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La crisi petrolifera del 1973 segnò l’inizio della fine: l’abbandono delle politiche economiche keynesiane e l’adozione del modello economico e sociale neoliberista, nel quale non è la politica a tutelare il benessere della collettività ma sono i mercati a determinare quello che la politica può e non può fare.

Oggi, il Covid-19 mette in crisi quel sistema economico. La crisi economica scatenata dal virus ci ricorda che la politica può dare forma all’economia, nell’interesse del singolo e della collettività. Si sta già facendo parzialmente in USA, UK, Giappone, etc. tramite la monetizzazione del debito.

Purtroppo però, l’Europa dell’austerity, in un mutevole scenario globale, sembra continuare a dare cieco ascolto ai dogmi del neoliberismo: la moneta è una risorsa scarsa, la spesa pubblica si finanzia con le tasse, il debito lo si fa nei confronti dei mercati, etc...

 

Eppure, sembra che la dura realtà, la Storia, stia per trascinare via con forza proprio coloro che continuano a tutelare una visione macroeconomica che favorisce i mercati e va a discapito delle persone. 

La crisi petrolifera nel 1973 segnò il cambio di epoca economica. Oggi, la crisi petrolifera potrebbe causare nuovamente un terremoto di magnitudo tale da portare una cambiamento di simile grandezza e senso opposto a quello del 1973.

Si badi bene. Il cambiamento dipende tutto dall’agire della politica. L’ opportunità di cambiare paradigma economico verrebbe sprecata se si tornasse all’interno dei singoli Stati nazionali. Relegando l’azione politica all’interno dei confini nazionali, da una parte si rischierebbe di tornare alle tensioni economiche, tra Stati, che hanno causato la prima e la seconda guerra mondiale. Dall’altra, ci sarebbe il rischio di lasciare l’economia globale ai “soliti noti”, relegando gli Stati e la politica al ruolo subordinato di amministratori di ciò che viene deciso altrove, su scala sovranazionale, dai cosiddetti “mercati” (i.e. quale statarello potrebbe domani impedire una svolta autoritaria dei mercati o di una singola nazione con footprint globale, come la Cina? È proprio il Covid-19 a ricordarci quanto siamo irrimediabilmente connessi).

Dobbiamo ricordarci quindi sia dell’insegnamento della Seconda Guerra Mondiale - che ci ha portato agli accordi di Bretton Woods - ovvero che il nazionalismo economico porta alla guerra; sia dell’insegnamento di questi ultimi 40-50 anni di neoliberismo, ovvero che in assenza di un intervento pubblico continuo il benessere viene polarizzato a discapito persino della democrazia sostanziale, che può essere sostituita da finti dogmi di carattere economicistico.

La soluzione non è tornare agli Stati nazionali ma organizzare un nuovo accordo globale che ridefinisca il modello economico e il ruolo delle istituzioni democratiche nel regolare l’economia e tutelare l’interesse della collettività.
Il modello non può che essere quello del socialismo liberale. Ovvero, un modello democratico e socioeconomico nel quale la libera impresa viene tutelata e sostenuta da iniziative pubbliche volte a migliorare le condizioni di vita materiale delle persone, e quindi la loro capacità di spesa.

In questo modo si riuscirebbe finalmente a coniugare libertà e giustizia sociale, superando la finta dicotomia autoreferenziale tra l’attuale sedicente destra e l’attuale sedicente sinistra.

Marco Moiso
Vicepresidente del Movimento Roosevelt
Supervisore per il Regno Unito

Potere trovare il video dell'intervento: https://www.youtube.com/watch?v=zCcT-Vh89H0

Queste le notizie commentate nell'intervento: Il petrolio crolla a New York e chiude in calo a -37,63 dollari al barile. Tonfo di Wall Street

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