Effettivamente, tanti segnali, considerando la campagna elettorale e tutto quello che ad oggi è accaduto, lasciano pensare che quanto ormai in tanti affermano possa effettivamente materializzarsi (per sostituirlo magari con suo il vice Mike Pence che, come giustamente ha affermato il giornalista Marcello Foa: «Non è mai stato un fedelissimo di Trump. E’ uomo del partito repubblicano... e quindi di lui si fidano»?).
In attesa di quello che accadrà, posto una "riflessione" della giornalista Ida Magli pubblicata da “Dagospia” (http://www.dagospia.com/).
Ida Magli: «Dice molto seccamente Trump giovedì sera, durante la conferenza stampa congiunta con il presidente della Colombia, di non aver mai chiesto al direttore dell'FBI, James Comey, di insabbiare l'inchiesta sulle collusioni con la Russia dell'ex consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn. Risponde semplicemente “no no”, e passa alla domanda seguente.
La stessa cosa aveva detto Comey personalmente, nel corso di una testimonianza giurata di fronte alla Commissione Giustizia del Senato il 3 maggio scorso, subito prima che Trump lo licenziasse; è stravagante, per usare un termine eufemistico, che nessuno in questi giorni di grande casino, mentre si prefigurano scelte future basandosi su un diario di Comey che il New York Times avrebbe, ma che non ha ritenuto di esibire, che queste dichiarazioni di Comey non siano state prese in considerazione da nessuno, nemmeno dai repubblicani che hanno partecipato a quella testimonianza, i quali evidentemente facevano le parole crociate mentre Comey rispondeva così al senatore democratico delle Hawaii.
Infatti l'allora ancora direttore dell'FBI dichiarò che nessuno a lui aveva mai chiesto di fermare un'indagine per ragioni politiche, e quindi o ha mentito allora commettendo spergiuro o ha mentito pochi giorni fa al New York Times sostenendo di aver scritto il testo dell'incontro col presidente nell'Ufficio Ovale sui suoi appunti; o infine, terza ipotesi, ha mentito il New York Times sostenendo di avere quella prova. Prova, o racconto di prova, che il Times definisce the smoking gun, la pistola fumante, che proverebbe il comportamento di ostruzione della giustizia da parte del presidente, non bruscolini.
Veniamo alla testimonianza al Senato. Il senatore democratico delle Hawaii, Mazie Hirono, chiede chi possa fermare un investigazione del Federal Bureau, Comey risponde che può farlo il ministro, Attorney General, o dei funzionari di alto grado del Dipartimento della Giustizia.
Subito dopo aggiunge che sarebbe “a big deal to tell the FBI to stop doing something that without an appropriate purpose.”, sarebbe una cosa grave chiedere al FBI di fermare qualcosa del genere senza una ragione appropriata.
E conclude: “But I’m talking about a situation where we were told to stop something for a political reason, that would be a very big deal. It’s not happened in my experience”, ma sto parlando di una situazione nella quale ci si chiedesse di fermare qualcosa per ragioni politiche, che sarebbe davvero una cosa grave. Nella mia esperienza non è accaduto.
Quindi il 3 maggio, e sotto giuramento, per l'allora direttore dell'FBI l'incontro nell'Ufficio Ovale, del quale ora si mena scandalo, non era avvenuto e non c'era nessun memo, che ora si dice essere stato scritto due mesi prima. In caso contrario, inoltre, quale occasione migliore per denunciare la pressione alla quale era sottoposto il direttore del Federal Bureau, se non la Commissione Giustizia del Senato?
In una situazione normale, visto che James Comey non ha sentito l'obbligo legale e nemmeno il dovere morale di denunciare le pressioni a cui era sottoposto da parte del presidente nella sede istituzionale del Senato e immediatamente dopo di dimettersi, questo significa che quelle pressioni non c'erano state o che lui non le aveva avvertite come tali, che è esattamente quello che sostiene Donald Trump, altro che commissario speciale nominato dal Dipartimento di Giustizia, che poi altri non è che un ex direttore dell' FBI.
Probabilmente quel che è accaduto nei giorni scorsi è frutto o dell'ennesima spiata proveniente dall'interno del Bureau e conseguenza della guerra tremenda tra livelli alti e livelli medi, guerra peraltro analoga a quella all'interno della CIA, del NSA, di più o meno tutte le agenzie, e con il Dipartimento di Giustizia e con quello di Stato, insomma una situazione disastrosa ereditata dalla precedente Amministrazione; oppure a farla trapelare e’ stato direttamente Comey per vendetta, d'accordo col suo vice Cabe, un altro che non è proprio al di sopra di ogni sospetto, visto che contava sulle elezioni della Clinton per prendersi il posto numero 1 e infatti tratto’ come una sciocchezzuole il caso delle mail passate su indirizzo pubblico, uno la cui consorte si fece pagare dal Partito Democratico della Virginia una campagna non riuscita di candidatura alla Camera; oppure è conseguenza della fame smodata di notizie che danneggino il presidente, della quale sono preda alcuni giornali e televisioni, a partire da New York Times, Washington Post, CNN, Msnbc. In questa situazione cancerosa sarà interessante capire chi in caso di inchiesta seria indagherà su chi e con quale autorità e garanzia di indipendenza.
Senza contare che, sempre in una situazione normale, se pure quelle parole “spero che ora la lascio perdere questa inchiesta, in fondo è un brav'uomo”, sono state pronunciate, e sarebbe colpa dell'ingenuità manifesta del non politico Trump, non possono essere valutate se non si ascolta la conversazione e se ne comprende contesto e intenzione.
Difficile che uno che le dice sul serio quelle parole, poi non sappia che l'interlocutore consenziente si è guadagnato un’ assicurazione fino a fine mandato, e non può certo essere licenziato per la sua incapacità dichiarata, e anche per il vizietto di mettere la costruzione del proprio potere e dell'agenda politica al posto del proprio lavoro, come è accaduto invece.
Errori di ingenuità e di guasconeria il presidente Donald Trump ne ha commessi e ne commetterà ancora molti. Bisognerebbe ricordare che è stato eletto anche per questa ragione, ma al Partito Democratico che ha perso milioni di voti negli ultimi 10 anni, ed è ormai una ridotta nelle città delle due coste, come al partito Repubblicano, che mai sarebbe riuscito a riprendersi la presidenza, nonostante la nazionale gigantesca delusione e stanchezza per gli errori della presidenza Obama, nonostante la debolezza della candidatura imposta di Hillary Clinton questo importa poco.
Che siano i perdenti rabbiosi che non hanno accettato di essere stati sconfitti e umiliati, che siano i vincitori riottosi che quel salvatore proprio non lo volevano, l'elite, lo stato profondo, l'establishment, chiamatelo come vi pare, il sistema si ribella e colpisce come uno scorpione.
Ora a Washington per Donald Trump la vita e’ ben più difficile della campagna elettorale 2016. Siamo in una città nella quale non solo il 91% ha votato per Hillary Clinton l'otto novembre scorso, ma dove veleni, dissimulazione, minacce riportate sempre indirettamente, dossier e ricattucci, sono la regola.
Certamente a Comey Trump non avrebbe dovuto dire neanche una parola che riguardasse la Russia, e avrebbe dovuto immediatamente sostituirlo, appena insediato. E’ possibile che nel corso dei prossimi tre anni e mezzo il presidente si riveli inadeguato alla potenza del compito, per capirlo glielo devono far fare il presidente. Ma che i suoi avversari nel paese pensino di poterlo far fuori prima che queste capacità o incapacità siano state rivelate a chi lo ha eletto, è orribile.
Che le stesse frasette di rabbia con la bava alla bocca le scrivano giornalisti europei e italiani, che teorizzino di cacciarlo a calci in culo, che lo bollino come creatura televisiva e non politico, magari essendo gli stessi che hanno fatto da corte a Berlusconi, che hanno campato e perfino si sono arricchiti nei suoi giornali e nelle sue televisioni, è patetico.
Rispetto per gli elettori zero. Nessuno di costoro ha capito niente della frustrazione sociale che ha portato alla vittoria di Donald Trump. Pensano di farlo fuori come se niente fosse e tornare alla condizione di prima, come se quella della gente ordinaria, una volta la spina dorsale d'America, contro le elites, non fosse stata una rivoluzione politica. Rischiano di farsi male.»
Ida Magli: «Dice molto seccamente Trump giovedì sera, durante la conferenza stampa congiunta con il presidente della Colombia, di non aver mai chiesto al direttore dell'FBI, James Comey, di insabbiare l'inchiesta sulle collusioni con la Russia dell'ex consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn. Risponde semplicemente “no no”, e passa alla domanda seguente.
La stessa cosa aveva detto Comey personalmente, nel corso di una testimonianza giurata di fronte alla Commissione Giustizia del Senato il 3 maggio scorso, subito prima che Trump lo licenziasse; è stravagante, per usare un termine eufemistico, che nessuno in questi giorni di grande casino, mentre si prefigurano scelte future basandosi su un diario di Comey che il New York Times avrebbe, ma che non ha ritenuto di esibire, che queste dichiarazioni di Comey non siano state prese in considerazione da nessuno, nemmeno dai repubblicani che hanno partecipato a quella testimonianza, i quali evidentemente facevano le parole crociate mentre Comey rispondeva così al senatore democratico delle Hawaii.
Infatti l'allora ancora direttore dell'FBI dichiarò che nessuno a lui aveva mai chiesto di fermare un'indagine per ragioni politiche, e quindi o ha mentito allora commettendo spergiuro o ha mentito pochi giorni fa al New York Times sostenendo di aver scritto il testo dell'incontro col presidente nell'Ufficio Ovale sui suoi appunti; o infine, terza ipotesi, ha mentito il New York Times sostenendo di avere quella prova. Prova, o racconto di prova, che il Times definisce the smoking gun, la pistola fumante, che proverebbe il comportamento di ostruzione della giustizia da parte del presidente, non bruscolini.
Veniamo alla testimonianza al Senato. Il senatore democratico delle Hawaii, Mazie Hirono, chiede chi possa fermare un investigazione del Federal Bureau, Comey risponde che può farlo il ministro, Attorney General, o dei funzionari di alto grado del Dipartimento della Giustizia.
Subito dopo aggiunge che sarebbe “a big deal to tell the FBI to stop doing something that without an appropriate purpose.”, sarebbe una cosa grave chiedere al FBI di fermare qualcosa del genere senza una ragione appropriata.
E conclude: “But I’m talking about a situation where we were told to stop something for a political reason, that would be a very big deal. It’s not happened in my experience”, ma sto parlando di una situazione nella quale ci si chiedesse di fermare qualcosa per ragioni politiche, che sarebbe davvero una cosa grave. Nella mia esperienza non è accaduto.
Quindi il 3 maggio, e sotto giuramento, per l'allora direttore dell'FBI l'incontro nell'Ufficio Ovale, del quale ora si mena scandalo, non era avvenuto e non c'era nessun memo, che ora si dice essere stato scritto due mesi prima. In caso contrario, inoltre, quale occasione migliore per denunciare la pressione alla quale era sottoposto il direttore del Federal Bureau, se non la Commissione Giustizia del Senato?
In una situazione normale, visto che James Comey non ha sentito l'obbligo legale e nemmeno il dovere morale di denunciare le pressioni a cui era sottoposto da parte del presidente nella sede istituzionale del Senato e immediatamente dopo di dimettersi, questo significa che quelle pressioni non c'erano state o che lui non le aveva avvertite come tali, che è esattamente quello che sostiene Donald Trump, altro che commissario speciale nominato dal Dipartimento di Giustizia, che poi altri non è che un ex direttore dell' FBI.
Probabilmente quel che è accaduto nei giorni scorsi è frutto o dell'ennesima spiata proveniente dall'interno del Bureau e conseguenza della guerra tremenda tra livelli alti e livelli medi, guerra peraltro analoga a quella all'interno della CIA, del NSA, di più o meno tutte le agenzie, e con il Dipartimento di Giustizia e con quello di Stato, insomma una situazione disastrosa ereditata dalla precedente Amministrazione; oppure a farla trapelare e’ stato direttamente Comey per vendetta, d'accordo col suo vice Cabe, un altro che non è proprio al di sopra di ogni sospetto, visto che contava sulle elezioni della Clinton per prendersi il posto numero 1 e infatti tratto’ come una sciocchezzuole il caso delle mail passate su indirizzo pubblico, uno la cui consorte si fece pagare dal Partito Democratico della Virginia una campagna non riuscita di candidatura alla Camera; oppure è conseguenza della fame smodata di notizie che danneggino il presidente, della quale sono preda alcuni giornali e televisioni, a partire da New York Times, Washington Post, CNN, Msnbc. In questa situazione cancerosa sarà interessante capire chi in caso di inchiesta seria indagherà su chi e con quale autorità e garanzia di indipendenza.
Senza contare che, sempre in una situazione normale, se pure quelle parole “spero che ora la lascio perdere questa inchiesta, in fondo è un brav'uomo”, sono state pronunciate, e sarebbe colpa dell'ingenuità manifesta del non politico Trump, non possono essere valutate se non si ascolta la conversazione e se ne comprende contesto e intenzione.
Difficile che uno che le dice sul serio quelle parole, poi non sappia che l'interlocutore consenziente si è guadagnato un’ assicurazione fino a fine mandato, e non può certo essere licenziato per la sua incapacità dichiarata, e anche per il vizietto di mettere la costruzione del proprio potere e dell'agenda politica al posto del proprio lavoro, come è accaduto invece.
Errori di ingenuità e di guasconeria il presidente Donald Trump ne ha commessi e ne commetterà ancora molti. Bisognerebbe ricordare che è stato eletto anche per questa ragione, ma al Partito Democratico che ha perso milioni di voti negli ultimi 10 anni, ed è ormai una ridotta nelle città delle due coste, come al partito Repubblicano, che mai sarebbe riuscito a riprendersi la presidenza, nonostante la nazionale gigantesca delusione e stanchezza per gli errori della presidenza Obama, nonostante la debolezza della candidatura imposta di Hillary Clinton questo importa poco.
Che siano i perdenti rabbiosi che non hanno accettato di essere stati sconfitti e umiliati, che siano i vincitori riottosi che quel salvatore proprio non lo volevano, l'elite, lo stato profondo, l'establishment, chiamatelo come vi pare, il sistema si ribella e colpisce come uno scorpione.
Ora a Washington per Donald Trump la vita e’ ben più difficile della campagna elettorale 2016. Siamo in una città nella quale non solo il 91% ha votato per Hillary Clinton l'otto novembre scorso, ma dove veleni, dissimulazione, minacce riportate sempre indirettamente, dossier e ricattucci, sono la regola.
Certamente a Comey Trump non avrebbe dovuto dire neanche una parola che riguardasse la Russia, e avrebbe dovuto immediatamente sostituirlo, appena insediato. E’ possibile che nel corso dei prossimi tre anni e mezzo il presidente si riveli inadeguato alla potenza del compito, per capirlo glielo devono far fare il presidente. Ma che i suoi avversari nel paese pensino di poterlo far fuori prima che queste capacità o incapacità siano state rivelate a chi lo ha eletto, è orribile.
Che le stesse frasette di rabbia con la bava alla bocca le scrivano giornalisti europei e italiani, che teorizzino di cacciarlo a calci in culo, che lo bollino come creatura televisiva e non politico, magari essendo gli stessi che hanno fatto da corte a Berlusconi, che hanno campato e perfino si sono arricchiti nei suoi giornali e nelle sue televisioni, è patetico.
Rispetto per gli elettori zero. Nessuno di costoro ha capito niente della frustrazione sociale che ha portato alla vittoria di Donald Trump. Pensano di farlo fuori come se niente fosse e tornare alla condizione di prima, come se quella della gente ordinaria, una volta la spina dorsale d'America, contro le elites, non fosse stata una rivoluzione politica. Rischiano di farsi male.»