Li hanno tatuati. Un numero. Progressivo. Sul braccio, completamente nero, conficcato nella carne.
Li hanno marchiati del più assurdo dei non sensi.
Ci facciamo tatuare.
Un antidoto, il microchip, un qualche dispositivo di asserita protezione. Qualsiasi applicazione possa sradicarci dalla carne la paura. Quella atavica, la più feroce, la paura di morire.
Ci facciamo marchiare l’esistere al prezzo più salato, il nostro sacro essere.
Li hanno spogliati della propria identità. E rivestiti. Di impersonale, divise tutte uguali.
Li hanno svuotati e omologati gli uni agli altri.
Dismettiamo la nostra peculiarità. E ci rivestiamo. Con pezze di stoffa e gomma a ricoprire i tratti e il tatto, i sensori dell'essere umani.
Ci conformiamo al nulla, completamente vuoti.
Li hanno strappati alla realtà e pressati nell’automatismo di lavori meccanici, sfiancanti, estranianti.
Li hanno alienati.
Ci scolliamo dal reale e infiliamo nel più asettico e meccanico virtuale, fiaccati in ogni impulso all’effettivo, allo scoprire.
Ci estraniamo, alienati.
Li hanno isolati e separati, messi gli uni contro gli altri per un tozzo di pane, uno scampolo di vita, una trave da arrivare primi a sollevare. Per sopravvivere.
Li hanno divisi per poter imperare.
Ci chiudiamo dentro il nostro tracciato di distanza, nel distacco. E chiudiamo fuori l’altro, fratello e diverso, ci scontriamo nel giudizio soccombendo e inneggiando, ci mettiamo contro e lì restiamo. A prescindere. Contro e basta, senza scopo e senza causa. Senza un senso.
Ci dividiamo consentendo a chiunque di dominare.
Li hanno strappati alla vita incatenandoli a un automatico sopravvivere.
Dismettiamo la vita e indossiamo l’esistere su una ruota spinta da altri, un giro sempre uguale.
Cos’è cambiato? In cosa siamo progrediti, evoluti, siamo migliorati?
Ottanta anni fa loro non hanno scelto.
Oggi noi scegliamo. Ogni giorno.
(Alessandra Tucci - 11 giugno 2020)