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In gran parte degli stati liberal-democratici occidentali la sfiducia nella politica non è mai stata così alta. Mentre alcuni movimenti dell’antipolitica raccolgono consensi, c’è chi, come me, è convinto che si debba ridare lustro alla politica, facendole riconquistare la fiducia dei cittadini ed un ruolo centrale nella società moderna.

Restituire alla politica credibilità ed un ruolo centrale nella società non è importante solo in quanto questa è lo strumento principale della collettività per avere un impatto sulla vita dei cittadini e per regolare i rapporti di forza tra le parti sociali, evitando quindi la legge del più forte,  ma anche perché la democrazia, che oggi riteniamo una conquista sociale scontata,  scontata non lo è affatto.

Gioele Magaldi definisce spesso la democrazia come un’anomalia storica ed il rischio di una involuzione verso forme di post-democrazia è estremamente reale ed attuale; la storia è infatti piena di esempi di modelli di organizzazione sociale che si credevano stabili ed immutabili e che poi sono crollati nel giro di una notte. Ultimo esempio tra questi è quello dell’Unione Sovietica e del socialismo, e la stessa cosa potrebbe succedere alle democrazie liberali.

Oggi, tramite populismi dilaganti, vediamo che la società che ha inventato il capitalismo e ne ha beneficiato più di tutte le altre sta votando contro il modello politico-economico liberista nato in seno al capitalismo e, così facendo ed in un paradosso di eterogeneità dei fini, molti populismi anti-sistema stanno proprio favorendo chi è interessato ad una involuzione antidemocratica (o post-democratica) della società in cui le istituzioni pubbliche sono delegittimate ed hanno secondaria importanza rispetto agli interessi finanziari.

Yascha Monk, professore di ‘Government’ alla Harvard University (nato in Germania da  famiglia ebraica ed educato a Cambridge, BA History,  e Harvard, PhD in Government) è una delle giovani ed autorevoli voci che sta denunciando l’involuzione del sistema democratico di cui abbiamo goduto dal dopoguerra ad oggi.

Yascha Monk ha passato diversi anni cercando di confutare una delle credenze più radicate nella politica occidentale, ovvero che una volta che nazione diventa una democrazia liberale questa rimarrà tale (teoria della ‘democratic consolidation’).

Le sue ricerche mostrano che la democrazia sta perdendo importanza agli occhi della collettività e che oggi sempre meno persone considerano essenziale il vivere in uno stato democratico.

A cosa si deve questa involuzione nella percezione del valore della democrazia nella mente dei cittadini? Per rispondere a questa domanda, aldilà dell’analisi delle dinamiche di potere, bisogna analizzare il vissuto dei cittadini della società europea negli ultimi anni.

A tale scopo, mi permetto una piccola digressione.

Fino al 1600, la politica, arcana impèrii, era prerogativa dell’aristocrazia.
Con una nascente borghesia e la diffusione del pensiero empirista, John Locke cominciò a descrivere la proprietà come un qualcosa che sarebbe dovuto derivare dal lavoro e non più tramandata tramite ereditarietà. In quest’ottica, in una società che avrebbe superato, almeno parzialmente, l’aristocrazia (ancient regime) ed in cui il potere sarebbe andato ad un Governo, c’era bisogno di un contratto sociale tra governanti e popolo; un contratto tramite il quale il Governo avrebbe giustificato il proprio ‘avere’  sulla base del proprio lavoro e dell’attività svolta. Secondo questo patto, il popolo dava al governo il potere (che Montesquieu avrebbe poi separato in legislativo, esecutivo e giudiziario) ed il Governo si impegnava a lavorare nell’interesse del popolo.

Il pensiero di Locke fu poi in qualche modo sviluppato da John Rawls il quale sostenne che le ricchezze delle persone possono essere diverse nella misura in cui le differenze di ricchezza possono essere giustificate agli occhi del popolo in virtù di talenti, capacità e attività.

Perché questa digressione?

Perché al mondo d’oggi, e qui parliamo del vissuto di grande parte della popolazione occidentale odierna, sembra che tutto questo sia venuto a mancare. La percezione diffusa è che la politica sia nuovamente un arcana impèrii, riservato a privilegiati, e che i politici non stiano più, come descritto dal contratto sociale, lavorando per la collettività, ma stiano facendo interessi terzi- quelli del mondo finanziario e di alcune potentissime lobbies (Locke).

Sicuramente, in un momento in cui la politica, in virtù delle "universalmente valide ed immutabili leggi economiche", chiede alla popolazione di stringere la cinghia, la popolazione non giustifica più gli averi ed i benefici della classe politica (Rawls).

Se ieri la disaffezione portava ad allontanarsi dalla politica e dalla cosa pubblica, favorendo dinamiche involutive dal punto di vista delle garanzie economico-sociali, oggi il dissenso monta dal confronto tra ‘ciò che doveva essere’ e ‘ciò che è’.

In questo contesto si ha una reazione di rabbia sociale, tendenzialmente caratterizzata da poca lungimiranza, che non attacca solo i politici ma la politica e le idee stesse. E’ cosi che oggi vengono criticate le istituzioni, i governi, la politica, l’unione europea, lo stato liberale ed infine la democrazia stessa. E’ cosi che nasce, cresce e si rafforza un populismo che poggia su problemi reali ma che, puntando quasi con cecità a risolvere problemi nel brevissimo termine, rischia di distruggere anche quello stato politico, democratico, rappresentativo e liberale che è la principale tutela dei diritti e del benessere dei cittadini.

Lo sforzo che si richiede per combattere le emergenti emergenze sociali con credibilità ed efficacia, e senza cadere in populismi poco efficaci, se non controproducenti, è  molto grande.

C’è bisogno di riunire il dissenso cresciuto attorno alle nuove diseguaglianze e spiegare che la lotta per la democrazia sostanziale e per il benessere della popolazone ha bisogno di strategie di breve ma soprattutto di medio e lungo termine. Bisogna cominciare a pensare che il campo di battaglia non può essere quello nazionale, perché la battaglia è globale. Bisogna restituire dignità alla politica, coniugando nuovamente moralità ed istituzioni. Bisogna spiegare che responsabilità sociale e libertà individuali non sono inconiugabili, ma vanno di pari passo. Bisogna spiegare che benessere, progresso e tutela dell’ambiente non sono in antitesi, ma hanno bisogna l’una dell’altra. Bisogna spiegare che le regole economiche non sono leggi naturali universali, ma possono cambiare; e che le nuove regole ed i nuovi indicatori economici dovranno tener conto e far avvicinare la ricchezza assoluta con il benessere dei cittadini. Bisogna infine, e questo è fondamentale, dare primato alla politica sull’economia e spiegare che la politica è l’arma principale per combattere l’involuzione antidemocratica ed antisociale di cui la società occidentale è oggetto. E se avete dei dubbi su questa involuzione pensate solamente alla vostra condizione economica corrente e domandatevi: E’ possibile che all’apice della nostra civiltà, ed in assenza di scarsità, si debba vivere una involuzione economica così diffusa?

Insomma, dopo un periodo di grandiose conquiste sociali e liberali che ha visto la società occidentale evolvere dal 18° al 20° secolo, è tempo di prendere atto dei problemi che sono emersi e di un modello economico politico che predilige performances economiche numeriche al benessere sostanziale della collettività. E' tornato il momenti di lottare con strumenti politici, e senza populismi ma con grande decisione, per la creazione di un mondo libero ed equo in cui l'Uomo è al centro dell'azione politica.

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