Segue un articolo dal titolo “Usa-Germania, uno scontro destinato a crescere”, pubblicato da “Il Faro Sul Mondo” (http://www.ilfarosulmondo.it/).
Salvo Ardizzone: «La rivalità Usa-Germania, venuta a galla ultimamente, non è contingente ma strutturale ed è destinata ad aggravarsi. Per le pretese di egemonia globale di Washington, è imperativo impedire che emerga in Eurasia un potere capace di contenderle la supremazia; una minaccia che potrebbe delinearsi in un nucleo di Stati europei sotto guida tedesca, che stringa con Mosca una cooperazione strategica. Isolare la forza economica e tecnologica di Berlino dalle risorse del Continente e soprattutto russe, è un obiettivo primario degli Stati Uniti, perseguito costantemente dalla fine della II^ Guerra Mondiale.
Nel 1945 Washington non ha semplicemente sconfitto il Nazismo (ed il Giappone, dandogli la supremazia sull’Asia-Pacifico), ma con il suicidio dell’Europa ha posto le basi per il suo dominio sul Continente esercitandolo attraverso due strumenti: uno geopolitico, il Patto Atlantico con il suo braccio operativo, la Nato; l’altro geoeconomico, la Comunità poi Unione Europea, una struttura di cui solo l’ipocrisia dei suoi governanti ha potuto passare sotto silenzio la matrice a Stelle e Strisce.
In questo quadro la Germania ha subito l’amputazione della sua sovranità politica oltre che territoriale, obiettivo che del resto, per tutta la durata della Guerra Fredda, ha accomunato sovietici ed americani in una coincidenza d’interessi. È un fatto che la Bundesrepublik sia nata in una sudditanza umiliante quanto ostentata: il territorio tedesco era formalmente considerato un campo di battaglia dove acquartierare eserciti e stoccare armi, compresi gli ordigni nucleari che in caso di guerra con l’URSS sarebbero stati sganciati per fermare l’Armata Rossa vetrificando la Germania; era questa la sostanza della cosiddetta “protezione” americana.
Inutile elencare gli accordi segreti mai denunciati che hanno dato allo Zio Sam la potestà di agire a piacimento sul suolo tedesco; la sostanza è che la Repubblica di Bonn è stata un semplice protettorato. E la scelta americana di non ostacolare la riunificazione, osteggiata ferocemente da Francia e Regno Unito, era funzionale all’espansione dell’influenza USA nella Mitteleuropa e verso l’Est attraverso Berlino.
Mutilata nella sua sovranità e zavorrata da un pesantissimo retaggio storico e culturale, la Germania ha abbandonato ogni velleità politica orientandosi esclusivamente verso una dimensione mercantile che alla lunga, in virtù della forza economica raggiunta, l’ha portata a forgiare le Istituzioni della UE in funzione dei propri interessi, vestendoli da europei. Questo le ha permesso di divenire la terza esportatrice al mondo dopo Cina e USA, addirittura prima per surplus commerciale; un’enorme valanga di ricchezza, ma anche un colossale sbilancio che Berlino può mantenere solo scaricandolo sugli altri Paesi dell’Eurozona.
In questo modo, il modello di sviluppo scelto dalla Germania è divenuto inconciliabile con gli interessi degli Stati Uniti, perché l’dea di un blocco europeo funzionale a Berlino, che per la massa critica raggiunta possa saldarsi con la Russia è anatema per Washington, rendendo inevitabile lo scontro strutturale USA-Germania.
E non si tratta di una posizione acquisita con Trump, essa ha poco a vedere con la nuova Amministrazione che si è limitata ad esporre rozzamente ciò che era chiaro da sempre, la comprova è la sterminata serie di contenziosi USA-Germania; l’allineamento di Berlino con Mosca e Pechino sulla Libia nel 2011 o il golpe USA in Ucraina del 2014 che ha vanificato la mediazione tedesca sono solo due dei tantissimi casi di una contrapposizione che ora investe le impostazioni economiche della Germania, minacciando il suo stesso sistema.
È per queste ragioni che Berlino, sinora riluttante ad assumere iniziative politiche, si vede ora costretta a prendere l’iniziativa; le dichiarazioni della Merkel al G7 di Taormina indicano che l’establishment tedesco, per proteggere il proprio modello economico, è ora disposto a smarcarsi dalla tutela americana. Ma per provare a farlo, ammesso che possa mai riuscirci, dovrà recuperare, almeno in parte, la sovranità nazionale, divenendo quello Stato compiuto che dal dopoguerra gli è stato negato. Un percorso difficile per chi, grazie a quell’alibi, ha scansato ogni scelta politica seria, limitandosi a perseguire i propri interessi economici.
Il confronto USA-Germania è comunque divenuto ineludibile ed impone a Berlino una strategia: prendere l’iniziativa per legare a sé l’Europa, garantendosi lo spazio politico-economico necessario a mantenere il proprio sistema. E visto che nei fatti la UE è troppo grande e disomogenea per seguirla senza generare tensioni elevate, ecco l’idea dell’Europa a più velocità, ovvero la creazione di un nucleo stretto legato alla produzione di valore tedesca, ovvero la Kerneuropa, con il resto a farle da corona, e se va alla deriva poco importa.
Anche questa è una manovra eversiva agli occhi di Washington, che da un canto vede smontata la funzione della Ue come strumento di controllo dell’Europa e dall’altro aumenta enormemente il peso della Germania.
Ma c’è un altro aspetto che infuria lo Zio Sam; per dare peso al proprio progetto, Berlino ha infine compreso che deve dotarsi di uno strumento militare efficiente. La Bundeswehr, trascurata da tempo perché sino ad oggi non funzionale ai progetti tedeschi, è al momento in condizioni pessime; adesso, con un massiccio programma di investimenti la Germania vuole dotarsi di Forze Armate credibili. Ovviamente sarà un processo lungo, ma ciò che importa è il senso geopolitico della decisione che mira a creare un “esercito ancora” (Ankerarmee) a cui agganciare gli strumenti militari della Mitteleuropa (meglio, della Kerneuropa a trazione tedesca), progetto che senza clamori è già in atto.
Uno sviluppo finora impensabile e che giunge a ipotizzare d’infrangere il tabù di dotare la Germania di un arsenale nucleare. Inutile dire quanto Washington possa trovare insopportabile che Berlino provi a rivendicare un’indipendenza strategica, coinvolgendo spezzoni importanti dell’Europa, adesso che il Regno Unito è ormai isolato dalla Brexit e la Francia in difficoltà economica. Vi sono tutti gl’ingredienti per una feroce contrapposizione Usa-Germania.
In questo scontro fra Euramerica e Kerneuropa l’Italia si trova in una posizione doppiamente scomoda, e come sempre debole: non ha lo straccio di un progetto e la parte più produttiva del Paese, il Settentrione, è legata alla catena produttiva tedesca, mentre il resto della Nazione ha interessi profondamente diversi, con esplosivi rischi di lacerazione di un Sistema mai realmente integrato.
Il fatto è che il Nord rifiuta di prendere atto che il suo legame con la Germania è subordinato ed essenzialmente ancillare, e il Sud, che pure lo avrebbe potuto, non ha sviluppato alcuna strategia mediterranea, votandosi all’irrilevanza. Con tutta probabilità nello scontro USA-Germania l’Italia non farà alcuna scelta, limitandosi, come sempre, ad essere scelta da una delle parti, ovviamente a prescindere dai propri interessi.»