Alcune osservazioni sull’Area di Libero Scambio Continentale dell’Unione Africana.
Di Emilio Ciardiello
Il 7 luglio 2019 a Niamey in Niger è stato dato ufficialmente il via alla creazione della più grande area di libero scambio del mondo per superficie e popolazione interessata (1,2 miliardi circa): l’Area di Libero Scambio Continentale dell’Unione Africana, in acronimo AfCFTA (African Continental Free Trade Area) che include 53 paesi su 54 del continente. L’Eritrea ne è per il momento rimasta fuori.
L’evento è stato salutato come una vera svolta per il continente da molti commentatori ed esponenti politici. La nascita dell’AfCFTA è vista come l’inizio di un nuovo periodo per l’intero continente, in cui la libertà economica e commerciale consentirà la nascita di nuove imprese africane e il maggior sviluppo di quelle esistenti, sottraendo il continente dal giogo post coloniale e delle multinazionali americane, europee e cinesi. Per questi commentatori ed esponenti politici l’Africa è finalmente libera di esprimere se stessa!
Fortemente voluto dall’UE, l’area di libero scambio dovrebbe rendere più convenienti gli scambi intra-continentali rispetto a quelli con l’Europa e la Cina. Oggi solo il 17% degli scambi commerciali in Africa avviene tra paesi del continente, contro un valore del 70% per l’Europa e del 60% per l’Asia. Secondo alcune proiezioni il mercato intra-africano potrebbe svilupparsi del 52% già nei prossimi tre anni. In sostanza si auspica che le merci africane possano recuperare terreno rispetto ai prodotti di produzione Europea, Nord Americana e Cinese, che oggi invadono gli scaffali di supermercati e negozi dell’intero continente.
L’attuazione avverrà con la progressiva eliminazione dei dazi doganali tra i vari paesi e con la definizione di regole che identifichino il “made in Africa” in modo da evitare che merci extra continentali importate in uno dei paesi africani possano poi circolare liberamente come “made in Africa”. La preoccupazione sembra riguardare soprattutto merci e semilavorati cinesi. L’attuazione della zona di libero scambio, dando impulso alle produzioni locali, attrarrà anche nuovi investimenti esteri diretti a sviluppare, semmai in compartecipazione con imprenditori locali, nuovi impianti produttivi specialmente nei settori a minore tecnologia e a maggiore intensità di lavoro umano. Sarà quindi dato impulso all’occupazione e per questa via, saranno ridotte le motivazioni economiche che sottendono alla forte emigrazione verso i paesi europei dal continente.
Poche le voci critiche. All’interno del continente, su iniziativa di due ONG, Action Aid e Terres des Hommes, è stato lanciato un incontro con la società civile dei vari paesi, che ha trovano il consenso di molte organizzazioni sindacali e di militanza politica di opposizione nonché di altre ONG operative nel continente. La preoccupazione è che, come già avvenuto in altre parti del mondo, se la libera circolazione delle merci favorisce gli scambi commerciali, questa non corrisponde necessariamente e automaticamente ad un analogo sviluppo della democrazia e dei diritti umani e civili, che al contrario rischiano di contrarsi invece che espandersi.
Ora a guardar bene questa notizia, alcune cose appaino poco convincenti e quanto sostenuto dal movimento animato dalle ONG sembra in gran parte cogliere nel segno. Anzi la notizia come riportata è un esempio di come il significato stesso dei termini venga, con sapiente magia oratoria, capovolto. Non vi è, infatti, nessun automatismo tra libero scambio e sviluppo delle popolazioni locali in senso democratico e civile. Se, come nel caso dell’Africa, una zona di libero scambio viene attuata tra paesi di per se già non pienamente sovrani delle loro risorse e del loro destino, se in questi paesi le aziende locali sono scarse e meno competitive, se molte delle produzioni locali sono spesso di fatto controllate da soggetti esterni e se ancor più molte produzioni locali sono di proprietà di soggetti stranieri ed extra continentali, il libero scambio ha molte probabilità di avere effetti assai diversi da quelli propagandati.
I primi ad avvantaggiarsene saranno probabilmente le aziende europee o cinesi o americane presenti con loro sedi operative e produttive in uno dei paesi africani che con la caduta delle barriere doganali avranno come mercato l’intero continente, libero da dazi e dogane. Certamente avranno impulso anche produzioni gestite da proprietà locali, specialmente se alla liberalizzazione dei mercati saranno accompagnate misure di incentivo e sostegno alle industrie e produzioni africane. Ma quale sarà il loro peso relativo e la loro capacità di competere con aziende e produzioni appartenenti direttamente ed indirettamente a gruppi stranieri e multinazionali senza che venga messo in discussione né l’approccio neo liberista in economia né gli attuali assetti di potere dei vari stati?
L’occupazione ne trarrà certamente beneficio perché si creeranno nuovi posti di lavoro come conseguenza dell’impulso che avranno le produzioni “made in Africa” a prescindere da chi ne detenga la proprietà e ne percepisca i profitti. Ma questo non comporta automaticamente un innalzamento dei loro diritti, specialmente in presenza di regimi scarsamente, se non per niente democratici e rispettosi dei diritti civili e sociali. È ipotizzabile quindi che, anche ad un possibile miglioramento dei livelli salariali non corrisponderà un effetto significativo sui diritti dei lavoratori. Inoltre è prevedibile un incremento delle migrazioni intra continentali, con spostamenti dalle parti più arretrate del continente verso quelle a maggiore sviluppo. Si può anche ipotizzare che la concentrazione di offerta di manodopera che verrà a determinarsi nelle aree a maggiore sviluppo economico, in assenza di legislazioni adeguate, di sindacati e partiti che promuovano il conseguimento di adeguate retribuzioni, potrebbe tradursi in dinamiche di mantenimento dei livelli salariali entro livelli contenuti.
Anche in relazione alla tendenza all’emigrazione dei giovani da molti paesi del continente, in assenza di un incremento dei diritti civili, di un’espansione del welfare pubblico, di una maggiore democrazia nei singoli stati, non è affatto certo che l’effetto sia quello di una naturale riduzione, perché non vengono meno i fondamenti del sogno europeo che molti emigrati coltivano rispetto all’Europa, che non è vista solo come opportunità lavorative e di guadagno ma anche e soprattutto come ideale di democrazia, giustizia e welfare. Una maggiore quantità di opportunità lavorative avrà un effetto sui flussi emigratori limitato a coloro in cerca unicamente di opportunità economiche e lavorative, mossi dalla povertà come i braccianti agricoli o simili, che potranno trovare nuove opportunità di lavoro all’interno del continente. Molto minore sarà invece l’impatto sui flussi emigratori dettati dalla volontà di trovare una vita più dignitosa, che apra diverse prospettive per se stessi e i propri figli in un contesto non contrassegnato da guerre civili, regimi autoritari, mancanza di libertà e diritti fondamentali. In assenza di un cambiamento non solo in termini di opportunità economiche ma anche di diritti sociali e civili il sogno “europeo” potrebbe non sbiadirsi come prospettato.
Il beneficio promosso dall’abolizione dei dazi, in assenza di regole correttive, tenderà inoltre a premiare le zone ed i paesi con economie già più sviluppate del continente a discapito delle economie più deboli e sofferenti, con tutte le conseguenze sociali e politiche che questi squilibri potranno portare. Una maggiore diseguaglianza nello sviluppo tra paesi ed aree sarà un effetto che si accompagnerà ad un acuirsi delle diseguaglianze interne alle popolazioni dei singoli paesi in termini di reddito e di ricchezza.
A beneficiare delle opportunità aperte dalla zona di libero scambio saranno le classi dominanti e le nuove classi medie emergenti nelle zone a maggiore sviluppo, che però, come messo in evidenza anche in precedenti articoli riguardanti il continente africano, sono spesso conniventi degli interessi delle potenze straniere, corrotte e clientelari. Insomma il mix sembra essere tutt’altro che promettente: se, infatti, il libero scambio si spera che creerà un maggiore dinamismo economico, dando impulso a nuove produzioni locali ed una crescente integrazione tra le economie dei diversi stati membri, molti elementi lasciano presagire il rischio di una maggiore fusione degli interessi e dei vantaggi di pochi a discapito dei molti.
Anche sotto il profilo monetario, l’attuazione della zona di libero scambio continentale, che avverrà gradatamente con l’eliminazione dei dazi e delle burocrazie che oggi separano i vari mercati nazionali, dovrà fare i conti con l’attuale pluralità valutaria del continente, dove alla presenza delle due aree valutarie post coloniali francesi del franco cfa, si affiancano una pluralità di valute legate in diversa misura all’euro ed al dollaro. La diversa autonomia valutaria dei singoli stati potrà determinare un diverso grado di libertà d’azione rispetto a svalutazioni e rivalutazione dei cambi intra-continentali e rispetto alle valute internazionali.
La costituzione dell’AfCFTA, richiama la necessità di modificare l’attuale panorama valutario del continente. La necessità di cambi a flessibilità controllata e la costituzione di aree utilizzanti un'unica valuta per ridurre i rischi legati ai corsi valutari è già all’ordine del giorno. La creazione dell’area di libero scambio ha, ad esempio, rivitalizzato il progetto di creazione di una valuta comune, Eco, riguardante 15 paesi di cui alcuni oggi aventi il franco cfa e altri differenti valute dell’Africa occidentale. Questo progetto che sulla falsa riga dell’Euro punta a unificare più stati partendo dalla valuta sembra seguire, anche se con valori diversi, gli stessi parametri (rapporto deficit/pil, debito pubblico etc.) adottati per la costruzione della valuta comune europea con tutti i limiti e debolezze che oggi si evidenziano nella zona Euro e che in questo caso andrebbero ad impattare su economie molto più deboli e maggiormente squilibrate tra di loro.
La questione della stabilità dei cambi è molto controversa a causa della particolare difformità delle condizioni economiche dei vari paesi. Per le economie più arretrate in particolare, se una svalutazione può dare un maggiore impulso alle produzioni locali, è altrettanto vero che, in presenza di una forte dipendenza dalle importazioni di queste economie, a pagarne le spese sarebbero i ceti meno ambienti che sarebbero costretti a pagare di più per merci di importazione di prima necessità non prodotte localmente.
D’altro canto, la costituzione di sistemi valutari o di zone a valuta comune rischia di tradursi in persistenti squilibri della bilancia commerciale delle economie più povere ed arretrate rispetto a quelle più ricche e dinamiche, con tutte le conseguenze in termini di autonomia politica e di equilibrio sociale delle economie più svantaggiate.
Al di là delle implicazioni valutarie, gli elementi di criticità della costituzione dell’AfCFTA sono molteplici e i prevedibili effetti di una incremento delle divergenze economiche tra paesi e aree del continente andrà ad impattare su di una realtà già di per se vulnerabile e caratterizzata da contrasti tra stati, tra etnie interne a vari stati, da opposizioni di alcune popolazioni alle classi dominanti. Il libero scambio, quindi, ammesso che sarà in grado di realizzare gli obiettivi di dare uno sviluppo autonomo al continente, rischia di acuire i contrasti esistenti e ampliare le divergenze socio-economiche che affliggono il continente senza dare risposte concrete in termini di autonomia del continente e di fine del post colonialismo. Anzi, se la costituzione della zona di libero scambio sarà gestita unicamente con le logiche neoliberiste, non vi è nessun automatismo che possa garantire che si traduca in una maggiore autonomia delle economie del continente dalle grandi e medie potenze internazionali.
Insomma sotto più punti di osservazione, la bella notizia della costruzione nei prossimi anni dell’AfCFTA, in un contesto di immutato neo liberismo e con continuità nelle attuali condizioni di governo della politica degli stati del continente, potrebbe assomigliare molto a quella di Dracula diventato buono e che ha avviato la costituzione di una banca del sangue per scopi umanitari!