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I dati sulla disoccupazione che ci forniscono i “media che contano” ci dicono principalmente che la disoccupazione si aggira più o meno attorno all’11%: circa 3 milioni/3 milioni e mezzo di persone disoccupate... “magari”!

Per onestà bisogna anche affermare che non tutti all’interno dei “media che contano” ci dicono che abbiamo solo circa tre milioni di disoccupati: a quella cifra aggiungono una percentuale di poco maggiore a quella del più o meno 11% . Quindi, sommando gli inoccupati ai disoccupati, fa circa 7/8 milioni di persone.

A proposito di disoccupazione, “Democrazia” ed altro, Gaber affermava: «Sappiamo che l’Italia va benissimo, ma che va anche malissimo. Sappiamo che l’inflazione è al tre, al quattro, al sei ma anche al dieci%, pensa che abbondanza! Sappiamo che i disoccupati sono il 12%, - non si sa bene di cosa - e che possono aumentare o diminuire a piacere, a seconda di chi lo dice.»

Prendiamo in esame i dati del 2015 (l’anno che “grazie” al Jobs Act ci è stato venduto come una sorta di “anno dei miracoli”).

Intanto mi preme pubblicare un passaggio di un intervista che Piergiovanni Alleva ha rilasciato per “Fuoripagina” dal titolo “Ecco perché il colossale e costoso flop del Jobs Act” (Il professor Piergiovanni Alleva è uno dei più importanti giuslavoristi italiani ed ha insegnato diritto del lavoro nelle Università di Bologna e Ancona) e che serve appunto a capire meglio questa parola inglese che tantissimi neppure cosa significa. Jobs Act, per l’appunto...

Afferma Alleva: «Il Jobs Act? E’ la peggior legge varata nel dopoguerra, tale da provocare un salto indietro di cinquant’anni. Consiste in una sistematica distruzione dei diritti che assicuravano dignità ai lavoratori italiani. Con la pratica abolizione dell’articolo 18 dello Statuto, i lavoratori sono ormai privi di difesa contro ogni tipo di sopraffazione. Si tratta di un’operazione reazionaria molto articolata. Un attacco scientifico della finanza speculativa. Per ottenere quale risultato? E’ evidente: l’abbassamento del costo del lavoro e la spoliazione dei diritti finalizzati all’umiliazione dei lavoratori. Meno diritti, e anche meno lavoro – e di minor qualità. Il risultato è un fallimento. Il governo Renzi ha pensato di ricorrere a un costosissimo trucco che gli avrebbe consentito poi di propagandare dei risultati: dotare i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato, privi però della garanzia dell’articolo 18, di un incentivo economico davvero poderoso, drogando in questo modo le assunzioni nel periodo subito successivo al Jobs Act, nell’anno 2015. Contratti instabili, senza tutele, che possono essere sciolti con un avviso e un risarcimento. Da qui i licenziamenti cresciuti. Operazione direi criminale, per avere un risultato drogato e limitato nel tempo, con contratti privi di articolo 18.Operazione costosissima: 8.000 euro l’anno per tre anni vuol dire 24.000 euro di decontribuzione a contratto. Si chiama furto di denaro pubblico. Solo che, prima, gli ispettorati Inps vigilavano e controllavano. Ora hanno smesso di farlo. Praticamente abbiamo regalato 10 miliardi agli evasori. Ecco perché sono cresciuti i contratti senza articolo 18. L’unica condizione era che il lavoratore da assumere non avesse già avuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato negli ultimi sei mesi precedenti, perché altrimenti tutti sarebbero ricorsi a licenziamenti, immediatamente seguiti dalle assunzioni con l’incentivo. La decontribuzione veniva invece concessa se il lavoratore avesse prima lavorato con contratto precario, perché queste trasformazioni sarebbero state utilizzate dalla propaganda e diventate il fiore all’occhiello del governo Renzi come grande protagonista della lotta al precariato. E i contratti infatti ora diminuiscono.»

Veniamo ai dati sul 2015 (considerando che il 2016 è in corso e che i dati di quest’anno li avremo nel 2017).

Come ci spiega Giuseppe Spezzaferro di Internettuale.net (http://www.internettuale.net): «Le statistiche misurano il “mercato” del lavoro mediante percentuali relative agli occupati, ai disoccupati e agli inattivi. Per capire bene come vanno le cose, perciò, bisogna guardare i tre dati insieme. Per il 2015 (i dati di dicembre sono stati diffusi adesso dall’Istat): la disoccupazione ha registrato un calo dell’8,1%: in numeri significa che, in cerca di lavoro, ci sono state 254 mila persone in meno.

L’occupazione, invece, è cresciuta dello 0,5%: cioè agli occupati si sono aggiunte altre 109 mila persone.

Anche l’inattività è calata: dello 0,1% in meno e cioè 15 persone inattive in meno.

In totale, nel 2015 in Italia sono risultate occupate 22 milioni e mezzo di persone (esattamente: 22.470.000), disoccupate quasi 3 milioni (2.898.000) e inattive (persone dai 15 ai 64 anni) 14.086.000”».

Insomma, la cifra esatta tra inoccupati e disoccupati, in Italia, nel 2015, è stata di 16.984.000 persone (circa 17 milioni di inoccupati e disoccupati su un potenziale di circa 39 milioni di persone che rientrano nella categoria “attivi per il lavoro” - precisamente 39.454.000 persone).

In percentuale il numero dei disoccupati sommato a quello degli inoccupati fa precisamente 43,05%...

L’Istat fa i suoi calcoli in questo modo. Considera occupati le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:

a) hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura;

b) hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;

c) sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi.

Considera disoccupati le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che :

a) hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive;

b) oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.

Considera inattivi (persone dai 15 ai 64 anni) coloro che «non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o in cerca di occupazione.»

Aggiungo che a questo esercito, sempre per onestà, bisognerebbe sommare tutte le persone che “lavorano per finta”. In sostanza parlo di tutte quelle persone che lavorano qualche giornata in nero dove capita, come capita e quando capita retribuita mediamente 25/30 Euro (ci sono anche molte persone che non riescono a “mettere in piedi” neppure una giornata di lavoro all’anno...), che hanno paura del fatto che senza contributi non riceveranno la pensione e che pagano gli autonomi o i sindacalisti - che a loro volta “pagano” gli autonomi - in modo che possano versargli i contributi e successivamente cercano più o meno di pareggiare i conti attraverso l’indennità di disoccupazione.

Poi ci sarebbe anche il folto esercito dei sottoccupati, sfruttati, maltrattati e sottopagati... ma lasciamogli nella categoria dei “felicemente occupati”!

Cosa viene fuori da tutto questo? Semplicemente la cosiddetta “Unione Europea” voluta. Ossia quella che l’economista Alain Parguez ha spiegato più volte. Per esempio quando ha affermato di aver avuto una discussione sull'Euro e sull'Europa con il Direttore Generale del Ministero delle Finanze francese - che appartiene all’ordine monastico dei Benedettini ed è anche il capo dell’Opus Dei francese - ed Egli, a proposito di queste tematiche, più strettamente riferite alla situazione francese, disse: «Sì, l’economia francese è morta, ma non abbastanza. Professore, lei deve capire perché esiste il sistema europeo. Che cosa vogliamo? Vogliamo distruggere, per sempre, la gente. Vogliamo creare una nuova tipologia di Europa: una nuova popolazione europea disponibile ad accettare la sofferenza, la povertà. Una popolazione disposta ad accettare salari inferiori a quelli cinesi. E questo rappresenterà il fulcro del mio impegno…»; quell'Europa che Craxi, nel 1997, in esilio ad Hammamet, definiva «Europa che nella migliore delle ipotesi sarebbe sarà un limbo e nella peggiore sarà un inferno.»

Vincenzo Bellisario

 (Articolo del 6 Dicembre 2016)

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