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Questa mattina,  segnalandomi un articolo di Franceschini su La Repubblica, un amico Italiano a Londra, con una storia politica di tutto riguardo, mi ha chiesto cosa ne pensassi delle conclusioni del primo convegno politico di MacroGeo, nuovo think tank con base a Londra, riguardo i rischi e l’eventuale costo di una disgregazione dell’UE.

Per poter rispondere a questa domanda devo contestualizzare la mia risposta in alcune riflessioni sullo ‘zeitgeist’ e lo spirito dell’elettorato nel mondo occidentale.

Mentre dalla metà dei ’70 alla metà dei ‘90 abbiamo visto il mondo finanziario ultraconservatore e neoliberista cercare di imporre i propri modelli economici e sociali (ricordiamo la data del 16 Ottobre 1975 in cui le banche presero il controllo di NY), negli ultimi 20 anni, ed in particolare dalla caduta del Muro di Berlino, abbiamo visto il tentativo di imporre quei modelli economici che tutelano l’1% dei capitalisti del mondo occidentale come gli unici modelli possibili, sostenibili e realizzabili.

La strategia più efficace per imporre le teorie economiche neoliberiste come le uniche teorie universalmente valide è stata quella di screditare l’unica forza capace di proporre soluzioni alternative: la politica.

Dagli anni ’90 in poi, infatti, c’è stato un progressivo svilimento della politica facilitato da politiche involutive e politici incapaci di imporsi sulle regole del mercato e della finanza neoliberista.

Una classe politica sempre più ‘avvantaggiata’ ma incapace di fare gli interessi del popolo, come profetizzato da Locke e Rawls, è diventata poco credibile e perfino indigesta a grandi fette di popolazione.
Non solo. A causa di campagne politiche sempre più centrate sull’attacco e lo svilimento dell’avversario, piuttosto che sulla proposta di politiche alternative, molti cittadini del mondo occidentale hanno cominciato a rifiutare non solo le istituzioni, Governi Nazionali e poi l’Unione Europea, ma anche i principi fondamentali e fondanti della nostra società, come quello della necessità di vivere in un regime democratico basato sull’attività politica.

Il risultato è che oggi viviamo in una società che non cerca più di proporre alternative migliori ma di distruggere ciò che c’è di sbagliato, perché alternative valide e credibili non vengono proposte da nessuno. In fondo, la politica non è (più) capace e responsabile di portare cambiamento nella società. E’ l’economia a governare il mondo. Peccato che l’economia si occupi di far quadrare i conti e non di creare benessere per la collettività.

In questo contesto, il mio parere riguardo le conclusioni del primo convegno di MacroGeo è presto espresso:  è fondamentalmente sbagliato affrontare il tema della disgregazione dell’Unione Europea in termini di ‘costo’.

In una situazione in cui nessuno pensa di avere più nulla da perdere, ed in cui le istituzioni sono percepite come le uniche realtà che hanno “mangiato” in questi anni, non solo la popolazione è disposta a rischiare qualunque cosa pur di vedere un cambiamento (vedi Brexit) ma anzi si augura di vedere le istituzioni “traditrici” pagare per le promesse disattese.

La realtà, però, è ben più complessa ed in una società globale in cui i modelli comunisto-schiavistico-ultracapitalisti (Cina), neoliberisti (U.S.A.), fondamentalisti (Medio Oriente - pilotato) e autoritari (Russia) hanno la meglio, l’unica speranza per rilanciare un modello social liberale in cui l’uomo e la società siano davvero al centro del mondo, della politica e dell’economia, è quello di costituire ed investire in un blocco politico solido, gli Stati Uniti d’Europa, capace di provare al mondo che un modello politico, sociale ed economico alternativo, lo stato di diritto e lo stato sociale, non solo sono possibili ma indispensabili.

Il fallimento dell’unione delle tradizioni politiche degli stati europei in un’unica entità politica significherebbe la rinuncia a stato di diritto e stato sociale; significherebbe lasciare il campo ai modelli economici neoliberisti, tutelati dai vari modelli politico-sociali cinesi, americani e russi. La scomparsa dell’Europa dalle potenze mondiali significherebbe la fine di quel modello politico, sociale ed economico che la contraddistingue e che la ha contraddistinta dal dopoguerra a oggi a livello di singole nazioni. La disgregazione dell’UE non equivarrebbe ad una ripresa di quel corso politico-economico tipico degli stati nazione continentali del dopoguerra ma vorebbe dire isolamento, debolezza e incapacità di competere globalmente con le grandi potenze sia sul piano politico-sociale che su quello economico (Cuba? Dice niente?).
Se oggi l’Unione Europea non rappresenta più quel modello socio-politico ed economico che appartiene alla tradizione degli stati europei domandatevi chi ne trae vantaggio e, soprattutto, domandatevi se piuttosto che rinunciare ai nostri valori e all’Europa unita non dovremmo invece combattere per riprenderci l‘Europa.

Oggi, la politica ha di fronte almeno quattro possibili scelte ed evoluzioni riguardo l’UE:

1- Dare retta alla volontà popolare e distruggere ciò che si è faticosamente costruito (domandiamoci chi beneficerebbe di questo. Sono i molti o i pochi? Vedi brexit e la svendida dell’NHS –sanità pubblica- a  gruppi privati, forse persino Americani).

2- Ignorare la volontà popolare, in spirito pienamente oligarchico, andando verso un piano di integrazione politica e di involuzione antidemocratica in senso tecnocratico ed ultrafinanziario (domandiamoci chi beneficerebbe di questo. Sono i molti o i pochi?)
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3- Ignorare la volontà popolare, in spirito pienamente oligarchico, andando verso una integrazione politica che serva da base alla costruzione di una società social liberale e democratica
(esiste oggi una classe politica volenterosa e capace di portare avanti questo progetto? E anche se esistesse, possono delle istituzioni sinceramente democratiche e social liberali nascere da una imposizione di pochi?)
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4- Riuscire a spiegare al più grande numero di persone che, in una società globale in cui il modello ultrafinanziario ed ultraconservatore sta per vincere e si realizza tramite organizzazioni sociali brutali come quelle cinesi, americane e russe, l’unica speranza sono gli Stati Uniti d’Europa,  e la proposta di un modello sociale, politico ed economico alternativo a quello vigente e più in linea con le tradizioni nazionali degli stati europei del dopoguerra.

Ovviamente, se ad una Unione Europea si aggiungesse anche il Commonwealth avremmo due lance invece di una (unico outcome positivo di Brexit); ma sembra che il Regno Unito guardi più agli Stati Uniti e sia più interessato ad una involuzione economico-sociale che ad uno sviluppo in senso progressista.

Per far ripartire il Sogno Europeo, quello dell’Europa dei Popoli e non delle tecnocrazie, bisogna dare voce proprio ai popoli che gli USE dovrebbero rappresentare, ed oggi ci sono tre grandi tematiche che anno bisogno di una risposta politica e che l’Europa dovrebbe fare proprie:

1- Il mantenimento dello stato di diritto e dello stato sociale, ridando spinta alla crescita.

2- Il degrado ambientale, che esiste a prescindere dai negazionisti del surriscaldamento globale.

3- Le conseguenze delle nuove tecnologie sul mondo del lavoro, come dice lo stesso Roubini.

Per poter mai esistere e fondarsi su una spinta democratica, gli USE dovranno dare risposta a questi problemi e dimostrare che all’apice della nostra civiltà non solo è possibile mantenere democrazia e benessere ma che è anche possibile usare le nuove tecnologie per salvare il pianeta dal disastro ambientale (vedi Tesla Gigafactories) e restituire vita e tempo alle persone grazie all’automazione dei lavori fisici- l’automazione non deve significare distese di disoccupati ma ridistribuzione del carico di lavoro e restituzione della vita alle persone. Facendo cosi, problemi come quello dell’istruzione, del senso civico e del senso comune non saranno più problemi.

Parliamo di questo quando parliamo di Europa, parliamo dell’Enorme opportunità che l’Europa rappresenta per la diffusione di democrazia, benessere e diritti. Non parliamo del costo di una sua eventuale disgregazione; costo che, in confronto al costo della vita delle famiglie europee ed al costo del disastro ambientale che incombe, è un costo minimo.

Un’ultima parola la vorrei dire su MacroGeo che lancia una iniziativa sulle prospettive dell'Europa post-Brexit e post-Trump e che giunge a conclusioni basate sulla paura; conclusioni che hanno appena fallito di convincere in America e Gran Bretagna. 
Vorrei infatti fare un umile invito a pensare: è vero che l’UE è al confine con ‘Caosland’ ma chi ha creato Caosland? L’Europa a cerchi concentrici va bene, ma sarà un’Europa finanziaria e tecnocratica o l’Europa dei Popoli?

Personalmente, ho poca fiducia nel presidente di MacroGeo De Benedetti e nell’ospite Mario Monti.

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