Segue un intervista di Viviana Mazza, per il Corriere della Sera (http://www.corriere.it/), a Noam Chomsky, dal titolo “Giusto cercare un canale con Mosca. Il problema per Trump è il clima”.
Nel libro «Chi sono i padroni del mondo» (Ponte alle Grazie) lei spiega che il declino del potere statunitense fa sì che oggi Washington condivida il governo del mondo con i Paesi del G7. Il summit di Taormina si è appena concluso con scarsi risultati: si aspettava di più dai Sette Grandi?
«Non mi aspetto molto da loro: il G7 non è nella posizione di prendere decisioni importanti. Gli Stati Uniti si sono allontanati dagli altri su troppe questioni. La più significativa: i cambiamenti climatici, che sono il problema più grave oggi, con effetti catastrofici. Saremmo ancora in tempo per affrontarlo, ma gli Usa, soli al mondo, rifiutano di rispettare le regole e gli impegni. Tutti stanno facendo qualcosa, eppure il Paese più ricco e più potente, leader del mondo libero, non solo oppone resistenza ma ostacola gli sforzi altrui. Il problema non è solo Trump. La leadership repubblicana nega i cambiamenti climatici. Il Congresso Usa si è schierato contro i negoziati di Parigi sul clima. Nella Carolina del Nord è stato condotto uno studio che verificava il grave impatto sul livello delle acque: ma anziché correre ai ripari, la reazione è stata di approvare una legge che vieta ogni ricerca sui cambiamenti climatici. Obama ha preso alcune iniziative, ma ora assistiamo a una nuova corsa all’uso di carburanti fossili».
La questione del clima, in questo momento, è oscurata dal «Russiagate». Quanto è grave ai suoi occhi lo scandalo dei rapporti tra lo staff di Trump e Mosca?
«Io penso che sia un problema minore. Si parla di uno scambio di informazioni confidenziali, vedremo cosa emerge. In linea di principio non c’è niente di male nel tentare di stabilire rapporti con la Russia, anzi è un approccio sostanzialmente corretto».
Lei crede che ci sia margine per un dialogo con il presidente russo, Vladimir Putin?
«Perché no? Bisogna partire dai temi che contano e ridurre le provocazioni. Quel che sta succedendo al confine con la Russia è il risultato dell’espansione della Nato: è scandaloso che nel 2008 Obama e Clinton abbiano offerto all’Ucraina di diventare membro dell’Alleanza Atlantica; è come se il Messico avesse tentato di aderire al Patto di Varsavia. Ed è la ragione per cui i russi agiscono in modo provocatorio al confine con i Paesi Baltici: la situazione può esplodere in ogni momento, basta che un aereo russo ne colpisca un altro per errore per innescare un’escalation che potrebbe scaturire in un conflitto. L’altro tema urgente è quello delle armi nucleari: Obama ha sviluppato - e Trump sta portando avanti - un programma di modernizzazione del nostro arsenale che rende possibile annientare l’intero deterrente russo con un “first strike”. Questo mina la stabilità, perché salta la logica della deterrenza reciproca. Consapevoli delle potenzialità americane, i russi in un momento di crisi potrebbero essere tentati di colpire per primi, assicurando la distruzione reciproca. E’ così che riduciamo la tensione?»
Oggi si dice che la più grande minaccia alla sicurezza Usa sia la Corea del Nord...
«E si ipotizzano nuove sanzioni e azioni militari, ma non si parla del fatto che Pyongyang aveva proposto di congelare il programma missilistico e nucleare in cambio della sospensione delle manovre militari Usa nella regione. Obama ha rifiutato. Perché non imparare la lezione dall’Iran? Anche Trump oggi riconosce che Teheran sta rispettando l’accordo nucleare».
Come spiega l’ascesa del populismo in Occidente?
«Innanzitutto, che cos’è il populismo? Oggi questo termine viene usato in modo molto strano, per indicare il sentimento di rabbia, disillusione, disprezzo per le istituzioni che si è diffuso in tutto il mondo occidentale. Lo abbiamo visto nelle elezioni francesi con l’ascesa del movimento di Le Pen, vicino al fascismo, e la vittoria di Macron, un outsider rispetto ai partiti politici. Negli Stati Uniti i due principali candidati erano Sanders e Trump, e se non fosse stato per gli imbrogli del partito democratico, avrebbe vinto Sanders. Questi stessi movimenti anti-establishment hanno portato alla Brexit. Perché si sviluppano? Quello che accomuna le diverse realtà sono le politiche neoliberiste della passata generazione, quella che in Europa chiamate “austerity”. I risultati sono stati la stagnazione, la perdita di posti di lavoro, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi».
Lei definì l’Ue una delle realtà più promettenti del secondo dopoguerra, ora parla di declino della democrazia anche in Europa.
«L’Unione europea vacilla a causa degli effetti nefasti delle politiche di rigore. Una conseguenza è l’indebolimento della stessa democrazia: le decisioni vengono prese lontano dal popolo, dai burocrati di Bruxelles e dalla troika, che ascoltano le banche tedesche e francesi».
Perché la rabbia sfocia nel populismo e non in attivismo politico?
«Negli Stati Uniti, le ricerche mostrano che la maggioranza della popolazione non ha alcun modo di influenzare la politica. La gente arrabbiata vorrebbe più tasse per i ricchi, ma i populisti trovano un capro espiatorio: gli immigrati, i neri, i musulmani. Anziché concentrarsi sulle vere fonti del disagio, il popolo vota per i propri nemici. Questo sta succedendo in tutto l’Occidente.»