Sulle pagine dell’Economist, il 13 febbraio 1954, per mano di Norman Macrae, nasceva Mr. Butskell, una figura destinata a diventare molto importante nella politica del Regno Unito (e sconosciuta ai più al di fuori).
Nell’articolo citato, l’Economist argomentava che erano così tante le somiglianze politiche fra il conservatore Butler, e il laburista Gaitskell, che si poteva pensare al sistema britannico come governato, appunto, dal signor Butskell, e dal suo movimento, il “butskellismo”. Un famoso analista politico inglese (RT McKenzie) commentò:
“due grandi strutture monolitiche ora si fronteggiano, e si scontrano furiosamente sugli argomenti, tutti minori, che li separano”
Storicamente si ritiene che fu Margaret Thatcher a cacciare Mr. Butskell da Downing Street. Ma lo stesso decise di emigrare in lidi più caldi, dalle parti di Roma. Non si può negare infatti che per decenni, ormai, Mr. Butskell abbia dimorato in Italia, con sembianze di volta in volta diverse (abbiamo infatti spaziato dal Cossigutta al Renzusconi), ma sempre affaccendato a organizzare scontri violentissimi su argomenti tutti rigorosamente minori, quando le decisioni più importanti non incontravano mai nessun vero dibattito o seria opposizione.
Negli ultimi anni però, un po’ in tutto il mondo, e anche in Italia stiamo assistendo ad una spasmodica ricerca dei movimenti politici di trovare qualcosa che li possa distinguere, che possa uccidere Mr. Butskell o almeno mascherarlo abbastanza da renderlo irriconoscibile. Si sono infatti resi conto che nel tempo in cui le ideologie sono svuotate, i partiti sono dei simboli di fallimento e persino l’”uomo forte al comando” vacilla, l’elettorato semplicemente li individua come dei dannosi corpi estranei, indegni di fiducia. E sono disposti a tutto pur di ritrovare una appartenenza politica, non importa se realistica o solo verosimile.
Per farlo, si sta assistendo ad una (vana) rincorsa a posizioni troppo spesso solo populiste, che di solito non fa che rafforzare chi può vantare “l’originalità”, la primogenitura delle stesse.
Consiglio a tutti di leggere il bel libro del sociologo americano Neil Postman, Divertirsi da Morire (Marsilio), dove egli parlava della sua visione del futuro, ritenendo più calzante, rispetto quella sempre citata di George Orwell, dove governi totalitari annullano i diritti, quella offerta da Aldous Huxley, dove tali diritti vengono volontariamente ceduti in cambio di “intrattenimento”.
Scrive Postman:
“What Orwell feared were those who would ban books. What Huxley feared was that there would be no reason to ban a book, for there would be no one who wanted to read one. Orwell feared those who would deprive us of information. Huxley feared those who would give us so much that we would be reduced to passivity and egoism. Orwell feared we would become a captive audience. Huxley feared the truth would be drowned in a sea of irrelevance. Orwell feared that we would become a captive culture. Huxley feared we would become a trivial culture, preoccupied with some equivalent of the feelies, the orgy porgy, and the centrifugal bumblepuppy. As Huxley remarked in Brave New World Revisited, the civil libertarians and rationalists who are ever on the alert to oppose tyranny “failed to take into account man’s almost infinite appetite for distractions.” In Brave New World, they are controlled by inflicting pleasure. In short, Orwell feared that what we hate would ruin us. Huxley feared that what we love will ruin us."
Roberto Tomaiuolo
Mr. Butskell sta per morire?
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