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Casaleggio? “Politica” è sinonimo di “futuro”, se ridiventa una cosa seria.

«Oggi non stiamo parliamo di politica, stiamo parlando di futuro». Parola di Davide Casaleggio, l'erede dinastico di Gianroberto, incoronato come nuovo “principe” del Movimento 5 Stelle al forum di Ivrea, l'8 aprile: una grande convention, per celebrare l'uomo-ombra dell'operazione-Grillo, il riccioluto teorico della “democrazia diretta via web”. Casaleggio Jr. aveva esordito qualche giorno prima, ospite della Gruber a “La7”, dove aveva espresso il seguente concetto: «Chi non ha idee dovrà rassegnarsi a un salario cinese».

Oltre che per la piattaforma informatica “Rousseau”, il nome del giovane Casaleggio era stato associato, mesi fa, all'infelice blitz tentato da Grillo per traslocare a forza il gruppo europarlamentare verso gli ultra-europeisti dell'Alde, in compagnia di Mario Monti (cosa che ha sconcertato gli elettori e frantumato il gruppo, prima ancora che Grillo ricevesse il diniego dell'Alde e fosse costretto a pregare Nigel Farage di riaccogliere i suoi presso il raggruppamento di partenza, euroscettico). Ma adesso il dado è tratto e, dopo Di Maio, Di Battista, Fico e le prime cittadine di Torino e Roma, Davide Casaleggio è ufficialmente sottoi riflettori, come ipotetico leader: forse futuro candidato premier, azzardano i media.

«Oggi non stiamo parliamo di politica», dice ai giornalisti che lo assediano. «Stiamo parlando di futuro», spiega, come se le due parole (politica e futuro) non andassero d'accordo, perlomeno tra i 5 Stelle, o comunque nella sua visione. E' possibile che il giovane Casaleggio volesse semplicemente dire: oggi non parliamo di beghe romane, di Gentiloni e Renzi, ma di politica del futuro. Però non l'ha detto: le parole “politica” e “futuro” le ha tenute ben distinte. Quasi a dargli ragione, su “Rep.Tv”, irrompono le grevi domande del reporter che lo insegue mentre lui si dilegua nel backstage: «E' un po' un'apertura al mondo, praticamente?», lo interpella il cronista. «E' un tentativo per aprire un po' di più al mondo?

Alla società civile? All'economia?». E ancora: «Che risposte cercate, oggi, qui? Cercate delle risposte dalla società civile? Dalla politica?». Casaleggio tace, e il reporter non si rassegna: «Che messaggio volete lanciare, oggi?». Al che, meglio si capisce, forse, in Davide Casaleggio, quell'apparente rifiuto della “politica”, intesa come spettacolo di arte varia, affidato in gran parte alla stampa mainstream, quella che ritaglia figurine di cartone evitando regolarmente le domande più scomode.

La parola che metterebbe insieme “politica” e “futuro” è un terzo vocabolo: “ideologia”.

Bandito da decenni come fosse il virus della peste, probabilmente per colpa di chi – nell'allora sinistra – ne fece strame, calpestando i propri ideali di partenza. Ma la rimozione coatta delle ideologie del '900 (soprattutto quelle di sinistra, sopravvissute al nazifascismo travolto dalla catastrofe bellica), si deve essenzialmente all'affermarsi, in modo pressoché totalizzante, dell'unica vera ideologia rimasta in campo, quella neoliberista: il dogma del mercato che sovrasta lo Stato, fino ad annichilirlo. Se l'ideologia socialista pre-marxista (umanesimo fondato sulle pari opportunità per tutti) fu messa in freezer dal comunismo sovietico, poi crollato nel 1989 seppellendo nella sua rovina tutti gli altri socialismi, inclusi quelli libertari, l'ideologia liberale – motore dello sviluppo democratico, in Occidente – è stata a sua volta sfigurata, dopo il crollo dell'Urss, dalla degenerazione neoliberista incarnata da politici come Reagan e Thatcher, Clinton e Blair, all'insegna di nuova forma di pirateria ultra-capitalistica, fraudolenta e finanziaria, modellata su misura per il nuovo mondo globalizzato, trasformato in terra di conquista senza più argini. Il mondo dove, appunto, «chi non ha idee dovrà rassegnarsi a un salario cinese».

Davide Casaleggio non lo dice, eppure la parola “ideologia” è proprio quella che può dare alla politica la necessaria proiezione nel futuro, il senso del progetto: io, attraverso l'azione politica, mi impegno oggi per una società che vorrei fosse migliore, domani. Esisterà ancora, la politica? Esisteranno la cittadinanza, la democrazia, le elezioni? Esisterà ancora, lo Stato sovrano? Oggi, in Europa, gli Stati hanno perso gran parte della loro sovranità: in Eurozona hanno perduto la sovranità sulla moneta e quella sul bilancio, che l'Italia – con il governo Monti, sorretto da Bersani e Berlusconi – si è costretta a tenere in pareggio, sabotando in tal modo qualsiasi possibilità di rinascita in termini di investimenti sociali, leve fiscali, politiche strategiche per lo sviluppo di opportunità economiche. Rimettere mano alle ideologie dei diritti è urgentissimo, per strappare il velo all'ideologia dominante, quella del pensiero unico neoliberista, fondata su falsi dogmi economici. Il primo dogma, il più nefasto, riguarda il denaro: non è affatto vero che il mercato è autosufficiente, perché si fonda sul potere decisivo della moneta. E le aziende, protagoniste del libero mercato, in realtà sono costrette a utilizzare valuta altrui: non possono battere moneta. In regime di sovranità, solo lo Stato può emettere moneta, creandola dal nulla. Oggi, di fatto, gli Stati hanno ceduto questo monopolio al sistema bancario, che in Eurozona ha assunto un potere abnorme, di governo del sistema.

La prima delle «idee» indispensabili per non «rassegnarsi a salari cinesi», dovrebbe quindi essere questa: restituire al potere pubblico la perduta sovranità finanziaria, mediante il controllo diretto della moneta, senza il quale è tecnicamente impossibile impostare politiche alternative, per le quali magari si è chiesto il voto degli elettori, ben sapendo di proporre soluzioni inattuabili per mancanza di fondi. Senza un recupero di sovranità, come ormai rilevano molti economisti, è assolutamente impraticabile qualsiasi riconversione strategica dell'economia, qualsiasi “resurrezione” del sistema-paese in termini di benessere, equità, lavoro, welfare, investimenti sulla tecnologia, sulla cultura, sull'ambiente. Si tratta di un obiettivo decisivo: restituire potere ai cittadini, mediante il voto, mettendoli in condizioni di eleggere organismi nuovamente dotati della sovranità finanziaria oggi appannaggio esclusivo dell'élite che domina il sistema bancario. Senza questo, l'alternativa è quella di salari magari non-cinesi, ma sottoposti comunque a un sistema di tipo feudale, che nulla ha a che vedere con la democrazia, men che meno la “democrazia diretta” vagheggiata dai 5 Stelle, sempre così laconici in materia di Europa, euro e politica economica. L'alternativa è ideologica: si chiama democrazia. Ed è la sola che consentirebbe di poter dire, finalmente:

«Oggi parliamo di politica, cioè di futuro».

 

 

GIORGIO CATTANEO, fondatore e curatore di LIBRE IDEE (www.libreidee.org) e socio del Movimento Roosevelt.

 

(Articolo del 12 aprile 2017)
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