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L’esclamazione Allah Akbar ! che in arabo significa “Dio è il più grande”  è diventata negli ultimi anni un grido che accompagna azioni violente. Questa  espressione che nel suo significato letterale non implica alcuna brutalità è divenuta un urlo di rabbia e odio, odio verso chiunque venga considerato un nemico.

Questo grido viene utilizzato da persone ispirate all’Islam, ma che in realtà utilizzano questa religione come pretesto per dare sfogo ad una condizione umana disperata. Accadeva anche nel passato soprattutto nell’Europa dell’Ottocento, dove molti criminali comuni e assassini, affrontavano il patibolo al grido di “Viva L’Anarchia”,  non perché tra di loro fosse maturata una qualche coscienza politica rivoluzionaria, ma per mascherare fino all’ultimo una esistenza misera ed inutile. Stesso principio vale per la milizia Confederata della Guerra di Secessione, la quale, calpestata dal sogno americano, finì col costituirsi in bande di fuorilegge compiendo rapine e razzie al grido del “rebel yell” (il loro storico grido di battaglia),  divenuto lentamente la loro unica voce. Un eco rumoroso simile a quello che ogni tanto si sente nelle curve da stadio dove si dichiara l’odio per gli avversari e dove i suoni vocali si confondono, diventando lo strumento preferito di chi non ha molto da dire, ma pretende lo stesso di farsi sentire, è come un “Io ci sono”…”non vi dimenticate di me, non mi abbandonate”!   Così quel “viva l’anarchia” o “Dio è il più grande” o come “boia chi molla” diventano una bandiera per coprire una profonda voragine interiore. Credo che la questione “fondamentalismo” (vuoi politico, vuoi religioso) si possa spiegare su di un piano psicologico con la parola “solitudine abbandonica”.

La solitudine abbandonica è cara alla psicoanalisi e in certi casi non porta alla depressione, ma alla paranoia spingendo la coscienza verso una condizione aliena. Sentirsi “alieni” vuol dire perdere il proprio senso di appartenenza al genere umano, smarrire il senso profondo di se stessi. Immaginiamo un alieno che scende sulla terra, che come prima cosa cerca di capire dove si trova, egli è guardingo e pronto a scovare i possibili pericoli per la sua incolumità con la preoccupazione di non essere compreso da quelli che incontrerà sul suo cammino o di essere scambiato per un nemico. In siffatte situazioni l’inconscio spesso gioca d’anticipo, inventandosi un possibile persecutore…del resto “meglio sentirsi perseguitati che depressi o incompresi”.    Così l’identificazione di un nemico, per giunta legittimato attraverso il sacro, serve a rafforzare e sostenere un Sé fragile e destrutturato.

In una interiorità povera e disarticolata, priva di risorse e dove i processi simbolici sono rimasti bloccati, si può strutturare una relazione con gli altri fondata sul conflitto. Ne consegue che l’unica relazione significativa che queste persone riescono a creare ed a gestire è quella con il ‘nemico infedele’ che finisce con l’essere l’unica certezza e l’unica sicurezza nella loro misera esistenza. Si potrebbe dire in conclusione che più è forte l’urlo più grande è la disperazione.

 

Stefano Pica

 (Articolo del 7 Febbraio 2017)

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