Di seguito un intervento di Pietro Beltrame, nuovo membro del Dipartimento Geopolitica Esteri e Difesa che spiega le motivazioni e il percorso che ha portato il Cile a protestare e a scendere nelle piazze. I media mainstream, come già successo per la Grecia, non informano sulla reale gravità ed esstensione della protesta in Cile, sulle reali condizioni economiche della popolazione né, colpevolmente informano sulle gravi violazioni dei Diritti Umani che là avvengono, con un numero di vittime molto superiore alle cifre ufficiali, con violenze in parte provocate ad arte per screditare le proteste, con casi di tortura e di detenzioni di massa che evocano i fantasmi della repressione golpista di Pinochet.
. M.R., che ha nello statuto la promozione e la difesa dei Diritti dell’Uomo, sarà sempre vicino a chi si vede deprivato di tali diritti e a chi manifesta pacificamente per abbattere ingiustizie e discriminazioni sociali e per cambiare le tossiche politiche neoliberiste. El pueblo unido jamas serà vencido.
Al mio primo viaggio in Cile del 1996,
atterravo a Santiago del Cile e pensavo di trovare favelas sudamericane, disuguaglianza e povertà ma il paese sembrava moderno ed evoluto, non si vedeva gente che stava male, le infrastrutture sembravano efficienti, mille locali e notti lucenti. Tutto pulito ed ordinato.
Da pochi anni il Cile era uscito dalla dittatura di Pinochet ed i cileni erano fiduciosi.
C’erano dei nostalgici della dittatura (che certo violenza ed epurazioni aveva portato, ma che aveva moderatamente migliorato i fondamentali economici del periodo precedente) e prevaleva l’ottimismo.
Nel ‘73 Pinochet aveva di fatto ereditato da Allende un paese incamminato su una strada socialista fin troppo statalista e con grandissime sacche di inefficienza e nel quale lo stesso Allende non era riuscito ad implementare ciò che veramente desiderava. In sostanza un paese in una situazione economica di crisi pesante.
Il dittatore - che non capiva nulla di economia - su indicazione degli americani che lo avevano fortemente spinto sul “podio”, aveva chiamato i campioni del neo liberismo della scuola di Chicago (capeggiati da Milton Friedman) ed aveva dato loro carta bianca.
I primi effetti erano stati moderatamente positivi non solo dal punto di vista dei parametri macro-economici classici come il prodotto interno lordo, ma anche nella percezione della popolazione, perché la transizione aveva transitoriamente in qualche modo “mediato” fra due eccessi.
Quando Pinochet aveva capito che non avrebbe conservato il potere oltre il 1988, aveva modificato la costituzione in modo tale da blindarvici dentro un bel po’ di neoliberismo.
I governi di stampo vagamente socialisteggiante che avevano seguito la dittatura, non avevano potuto né voluto cambiare gli obiettivi economici fondamentali ed avevano potuto cavalcare l’onda lunga di questo clima di moderato ottimismo.
La situazione economica percepita e reale nell’immediato post Pinochet era rimasta quindi moderatamente positiva per alcuni anni.
Inoltre un apprezzamento continuo ed importante del valore del rame che (primo elemento della bilancia commerciale con l’estero) in tutte le decadi seguenti, aveva sempre contribuito a mantenere la situazione e la percezione medie come abbastanza positive.
Negli anni successivi, additato come migliore esempio del successo del neoliberismo, i governi cileni hanno continuato sulla via del neoliberismo, anche accentuando in modo selvaggio le caratteristiche antipopolari di tale politica, e quindi arricchendo smodatamente multinazionali e privilegiati, ed impoverendo sempre più le classi medie e basse, fino al punto nel quale la grande parte della popolazione ora non gode più di condizioni di sussistenza minime, mentre i fondamentali economici restano da “primo della classe”.
Infatti i salari si sono ridotti in modo estremamente importante mentre il costo della vita è cresciuto enormemente, perché ogni servizio e necessità fondamentale (trasporti, salute, formazione, pensioni, energia, acqua ...) sono stati privatizzati e quindi — nel tempo — sono divenuti sempre più cari, assicurando al contempo sempre maggiori profitti alla società che li forniscono e sempre maggior difficoltà alla popolazione.
Ed ecco che ai giorni nostri, quando una percentuale largamente maggioritaria della popolazione non è più in condizioni di sopravvivenza, si solleva pesantemente contro il governo in carica.
La popolazione cilena pare oggi in larga parte sconsolata e delusa dalla politica, ma anche in buona parte conscia anche del fatto che la stessa costituzione dovrebbe essere ridisegnata in quanto appunto modellata (all’epoca della dittatura) su un modello neoliberista selvaggio.
Il governo in carica ha prima tentato la linea di accomodazione (bloccando l’aumento dei trasporti) e successivamente la linea dura (arresti, violenze e finanche torture) ma senza successo.
Ora che la richiesta della protesta è anche l’edizione di una nuova assemblea costituente, l’immediato futuro resta molto incerto, anche perché non sembra esserci già un’entità politica credibile ed organizzata in grado di interpretare soddisfacentemente e portare al successo un progetto costituente, successive elezioni e una nuova stagione socio economica.