccisione di Hevrin Khalaf, femminista curda. Queste milizie, contigue spesso con Al Qaeda (vedi Al Nusra, di fatto una sua costola) odiano tutto quello che sa di valori democratici, parità e diritti delle donne, diritti umani, altre religioni o altre declinazioni dell’islam come quella degli Sciiti.

Del resto Erdogan ha avuto rapporti molto opachi con la stessa ISIS, e sicuramente, se la condannava pubblicamente, sottobanco ha intrattenuto rapporti con essa. Senza andare a scomodare il libro Massoni di Gioele Magaldi, che fissa le ragioni di contiguità tra il sultano e il movimento estremista, basta osservare gli eventi in maniera oggettiva. Non possiamo dimenticare la compravendita di petrolio, atta a finanziare la stessa organizzazione, il contrabbando di armi ed esplosivi, il rifiuto di chiudere le frontiere con lo stato islamico, il rifiuto di dare il permesso agli aerei americani ed europei di partire dalla base di Incirlik per bombardare le basi dell’ISIS. Del resto a Erdogan faceva comodo l’ISIS anche per combattere gli odiati Curdi.

Più che agli Americani, paradossalmente ora spetta ai Russi di tenere a bada i Turchi e le loro mire espansionistiche, poiché la Russia è al contempo lo sponsor della Siria e de facto contiguo oramai alla Turchia, più della stessa NATO, di cui il paese anatolico continua ad appartenere per opportunismo, non per convinzione. Sarà una bella gatta da pelare, poiché Erdogan, come scritto e detto , non ha la minima intenzione di accontentarsi: ha bisogno di scontri per alimentare la sua permanenza al potere. Viene quasi da credere che l’abbandono (parziale) del Kurdistan siriano da parte degli americani sia una mossa machiavellica per far scaturire le contraddizioni dell’avvicinamento turco alla Russia. Putin non può accontentare contemporaneamente Siriani, Curdi (che oramai si affidano alla Russia per la loro sopravvivenza, visto il tradimento americano) Turchi e Iraniani. Forse la Libia può diventare tra Turchi e Russi merce di scambio in tal senso. Vista la politica disastrosa degli americani nel Medio Oriente negli ultimi lustri e il pressapochismo incompetente c’è però da dubitarne.

Quindi, vaso di coccio (apparente) tra vasi di ferro, l’unica entità a rimetterci sarà quella curda. Ha già perso tutta la fascia limitrofa al confine turco, è già stata soggetta alla pulizia etnica delle soldataglie islamiche sotto il controllo turco, sta perdendo la sua autonomia dietro il riacquisto del controllo del suo territorio da parte dell’esercito lealista siriano.

Probabilmente il regime siriano offrirà ai Curdi la cooptazione nella gestione del potere, come già avvenuto con altre entità minoritarie, cooptazione favorita anche da un’impostazione laica dello stato, anche se troppo spesso brutale e repressiva. Ma l’unica speranza per i Curdi per preservare la loro peculiarità politica è la sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale sulla loro sorte. A questo punto urge una conferenza internazionale con tutti gli attori in causa che fissi una volta per tutte l’ambito di esistenza dell’entità curdo-siriana. Che fissi, pur nel mantenimento di uno stato unitario siriano, una larga autonomia al proprio territorio in cui siano preservate le loro caratteristiche peculiari di democrazia, tolleranza, rispetto per la parità di genere e dei diritti umani in generale. Questa è la caratteristica che è più in pericolo, questa è quella che dà più fastidio, in una regione caratterizzata da sultani, satrapi, fondamentalisti, dittatori, fanatici, opportunisti, che il solo pensiero di democrazia, diritti umani e autonomia fa venire l’orticaria. Ed è questo che deve essere difeso dalle democrazie occidentali, se non vogliono macchiarsi di ipocrisia e far vedere che la democrazia nelle loro nazioni oramai è solo un rito. Oltretutto deve essere chiaro che senza una soluzione del problema curdo siriano, non ci potrà essere vera stabilizzazione della zona, stabilizzazione che sicuramente però è malvista da qualcuno degli attori in campo, primo tra tutti Erdogan.

 

Torniamo a Erdogan dopo queste divagazioni.

 Erdogan probabilmente è, o almeno si ritiena, il capo di stato più insultato al mondo. Tra il 2014 e il 2018, circa 17.500 persone sono state citate in giudizio per aver insultato Erdoğan, secondo il Ministero della Giustizia turco. Solo nel 2018 sono state aperte circa 26.000 nuove indagini per un reato punibile da uno a quattro anni di carcere. Di questi sospetti, centinaia sono minori. Erdogan ha invocato un’obsoleta legge tedesca del 1871 per citare in giudizio un comico tedesco. Il governo tedesco ha promesso di togliere quella legge arcaica. Il caso è stato comunque archiviato. A ricorrere a quella legge sono stati anche il dittatore cileno Pinochet e lo Shah iraniano. Sull’onda di tale vicenda,  la rivista britannica, The Spectator nel 2016 ha organizzato il "Concorso di poesia offensiva del presidente Erdoğan" in cui migliaia di concorrenti hanno gareggiato per vincere il premio di 1.000 sterline. Il vincitore ha definito Erdoğan un "segaiolo" e lo ha descritto come un uomo che fa sesso con una capra: era l'ex sindaco di Londra e ora il premier britannico Boris Johnson, che Nell'ottobre 2019, i suoi avvocati hanno presentato una denuncia penale a un tribunale turco contro due giornalisti francesi per averlo presumibilmente insultato. Nel titolo della sua prima pagina, Le Point chiamava Erdoğan "The Eradicator" dopo che la Turchia aveva lanciato una campagna militare contro i curdi siriani. Il pezzo conteneva la frase "pulizia etnica, metodo di Erdoğan.

In questa contesto  bisogna vedere e capire la censura perpetrata ai danni dl giornalista Giustino, ed è anche per questo che abbiamo fatto questo speciale. Cioè evidenziare cosa sta diventando la Turchia di Erdogan per annullare quel tentativo e per moltiplicare le conseguenze che quella censura (se non è stato un errore) voleva evitare.

Erdogan comunque tenta anche altre strade, similmente ad altri paesi asiatici, per influenzare le opinioni pubbliche di mezzo mondo. Ha evidenziato e propagandato gli aiuti a destra e a manca nella recente pandemia. Peccato che per molti di essi, compreso quello sbandierato verso Israele, gli aiuti fossero normali contratti commerciali.

Il primo Consigliere di Trump per la Sicurezza nazionale, Flynn, defenestrato dopo poche settimane, definiva la Turchia: È giunto il momento di dare una nuova occhiata all'importanza della Turchia e porre le nostre priorità nella giusta prospettiva ...

Dobbiamo adeguare la nostra politica estera per riconoscere la Turchia come una priorità. Dobbiamo vedere il mondo dalla prospettiva della Turchia. Peccato che uscì qualche mese dopo un documento in cui risultava che aveva guadagnato 530.000 dollari per attività di consulenza per aiutare il governo turco.

La democrazia in Turchia è perduta? No, c’è, come abbiamo visto, ancora una società civile e cosmopolita che resiste. Nonostante che pretestuosamente si siano ripetute le elezioni amministrative a Istanbul, che avevano segnato la vittoria dell’opposizione, le stese opposizioni hanno rivinto. Erdogan ha perso il controllo delle più importanti città, compresa la sua Istanbul, Ankara, ma anche Izmir e Antalya, in generale quasi tutta la parte occidentale e quella costiera della Turchia, quella economicamente e culturalmente più avanzata. Molte città in mano al suo partito sono passate all'opposizione. L'AKP però rimane il primo partito, grazie al voto delle zone agricole e interne più povere ed arretrate. E questo gioca a favore di Erdogan, poiché la natalità di queste zone è molto più alta di quelle più benestanti e avanzate della costa. Soprattutto contro Erdogan ha votato il 62% del PIL turco, cioè la parte più economicamente rilevante del paese, colpita dalle politiche economiche erdoganiane che mirano a tagliare proprio il potere di acquisto e di spesa della classe media in favore di politiche economiche di stampo islamista. Un risultato degno di nota e che fa ben sperare sulla tenuta democratica e civile di una larga parte della popolazione turca, conseguito nonostante il sospetto di brogli elettorali (due osservatrici italiane ai seggi sono state arrestate). Per la prima volta è stato eletto un sindaco comunista e un sindaco che è stato arrestato in qualità di giornalista dell'opposizione nelle recenti repressioni e liberato dalla Corte Costituzionale. Fa risultare che il potere di Erdogan, nonostante tutto, non sia ancora così pervasivo da aver annichilito la democrazia turca e il pensiero kemalista. Dall'altra parte però, questa erosione di potere potrebbe spingere Erdogan ancora di più sulla strada del nazionalismo e della conflittualità estera per rinsaldare e distrarre il fronte interno, un po' come fecero i militari argentini negli anni 80 con le Malvine, anche se con esiti disastrosi. La paura di perdere il consenso interno e quindi il potere e il sogno di una Grande Turchia, potrebbe fargli fare mosse azzardate. Difficile che alzi il livello di tensione fino al punto di rischiare un conflitto armato tradizionale con alcune nazioni europee, per qualche anno ancora comunque non ne avrebbe le capacità,(ma la cosa potrebbe sfuggire di mano), ma potrebbe accentuare la pressione e le rivendicazioni sui megagiacimenti di gas nel Mediterraneo Orientale dove noi, attraverso l'Eni, abbiamo la quota più alta di concessioni (e ci siamo dimostrati, per nostra incapacità, l'anello più debole) e creare ad arte disordini in territorio cipriota (o ai confini terrestri, viste le recenti tensioni sul fiume Evros e con gli immigrati (infiltrati da schiere di provocatori) scatenati ad arte ed incoraggiati a sfondare le barriere greche) per poi giustificare un proprio intervento a favore di supposte minoranze discriminate, in una sorta di guerra strisciante asimmetrica sul modello teorizzato dal generale russo Gerasimov, ma già attuata nel 1974 durante l'invasione di Cipro. A quel punto potrebbero sfociare violente dimostrazioni in alcune isole greche, Kastelorizos a esempio, che si trova ad appena tre miglia dalla costa turca, o crearsi gruppi separatisti nella Tracia greca o bulgara. In ogni caso l'Italia correrebbe seri rischi di venir coinvolta, soprattutto come nazione nella difesa dei propri legittimi interessi commerciali ed energetici in mezzo all'Egeo, ma anche come membro dell'Unione Europea, se venisse invocato da Cipro e Grecia art 42 del trattato di Lisbona di reciproca difesa. Non dimentichiamo che più dell’80% dei traffici commerciali dell’Italia viaggia via mare. Non dimentichiamo, anche se si fa finta di niente, che, non riconosciuta da nessuna nazione od organismo internazionale, la Turchia occupa con Cipro Nord un territorio dell'Unione.

Per capire comunque dove va la Turchia, bisogna capire Erdogan, da dove viene, le sue idee, la sua cultura, i suoi dogmi.

Erdogan non è un politico qualunque, né è lì a caso. È membro della superloggia Hathor Penthalfa, la più reazionaria e aggressiva tra le ur-lodges neoaristocratiche, in compagnia dei Bush, ma anche di Aznar e Sarkozy, ma anche di  Abu Bakr Al-Baghdadi (per cui si intuisce il perché di molte delle opacità turche sulla lotta all’ISIS) (Gioele Magaldi: Massoni Società a Responsabilità Illimitata, Chiarelettere)

Soprattutto Erdogan è un membro dell’ordine spirituale Naqshbandiy che appartiene al mondo sufi, e che è l’unico, tra quella galassia di sette religiose, che promuova una partecipazione politica concreta. L’ordine è forte custode dell’ortodossia sunnita e della legge islamica, in quanto si dichiara discendente del primo califfo sunnita Abu Bakr. Prendendo questo nome, in qualità di discendente della tribù del profeta, si può ambire al titolo di Califfo. La Corrente Khalidy e nella fattispecie la loggia Iskenderpasa, avversa a quelle che definisce le deleterie influenze occidentali, promuove il ritorno alle virtù dell’Islam e alla supremazia della Turchia nel mondo islamico. A tale loggia apparteneva Erbakan, mentore per certi versi di Erdogan, che fu deposto dai militari nel 1997, proprio perché di chiara matrice islamica. Ad essa si ispirò pure Demirel, altro primo ministro. Le linee guida della sua ideologia, a cui appunto si ispira Erdogan è quella di liberare la Turchia da quelli che sono definiti i massoni filo occidentali, e dalla cultura filo occidentale in generale, accusata di aver distrutto l’identità turca e di essere controllata da una cospirazione sionista. Erdoğan ha litigato con diversi leader dell’Akp, incluso l’ex-presidente Abdullah Gül, e li ha messi all’angolo uno dopo l’altro perché erano moderati e non disponibili a cedergli tutta la loro autonomia. Altri argomenti caratterizzanti sono quelli di costruire un’industria nazionale il più possibile indipendente dall’Occidente, una finanza islamica, di abbandonare l’Occidente in favore di un’unione di stati islamici a guida turca, appunto. Sono tutti punti che sono in corso d’opera. Infatti, la svalutazione della lira turca è un obiettivo primario dell’attuale regime per frenare le importazioni dei prodotti occidentali, ancora molto apprezzati dalla classe media del paese e per spingere la propria industria manifatturiera nei paesi emergenti a prezzi concorrenziali con i prodotti occidentali, ma per certi versi anche asiatici. Le mosse di Trump riguardo alle pressioni sulla lira turca, avvenute l’anno scorso, paradossalmente andrebbero a favore di Erdogan, se non per il fatto di provocare svalutazione troppo rapida, e non graduale come auspicato dal presidente turco. Infatti, non bisogna più guardare all’economia di quel paese con il metro occidentale, poiché, nel perfetto adeguamento ai principi islamici, Erdogan, anche nel periodo di maggiori tensioni valutarie, ha voluto mantenere molto bassi i tassi d’interesse della valuta locale in disaccordo anche con i dirigenti della banca centrale turca. L’industria turca però ha un tallone d’Achille, il basso profilo tecnologico, per cui è obbligata ad avere dei ricavi netti molto bassi rispetto ai paesi più avanzati come l’Italia, per non dire la Germania, nell’ordine del 3%, quindi è costretta ad avere materie prime e costi dell’energia molto bassi, (e la Lira molto deprezzata) a parte il costo della manodopera compresso proprio con le svalutazioni competitive. E la Turchia ha scarse risorse energetiche, ed è vicina, molto vicina geograficamente a risorse enormi.

        

         Il Mar Egeo, Cipro e il neoottomanesimo

Una delle caratteristiche dell’erdoganesimo è un ripristino dell’influenza turca su parte del mondo mussulmano mediterraneo e non solo. Ci sono state dichiarazioni di loro esponenti che parlano di una “vera Turchia” a cui sono stati tolti circa 8 milioni di kilometri quadrati. La superficie si riferisce all’incirca ai confini dell’impero alla fine dell’ottocento, quindi tutta quell’area che va dalla Siria fino alla Libia, i Balcani meridionali e molte isole greche. Una delle prime visite fatte da Erdogan all’indomani del fallito golpe ai suoi danni è stata quella alle tombe dei principali protagonisti della storia ottomana, come Selim I, il sultano artefice della più rapida espansione dell’Impero Ottomano. E in quelle lande certe simbologie non sono a caso e non sono coincidenze. La Turchia ha istituito inoltre una base navale in Albania e si attrezzava a costituire una base militare in Macedonia del Nord, che a quanto pare è stata bloccata su pressioni occidentali. Inoltre, con il consenso della Russia, la Turchia si è già espansa nelle zone siriane ai suoi confini: Afrin e in parte Iblid, Kobane, e intende restarci a costo di scontrarsi con l’esercito regolare siriano, come già accaduto.(come dimostra ad esempio la costruzione di uffici postali delle poste turche o i bambini di un asilo che salutano gli insegnanti e i visitatori facendo il saluto dei Lupi Grigi). A Cipro Nord sono stati spediti una quarantina di carri da battaglia Leopard 2 A4, i più moderni in dotazione all’esercito turco, accompagnati da semoventi di artiglieria da 155mm. Per cosa, visto che i greco ciprioti posseggono solo una manciata di vetusti carri? Naturalmente, almeno per la maggior parte di questi territori, il partito di Erdogan non promuove conquiste territoriali ma piuttosto una leadership e una larga influenza economico-culturale. Mire territoriali e di rivalsa non sono una prerogativa del partito ora al comando, ma sono, con varie sfumature, piuttosto condivise da altri gruppi di potere, e quello di Erdogan non è nemmeno il più radicale a riguardo. L’invasione di Cipro (in parte come reazione al golpe filo-greco che depose Makarios nel 1974) era stata pianificata da un regime laico e non è un mistero che gli stessi militari turchi reclamino una serie di isole greche al confine con la Turchia. Ultimamente sono stati liberati con largo anticipo generali e alti ufficiali turchi di stampo nazionalista arrestati durante il fallito golpe, inoltre il ministro della difesa Ulusi Akar ha dichiarato durante un comizio elettorale che le “armate dei crociati (Occidente cioè) si stanno ammassando e noi stiamo preparando le nostre… il giorno della guerra si avvicina, o soldato turco”.

         Perché queste isole greche sono così importanti per la Turchia?

Perché esse limitano la pretesa Turca di accedere alle zone economiche esclusive dell’Egeo sede degli immensi giacimenti descritti precedentemente, come li limitano la parte greco cipriota. C’è un’isola greca a tre chilometri dalla costa turca, Kastellorizos, che preclude alla Turchia 100.000 chilometri quadrati di mare da sfruttare, e la Turchia ha bisogno di quelle risorse. In più la Turchia non riconosce, unico paese nell’area, l’Unclos, il trattato che regola appunto anche le ZEE, riconosciuto dall’ONU e dalla UE, anche perché inoltre la svantaggerebbe nella gestione degli stretti del Bosforo. Inoltre, unico paese al mondo, riconosce Cipro Nord e quindi le pretese su gran parte della ZEE greco-cipriota. Dal 1996 almeno, esiste un piano redatto dall’accademia militare turca, chiamato EGGAYDAK che, a seconda delle versioni, prevede il possesso da 18 a 160 isole sotto la sovranità greca che fa a braccetto con quello della profondità strategica. C’è una risoluzione del parlamento turco che dispone un’entrata in guerra della Turchia contro la Grecia se questa dovesse adeguare le proprie acque territoriali alle 12 miglia, come da UNCLOS. Si badi bene che questo adeguamento non aumenta le ZEE che resterebbe sempre di 200 miglia.

<<Come in Siria abbiamo combattuto e punito i terroristi, lo stesso faremo contro i banditi del mare. Nessuno potrà sfruttare le risorse del Mediterraneo orientale senza il nostro consenso e quello della Repubblica di Cipro Nord. Chi pensava di poterlo fare impunemente, ha cominciato a capire>>. Così il Presidente turco Recep Tayipp Erdoğan ha avvertito Exxon Mobil, Total ed ENI. Recentemente ha mandato la nave esploratrice Yavuz Sulan Selim, dal nome del sultano dove sotto il suo regno si ebbe la massima espansione dell’Impero, proprio nei blocchi 6 e 7 della ZEE cipriota, assegnati a Eni e Total. A luglio arriverà la Fatih Sultan Mehmet, che prende il nome dal conquistatore di Costantinopoli. E in quel mondo nessun nome è a caso, nessun nome viene dato a caso, solo per commemorazione, ma è un messaggio. Ed è un messaggio come, dopo il fallito golpe del 2016, una della prime azioni di Erdogan fu proprio la visita della tomba di Selim I.

         Le azioni, anche aggressive, per rendere instabile quest’area del Mediterraneo si sono succedute in questi anni, ricordiamo quelle su navi da prospezione per conto della Francia, degli USA e dell’Italia di circa due anni fa. Se Francia e Usa hanno reagito mandando a loro volta le loro navi militari a protezione di questi bastimenti, l’Italia non ha reagito alle minacce sulla Saipem12000 se non con azioni di blando monitoraggio, divenendo così, agli occhi della Turchia, l’anello debole. L’Egitto ha fatto scortare Saipem10000 dalla propria marina all’interno della propria ZEE, proprio per prevenire azioni di disturbo. Non dimentichiamo che le violazioni dello spazio aereo greco sono centinaia all’anno, in varie forme. Recentemente caccia turchi hanno sorvolato proprio Kastellorizos con una simulata azione di bombardamento. Vista la politica turca sempre più aggressiva, Israele, Egitto, Grecia e Cipro hanno stipulato un’alleanza de facto e hanno ribadito in un comunicato congiunto che azioni turche di minaccia verso i loro interessi energetici avranno una reazione armata. Dietro le azioni turche comunque c’è un tacito appoggio russo, che, come spiegato sopra, ha tutto l’interesse a destabilizzare la zona e a mantenerla nell’incertezza. La Francia, nostra spina geopolitica nel fianco, gioca una politica ambigua, da una parte appoggiando Cipro e Grecia anche dislocando unità navali nelle loro basi nell’Egeo, e proponendo alleanze militari, dall’altra avendo  tentato (da indiscrezioni) accordi sottobanco con la Turchia. Uno spiraglio per una politica meno aggressiva da parte della Turchia è la scoperta di giacimenti di gas di una certa entità anche all’interno della ZEE turca, giacimenti che renderebbero meno stringenti i suoi problemi energetici. Bisognerebbe, come pensato in certi ambienti, adottare una strategia per il riavvicinamento della Turchia alla UE, che spiazzi Erdogan e la sua politica antioccidentale e che smuova parte dell’elettorato su posizioni più filoccidentali. Naturalmente questo in cambio di una precisa e inderogabile road map che avvicini legislativamente e democraticamente il paese alla UE. Non dimentichiamo che il consenso esplicito a Erdogan consta di circa il 46 per cento dell’elettorato… che inizia a capire i sacrifici imposti dalle dottrine economiche attuali. Esponenti del governo turco stanno creando partiti politici sempre di stampo nazionalista, ma più propensi alla UE, partiti che potrebbero erodere il bacino elettorale del partito di Erdogan. Attraverso triangolazioni con paesi del Golfo si intravvede anche una possibilità di una partecipazione turca a quote di Eastmed e lo stesso ministro greco cipriota non si dichiara sfavorevole)

 Sono forse gli ultimi tentativi (ma oramai temo che siamo fuori tempo massimo)per fermare un’escalation che potrebbe portare a conseguenze gravissime. Analisti hanno calcolato una probabilità di scontro armato nei prossimi 10 anni nell’Egeo tra il 5 e il 35% a seconda dell’intensità dello scontro stesso. Questo era prima dei recenti sviluppi in Libia e dell’invio delle navi di perforazione.  Non è detto che il confronto sfoci in un conflitto aperto, potrebbe anche configurarsi come una serie di rivolte, sollevazioni o infiltrazioni abilmente pilotate, secondo le dottrine sulle guerre ibride sviluppate dal generale russo Gerasimov.  La Libia, di nuovo, ne è un esempio. Sembra poco il 5% di probabilità di uno scontro armato totale? Cosa pensereste se vi dicessero che il nuovo ponte a Genova che sostituirà il Morandi avesse il 5% di possibilità di crollare nei prossimi 10 anni o che una diga avesse le stesse possibilità?

Paradossalmente l’altra maggiore fonte di instabilità nel mediterraneo è proprio l’Italia, non perché troppo aggressiva, come la Turchia, ma perché al contrario troppo rinunciataria, ed è troppo grande e importante per poterlo essere. Ogni spazio geopolitico lasciato libero viene, quasi fisicamente, riempito da altre entità geopolitiche, quasi sempre a danno di chi quello spazio lo lascia. La rinuncia dell’Italia a una politica attiva e propositiva non ha fatto altro che creare ulteriore instabilità. Invece di risolvere la situazione libica , ora ci troviamo Russi e Turchi nel nostro cortile di casa, con il pericolo (soprattutto da parte turca)  di ritrovarci basi militari a uno sputo da casa, i nostri interessi (ENI) messi in discussione e con la spada di damocle di un uso strumentale e ricattatorio, come arma insomma, , dell’immigrazione dalle coste africane

Libia.

La Turchia, che di fatto sta prendendo il posto della debole e inconcludente Italia, ma anche dell’Europa e dell’occidente in generale, come "sponsor" del legittimo governo di Sarraj, mira a espandere la sua influenza neo-ottomana, come più volte dichiarato in pubblici comizi, ma anche scritto dal suo ex ministro degli esteri, di fatto sostituendosi sia appunto all'Italia, sia all’ONU, sia ad altri paesi.

Ad oggi sembra abbia spostato sul fronte libico circa 11.000 combattenti siriani (o che hanno combattuto per essa in Siria). Per la maggior parte provengono da milizie integraliste e radicali come ad esmpio Al Nusra, che è stata una costola di Al Qaeda. Molti di questi sperano di riuscire a imbarcarsi clandestinamente per arrivare in Europa, almeno secondo alcune notizie da alcuni organi di informazione. 339 di questi sono già morti nei combattimenti, compresi 20 adolescenti. Questi, che per la maggior parte sono tagliagole, sono pagati dai 2.000 ai 3.000 dollari al mese a seconda del grado, hanno un indennizzo in caso di ferita e una casa per i parenti in caso di morte, con una indennità che va dai 10.000 ai 100.000 dollari a seconda delle fonti.  Ci sono già stati problemi di disciplina tra queste truppe, che pensavano di trovare poche resistenze, e di coordinamento con le truppe di Sarraj, dove ci sono stati anche screzi violenti, tanto che la Turchia ha dovuto mandare in fretta e furia molti dei suoi ufficiali per riprendere in mano la situazione. Soprattutto però quello che ha contribuito a capovolgere la situazione, è stato l’esteso uso di droni nei combattimenti contro le milizie di Haftar, droni che sono riusciti in molti casi a mettere fuori combattimento gli stessi sistemi AA russi (probabilmente ceduti dagli Emirati) Pantsir.

 Gli interessi della Turchia sono anche energetici, nonché economici (la ricostruzione fa gola) e contrapposti a quelli nostri legittimi. Mira ad accaparrarsi gli immensi giacimenti di gas al largo delle coste libiche. Non dimentichiamo che al largo della Libia ci sono giacimenti quasi equivalenti a quelli di Eastmed (Reef1 e 2). Questi giacimenti, di cui ENI detiene legittimamente la quota maggiore dei diritti di sfruttamento, sono fondamentali per l'indipendenza energetica del paese, che vedrà il gas sempre più presente al posto di altri tipi di fonti fossili molto più inquinanti e come elemento di transizione(non breve) verso un futuro di energie rinnovabili preponderanti. Il piano industriale che riguarda i futuri assetti  l’ex ILVA, solo per fare un esempio attuale, si basa sull'ampia disponibilità di fonti di gas a basso prezzo al posto del carbone per poter essere attuato. Quindi queste fonti sono strategiche per lo stesso apparato industriale e produttivo italiano, nonostante lo stesso M5S abbia avuto idee di fatto opposte, avendo tentato di boicottare sia il TAP che sbarcherà in Puglia, sia il progetto del nuovo gasdotto Eastmed che da Israele passerà per Cipro, Creta, Grecia continentale e di nuovo Puglia (a due passi da Taranto, guarda caso). Pare che ultimamente abbia però benedetto l’intesa firmata tra Cipro Israele e la Grecia per l’inizio della fase atuattiva del gasdotto, anche se l’Italia, che dovrebbe essere il punto di arrivo della pipeline, tanto per cambiare, non era ancora presente.

Visti i rapporti di Erdogan con la Russia, se la situazione continua ad evolversi come negli ultimi giorni, probabilmente non ci sarà uno scontro tra i due paesi (la Russia assieme a Egitto, Arabia Saudita, EAU, e più debolmente Giordania e Israele appoggia Haftar., ma de facto, se continua così, ci sarà una spartizione: la Cirenaica sotto l'influenza russa (con Haftar ci sono dai 400 ai 1200 mercenari russi, nonché da 1000 a 3000 sudanesi e questo con delle parti opposte che hanno eserciti di 16-18.000 uomini ciascuno cambia totalmente gli equilibri, come sono cambiati ancor di più con gli 11200 siriani al soldo di Erdogan) la Tripolitania sotto l'influenza turca. Come si sta delineando con la controffensiva di Sarraj grazie alle soldataglie filo turche. Del resto all'Arabia Saudita e all'Egitto è sufficiente eliminare come organizzazione i Fratelli Musulmani che appoggiano Sarraj e che vedono come fumo negli occhi, e mantenere una forte influenza politica di controllo. Né i Sauditi, né l'Egitto (almeno quest’ultimo per quanto riguarda il gas) mirano alle riserve energetiche libiche, se non per controllare la “concorrenza”. Ne hanno in abbondanza.

Chi ha da perdere di più da questa situazione è soprattutto l'Italia, in termini di sicurezza, di approvvigionamenti energetici, di importanza geopolitica, stabilità dei propri confini, di scambi commerciali, controllo delle rotte marittime, sicurezza della pesca... Un conto è avere dei vicini amichevoli e in buoni rapporti o perlomeno neutri, un altro vicini ostili e soprattutto eterodiretti. Non c'è dubbio che la Turchia userebbe i nostri interessi libici come ricatto o merce di scambio per quelli in Eastmed, per ben che ci vada.

La situazione poteva essere evitata?

Probabilmente sì, se avessimo avuto una politica più lungimirante e coraggiosa. ENI a parte, nessuno ha avuto in Italia una politica per la Libia che non fosse il barcamenarsi tra una tornata elettorale all'altra e la preoccupazione che non diventasse un pericolo (supposto) di perdita di consensi. Per far la politica dello struzzo rischiamo di finire come un tacchino (arrosto). Probabilmente sarebbe bastato, una volta che ci si era resi conto delle vere intenzioni di Haftar dopo la sua conquista del Fezzan, mandare un paio di navi al largo della Libia, il sorvolo da parte dei nostri aerei delle sue linee, per fargli passare la sicurezza di vincere ed indurlo a più miti consigli, senza quindi sparare un colpo e risparmiando un paio di migliaia di vittime. Ancora prima, quando Renzi reclamava la cabina di regia, alla richiesta americana di mettere anche 7000 uomini “boots on the ground” il nostro premier di allora se l’era fatta addosso al solo pensiero, preoccupato com’era del suo bacino elettorale (che comunque l’ha perso lo stesso e per tutt’altre ragioni).

Possiamo fare ancora qualcosa o dobbiamo rassegnarci a un nostro triste declino geopolitico e quindi anche, parzialmente, economico? (ebbene sì, le due cose possono essere anche collegate)

Probabilmente possiamo ancora fare qualcosa, ma le possibilità d’intervento sono molto più ristrette e parziali rispetto anche solo a pochi mesi fa, e la percentuale maggiore delle nostre possibilità di successo, oltre al dover potenzialmente considerare di mettere i “boots on the ground”, le dobbiamo ai potenziali rapporti diplomatico-militari con l’Egitto e con il Qatar.

Ecco qual è la situazione nel Mediterraneo focalizzando le problematiche e il contesto geopolitico vs la Turchia e vs le politiche italiane (pressocché assenti o comunque fondate su un’indecisione suprema. Per queste ragioni la politica, o meglio la non politica italiana è altrettanto destabilizzatrice di quella turca, per l’assenza di… appunto. Certo, ci sono altri giochi geopolitici nel Mediterraneo e potenziali problemi potrebbero insorgere in tutta la sponda sud, ma questi che abbiamo descritto ne sono un catalizzatore potente. E l’agonia della Democrazia in Turchia ne è la cartina tornasole. Se cade questo bastione  agonizzante, né risentiranno tutti i diritti umani nella sponda sud, e non solo.

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