Segue un articolo dell’economista Alberto Bagnai dal titolo “Il Mondo prima di Keynes”, pubblicato sul suo sito (http://goofynomics.blogspot.com.mt/). Articolo “vecchio” come data, ma attualissimo, considerando “i tempi UE ed Euro” in cui viviamo.
Alberto Bagnai: «Smith è morto, Keynes è morto, e anch’io non mi sento troppo bene.
Questo atteggiamento serpeggia in una parte della professione e dei commentatori. Uno schieramento trasversale, che parte dalla “destra” e arriva, purtroppissimo, alla “sinistra” (di destra, di centro e di sinistra). Unanimi e concordi nel dire che sì, va bene, però il mondo è cambiato, e nel neomondo nel quale stiamo vivendo, nel quale spadroneggia il neoliberismo, le politiche keynesiane non sono più adeguate, quando addirittura non sono loro la causa degli orrendi mali che ci affliggono.
Quest’ultima conclusione viene tratta soprattutto da quelli che, come Tabellini, vedono la causa della crisi nel debito pubblico (anziché, come De Grauwe, e come tanti altri, e come è nei dati, in quello privato), e liquidano Keynes come quello della spesa pubblica e della svalutazione. Una visione un po’ caricaturale. Ma se glielo fai notare, l’argomento è che qui bisogna agire, e non si può stare a far storia del pensiero (illuminante il dibattito fra Cesaratto e Perotti).
Be’, certo... Ho letto anch’io (anzi, forse, fra gli economisti, solo io) la seconda delle Unzeitgemäße Betrachtungen di Nietzsche: “Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben” (Sull’utilità e il danno della storia per la vita). Un motivo c’è: ero iscritto a filosofia... E dopo aver letto e meditato, sono passato a una facoltà meno infestata dalla Storia, il cui danno mi sembrava allora superare l’utilità. Ma ormai ero corrotto: Giannantoni mi aveva pervertito, leggendomi Diogene Laerzio in greco (o fortunatos nimium...). E così sono diventato uno studioso delle serie storiche di dati economici.
Le più famose nella letteratura scientifica sono senz’altro quelle usate nel “two Charlies paper”, l’articolo dei due Carli: Charles Nelson e Charles Plosser. Il primo insegna alla University of Washington - non DC - e l’altro è presidente della Fed di Filadelfia. Molti anni fa, nel 1982, scrissero un articolo famosissimo (“Trends and Random Walks in Macroeconomic Time Series: Some Evidence and Implications,” Journal of Monetary Economics, 10(2), pp. 139–162), nel quale usavano serie “secolari” di dati americani per dimostrare una cosa che a voi non interessa (il database, comunque, è qui). Penso però che possa interessarvi dare un’occhiata a una delle loro serie.
La figura qui sopra riporta il tasso di crescita degli Stati Uniti dal 1910 al 2010 (naturalmente dal 1980 al 2010 la ho aggiornata io, i due Carli non vedevano il futuro: erano economisti). Ricordo che Buiter usa una figura simile in un suo articolo... ma non ricordo quale. Formato al suo insegnamento anch’io l’ho utilizzata nel mio ultimo articolo su crisi finanziaria e governo dell’economia. Secondo me si commenta da sola, ma se volete una mano ve la do.
Prima degli anni ’50, cioè prima che i governi, scossi dalla seconda guerra mondiale, prendessero un serio e in alcuni casi formale impegno a praticare politiche di tipo keynesiano, il ciclo economico degli Stati Uniti oscillava in un corridoio ampio quasi 30 punti percentuali (da recessioni del -15% a espansioni del +15%). I costi sociali di queste oscillazioni (la più famosa è la crisi del ’29) erano enormi e ce li ricordiamo. Ma le “vetuste” ricette keynesiane funzionarono: da quando vennero adottate, il “corridoio” entro il quale la crescita oscillava si dimezzò, e, soprattutto, divenne asimmetrico, nel senso che non si presentarono più recessioni devastanti, e gli anni di crescita furono ben più numerosi di quelli di recessione (mi dispiace per Savonarola). La recessione più grande del dopoguerra è stata quella del 2009, quando il Pil usa è diminuito: -3.4%. Ma nella prima metà del XX secolo tassi di crescita inferiori, e talora di molto, si sono registrati ben nove volte, praticamente una volta ogni quattro anni: dal -4.4% del 1919 al -14.8% del 1932.
Quindi?
Quindi gli studiosi profondi e visionari (soprattutto visionari: dei veri Rimbaud della politica, o più semplicemente dei veri Rimba), quelli che adesso cercano nuovi paradigmi, paradigmi che oltrepassino quel pensiero keynesiano che loro per lo più non conoscono, non essendo attrezzati culturalmente per andare oltre la caricatura di Keynes, in realtà, anche se non lo sanno, anche se non vorrebbero, anche se comunque non lo ammetteranno mai, sotto sotto hanno nostalgia di quel mondo lì, del mondo prima di Keynes, rimpiangono, chi in salsa ricardiana e chi in salsa bolscevica, la prima metà del XIX secolo. Krugman invece no. E voi?»
Quindi?
Quindi gli studiosi profondi e visionari (soprattutto visionari: dei veri Rimbaud della politica, o più semplicemente dei veri Rimba), quelli che adesso cercano nuovi paradigmi, paradigmi che oltrepassino quel pensiero keynesiano che loro per lo più non conoscono, non essendo attrezzati culturalmente per andare oltre la caricatura di Keynes, in realtà, anche se non lo sanno, anche se non vorrebbero, anche se comunque non lo ammetteranno mai, sotto sotto hanno nostalgia di quel mondo lì, del mondo prima di Keynes, rimpiangono, chi in salsa ricardiana e chi in salsa bolscevica, la prima metà del XIX secolo. Krugman invece no. E voi?»