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Inneggiamo alla libertà.

 La invochiamo, pretendiamo, esaltiamo, ci crediamo liberi e dichiariamo di esserlo. Liberi di pensare, respirare, osare, liberi di riunirci e dissociarci, liberi di muoverci e restare, di cambiare, osservare, giudicare, pregiudicare, liberi di amare e di amare chi vogliamo, quanto, dove, nel modo che preferiamo. Liberi di creare e di distruggere, liberi di evolvere e ricominciare. Liberi di essere.

E non leggiamo. Non una riga, non tra le righe, non le istruzioni per la nostra agognata liberazione. Non chi ci svela i giochi del potere. Per risvegliarci. Sasso perde carta vince. E noi la gettiamo al fuoco. Per tornare a quel che facevamo, scagliare pietre e farci bombardare. Senza soluzione.

Aborriamo ed esecriamo dispotismo e dittatura.

 Li combattiamo, critichiamo, condanniamo, ci indigniamo al loro cospetto e con sdegno raccogliamo dagli schermi interconnessi effetti e segni del loro continuare a esistere nel mondo. Ricordiamo gli olocausti attraverso post e foto e commenti e grandi frasi, postiamo immagini e disegni del loro strazio, mettiamo like e cuori e lacrime e furore, lottatori chiusi nell’arena web-mediatica con in pugno una tastiera e un solo dito a sparare sopra il mondo il nostro click.

E non leggiamo. Non la genesi, non l’evoluzione, non l’uso del pensiero a sé piegato. Non la storia che si ripete sempre uguale. Non leggiamo il messaggio che sta oltre, il potere che (ci) piega all’ignoranza. E che così divide. Per imperare.

Condanniamo razzismo, sessismo, classismo.

 Biasimiamo lo xenofobo e l’omofobo, piangiamo lacrime virtuali per barconi affondati e bambini annegati, stigmatizziamo i carnefici, compatiamo le vittime, acclamiamo il Gandhi e la Madre Teresa di turno, ci accordiamo alle immagini che ci rimanda lo schermo interconnesso, il verbo dissacrato filtrato e scelto, e in assonanza con esso tariamo emozioni sensazioni e sentimenti, calibriamo la nostra vita intera. Senza comprenderla, senza davvero viverla.

E non leggiamo. Non entriamo nel diverso, non cambiamo prospettiva, non ispezioniamo quanto più pensiero altrui, non abbassiamo bandiere né muri divisori. Non andiamo a fondo, non dubitiamo mai dell’unicità dogmatica per entrare nel profondo.

Citiamo i grandi classici.

 Infiliamo come fiori negli occhielli virtuali le migliori frasi dei migliori autori, corteggiamo con parole altrui estratte a caso da testi ed opere e libri che neanche apriamo, indossiamo facce e gesta e ciondoli di corno di santi dannati maestri martiri ed eroi perché il solo portarli addosso siamo certi ci renda uno di loro. Senza mai (dover) agire.

E non leggiamo. Non quei classici, non i migliori autori, non i testi non le opere che nell’interezza neanche sfogliamo, non il pensiero, non la vita, non gli scritti di quei santi e dannati e maestri e martiri ed eroi che portiamo addosso senza alcuna consapevolezza, senza scienza né coscienza. Con qualunquistica fierezza.

Eppure.

Che leggere rende liberi proprio quei classici che citiamo e non conosciamo ce lo ricordano fino allo sfinimento. Liberi di pensare, liberi di scegliere, liberi di essere. Liberi di non ridurci a un mero sopravvivere.

Che censurare la lettura ed ogni pensiero non allineato è il primo e principale strumento di controllo e repressione dittatoriale proprio quei grandi autori che virgolettiamo e non scopriamo ce lo urlano attraverso i loro scritti, tutti interi senza lo sfregio della bieca frammentazione. Se solo li leggessimo. Il loro monito il sacrificio l’avvertimento, se solo cominciassimo ad afferrare il testimone.

Che leggere apre la mente, blocca l’ego etero-forgiato e tutte le sue incatenanti ragioni,  libera l’istinto con quella sua saggezza primordiale che tutti abbiamo innata e porta ognuno incontro, e non più contro, a tutti, oltre i confini, giù le barriere, sono proprio quei testi e quelle opere e quei libri dai quali estraiamo a caso e senza senso parole di solidarietà e unione ad infiltrarcelo dentro il cuore se quel cuore lo immergiamo nella piena dei loro scritti. Senza lasciarlo sulla riva a sciacquarsi solo un paio di ventricoli.

Che leggere sia tra i più potenti atti eversivi, tra i più rivoluzionari, ce lo vomitano addosso proprio quei santi e dannati e maestri e martiri ed eroi che indossiamo ma non permeiamo, non possediamo. Non nell’essenza, non nell’interezza.

Gli strumenti li abbiamo tutti, abbiamo l’istinto di crescere e (ri)conoscere per diventare l’immensità che siamo rispetto a questo piccolo nostro ego infilatoci dentro l’anima. A disperderci separandoci. Per comprimerci.

Riprendiamo i grandi insegnamenti tutte le guide i disvelamenti le istruzioni, facciamolo, leggiamo.

Senza accettare censure e artificiosi veti (im)posti  a protezione. Dell’altrui potere.

Ripartiamo da noi. E liberiamoci.

(Alessandra Tucci - 4 dicembre 2020)

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