L’8 agosto, la Corte di Cassazione, ha dato il via libera al referendum costituzionale sulla riforma Boschi, liquidando la decisione con le seguenti parole: «l'Ufficio Centrale per il Referendum ha dichiarato conforme all'Art. 138 Cost. e alla Legge n. 352 del 1970 la richiesta di referendum depositata il 14 luglio 2016 alle ore 18.45 sul testo di legge costituzionale avente ad oggetto il seguente quesito referendario: approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.»
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, subito dopo il verdetto della Corte di Cassazione, attraverso i social, ha affermato: «Adesso possiamo dirlo, questo è il referendum degli italiani»; ancora: «Il referendum non è la sfida di Matteo Renzi, ma di milioni di persone che vogliono ridurre gli sprechi della politica, rendere più semplici le istituzioni, evitare enti inutili e mantenere tutte le garanzie di pesi e contrappesi già presenti nella nostra Costituzione.»
Il Governo ha sessanta giorni per scegliere la data del referendum che, presumibilmente, avverrà tra metà/fine novembre (il 13, il 20 o il 27 novembre... anche se c'è chi fa intendere che per questione di “convenienza politica” potrebbe addirittura slittare a dicembre).
Ecco di seguito alcune dichiarazioni planetarie indirettamente anticipate nel titolo.
El Paìs: «l'Italia è la nuova malata d'Europa che potrebbe trascinare il Continente in una ricaduta nella crisi». Uomini della finanza e dell'industria globale: «Il Governo Renzi deve ottenere da Bruxelles un margine di tolleranza più ampio, per lanciare una robusta manovra di bilancio a favore della crescita». Wall Street Journal: «È questo scenario che rende il referendum vitale, probabilmente più importante di Brexit»; ancora: «i mercati sono concentrati sulla posta in gioco politica del referendum». Financial Times: «Renzi deve lanciare un'offensiva per lo stimolo, deve ottenere libertà di manovra dall'Unione Europea». In un articolo apparso sul “The Times” dal titolo “Renzi si salva la pelle con un accordo sulla Brexit”, si legge che lo stesso Renzi «ha optato per una linea più cauta, concordando in particolare con la neo-premier Theresa May sulla possibilità di un’uscita dall’Ue più lenta, anche per evitare una sovrapposizione con le elezioni tedesche dell'anno prossimo. Accettando di sostenere la leader tedesca, Renzi spera che la Merkel l'aiuterà a sbloccare i fondi che potrebbero salvare la sua carriera politica. A Renzi servirà il superamento dei livelli di deficit concordati con Bruxelles per realizzare una serie di tagli fiscali promessi e aumenti retributivi, nel momento in cui i dati mostrano che l'economia italiana è di nuovo sull'orlo di una recessione». Secondo il Times «Renzi spera che rilanciare la spesa possa contribuire a conquistare il favore dell'elettorato prima del referendum di novembre con cui ha messo in gioco il suo futuro politico». Inoltre, molti osservatori ricordano che «Bruxelles ha dimostrato tolleranza verso Francia, Spagna e Portogallo sul NON rispetto dei vincoli di bilancio» (tradotto letteralmente significa quanto segue: dopo la “Brexit” i “Poteri” hanno PAURA ed oggi hanno PAURA di “perdere Renzi” - sarebbe più corretto dire che hanno PAURA di perdere Pier Carlo Padoan. Uno che, esattamente come Mario Monti, sa benissimo quello che “deve essere fatto”, in quanto “ce lo chiede l’Europa”).
Infine - si far per dire infine, potrei continuare almeno per un mese...-, il Financial Times ricorda a Renzi che «in fatto di austerity, le regole non sono più applicate con la severità di un tempo». Insomma, cosa sta accadendo? Perché il Mondo intero ha PAURA di “perdere” Renzi (sarebbe corretto dire PAURA di “perdere” Pier Carlo Padoan?). Perché, come giustamente afferma l’economista Nino Galloni, la finanza mondiale che ci aveva fatto intendere che Renzi “non era gradito” (e magari qualcuno della categoria “ingenui” ci ha creduto per davvero...) ed oggi vuole che vinca il “Sì” alla riforma costituzionale. Quindi, più che giustamente, il “GIGANTE” Nino Galloni, nel suo articolo intitolato “Il falso attacco a Renzi dei quotidiani internazionali”, scrive: «ma non avevamo detto che attaccavano Renzi? Allora avrebbero dovuto dire: speriamo nel NO così Renzi (il cattivo che non vuole il bail-in) va a casa e finalmente faremo un altro governo anti-italiano? Mancano forse vecchi e nuovi notabili allo scopo?»
Prima di rispondere alla domanda che ho inserito come titolo del pezzo, mi sembra giusto spiegare in breve e in pochi punti cosa prevede la riforma costituzionale (riforma che, nella sostanza, riscriverebbe ben 47 articoli della Costituzione in un sol voto).
Fine del bicameralismo perfetto. La riforma Boschi vuole riformare la Costituzione e i punti che rallentano l’approvazione delle leggi.
Il bicameralismo perfetto ha caratterizzato lo Stato italiano dopo il fascismo. Secondo il Governo, però, è “cambiato il tempo”, quindi ora si può fare (un modo per affermare che con loro al Governo non esiste il pericolo “fascismo”, con gli altri SI... loro sono “democratici”!).
Attualmente tutte le leggi - costituzionali ed ordinarie - devono essere approvate da entrambe le Camere. Stessa cosa per il voto di fiducia.
La fine del bicameralismo perfetto prevede l’abolizione del Senato che, nella sostanza, diverrebbe un organo rappresentativo delle Regioni.
L’eventuale “nuovo” Senato delle Regioni prevede 100 senatori (non eletti dai cittadini), che resterebbero in carica per il mandato degli amministratori locali: 95 saranno “nominati” dai Consigli Regionali e 5 dal Capo dello Stato.
Il “nuovo” Senato delle Regioni non voterà le leggi, ma potrà esprimere il proprio parere su progetti di legge approvati “consigliando” modifiche entro 30 giorni dall’approvazione della Camera. Le approvazioni potranno essere respinte dalla Camera, quindi il testo di legge non venire modificato.
Elezione del Presidente della Repubblica. Se passa la riforma viene modificata la “platea” degli elettori ed il quorum. Voteranno in 730 tra Deputati e Senatori e per l’elezione del Presidente della Repubblica saranno necessari i 2/3 dei componenti per i primi 3 scrutini. Dal 4° al 7° basteranno i 3/5 dei componenti e dal 7° il quorum scenderà ulteriormente a 3/5 dei votanti. Dal 9° basterà la maggioranza assoluta.
Il Titolo V della Costituzione. Il Titolo V è la parte della Costituzione italiana in cui si parla di autonomie locali di comuni, province e regioni. Il Titolo V ha subito variazioni negli anni e, nel 2011, ha ottenuto un impronta più “federalista”.
Se passasse la riforma costituzionale alcuni poteri tornerebbero nuovamente esclusiva dello Stato, i seguenti: sicurezza sul lavoro; ambiente; gestione di porti e aeroporti; l’energia (sia per il trasporto che per la distribuzione); politiche per l’occupazione; ordinamenti professionali.
Referendum e leggi d’iniziativa popolare. Se venisse approvata la riforma le “novità” riguarderebbero anche il “modello” del referendum. Si avrebbe un cambiamento per il quorum, che rimarrebbe al 50% più uno degli aventi diritto al voto solo per determinate situazioni.
Per proporre una legge d’iniziativa popolare si passerebbe dalle attuali 50 mila firme, alle eventuali future 150 mila firme.
Abolizione del CNL. La Riforma prevede l’abolizione del Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro. L’organo è attualmente composto da 65 consiglieri.
L’organo ha funzione consultiva ed è costituzionalmente abilitato a proporre alla Camera leggi di sua competenza.
La Riforma prevede l’abrogazione di questo organo: i dipendenti verranno ricollocati presso la Corte dei Conti.
Ricorso preventivo e equilibrio della rappresentanza. Se passa il Sì sarà inserito in Costituzione un nuovo comma nell’Articolo 55 che prevederà “l’equilibrio di rappresentanza” tra la componente femminile e quella maschile.
Quelli di cui sopra sono solo alcuni passaggi ma, come affermato, la riforma costituzionale prevede la riscrittura di ben 47 articoli della Costituzione, quindi molto altro.
Le ragioni di uno dei comitati per il Sì
Di seguito, in dieci punti, le ragioni di uno dei comitati per il Sì alla modifca di 47 Articoli della Costituzione.
Per superare il bicameralismo paritario
«Finalmente l’Italia cesserà di essere l’unico paese europeo in cui il Parlamento è composto da due camere eguali, con gli stessi poteri e praticamente la stessa composizione. Il superamento del cosiddetto “bicameralismo paritario” servirà per ridurre il costo degli apparati politici e per rendere l’attività del Parlamento più rapida ed efficace. La Camera dei Deputati darà e toglierà la fiducia al governo, il Senato rappresenterà prevalentemente le istanze e i bisogni di comuni e regioni.»
Per avere leggi in tempi più rapidi
«Troppo spesso i cittadini hanno atteso per anni riforme e risposte concrete, che sembravano non arrivare mai. Se vincerà il Sì, finalmente le proposte di legge non dovranno più pendolare tra Camera e Senato, nella speranza che prima o poi si arrivi ad un testo condiviso fino alle virgole. Tranne che per alcune limitate materie, di norma la Camera approverà le leggi e il Senato avrà al massimo 40 giorni per discutere e proporre modifiche, su cui poi la Camera esprimerà la decisione finale. Più velocità non significa “più leggi”, ma risposte più tempestive da un Parlamento più credibile.»
Per ridurre i costi della politica
«Verrà ridotto il numero dei parlamentari, perché i senatori elettivi passeranno da 315 a 95 (più 5 di nomina del Presidente della Repubblica) e non percepiranno indennità; il CNEL verrà abolito, e con esso i suoi 65 membri; i consiglieri regionali non potranno percepire un’indennità più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione e i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico; le province saranno eliminate dalla Costituzione. La riduzione di costi e “poltrone” restituirà credibilità alle istituzioni.»
Maggiore partecipazione dei cittadini
«La democrazia non si riduce solo al momento del voto, ma è un insieme di strumenti nelle mani dei cittadini per esprimere idee, proposte e bisogni. Con la riforma, la democrazia italiana diverrà autenticamente partecipativa: il Parlamento avrà l’obbligo di discutere e deliberare sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori; saranno introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo; si abbassa il quorum per la validità dei referendum abrogativi (se richiesti da ottocentomila elettori, non sarà più necessario il voto del 50 per cento degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche).»
Per chiarire le competenze di Stato e Regioni
«La riforma chiarirà e semplificherà il rapporto tra Stato e Regioni: con l’eliminazione delle cosiddette “competenze concorrenti”, ogni livello di governo avrà le proprie funzioni legislative. Si eviterà finalmente la confusione e la conflittualità tra Stato e Regioni che ha ingolfato negli scorsi 15 anni il lavoro della Corte Costituzionale.
Materie come le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia o la formazione professionale saranno di esclusiva competenza dello Stato. Alle Regioni, oltre alle competenze proprie (come l’organizzazione sanitaria, il turismo o lo sviluppo economico locale), potranno essere delegate altre competenze legislative. Sarà un modo per promuovere le Regioni più virtuose.»
Per aumentare la rappresentanza degli Enti Locali in Parlamento e in Europa
«Il Senato diverrà finalmente il luogo della rappresentanza delle regioni e dei comuni, che potranno così intervenire direttamente nel procedimento legislativo attraverso i sindaci e i consiglieri che ne faranno parte. Per troppi anni, la loro limitata capacità di partecipazione alla formazione delle leggi dello Stato ha causato ritardi, conflitti e contenziosi. In più, il nuovo Senato dei sindaci e dei consiglieri sarà investito di una funzione molto importante: parteciperà alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea e ne verificherà l’impatto sui territori. E’ un compito decisivo, che consentirà all’Italia di rispettare “i patti”, di non commettere infrazioni e di evitare multe salate.»
Per aumentare la rappresentanza degli Enti Locali
«Il Parlamento viene rafforzato portando nel Senato la rappresentanza delle regioni e dei comuni, che hanno il compito di applicare le leggi. Che essi siano ignorati al momento della loro discussione è causa di ritardi e conflitti. Genera un contenzioso che non ci possiamo più permettere.»
Per leggi in tempi più rapidi
«Le leggi non dovranno più pendolare tra la Camera e il Senato, sperando che alla fine si arrivi ad un testo condiviso sin nelle virgole. Con la riforma, salvo pochissime eccezioni, se il Senato ha obiezioni da muovere, spetterà sempre alla Camera la decisionale.»
Per chiarire le competenze di Stato e Regioni
«Il riparto delle funzioni legislative tra Stato e Regioni viene risistemato, consolidando quanto la Corte costituzionale ha stabilito attraverso tantissime sentenze negli ultimi quindici anni. La riforma costituzionale del 2001 aveva creato molta confusione considerando “concorrenti” anche materie (grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, ecc.) in cui è del tutto irragionevole che, accanto ai “principi” fissati dallo Stato, esistano anche venti leggi regionali diverse. In effetti nessuna Regione ne ha mai emanate e la Corte ha fatto salti mortali per spiegare che la competenza è dello Stato, cosa che la riforma del 2016 sancisce con chiarezza.»
Per ridurre i costi della politica
«La riforma, inoltre, contiene tutti gli accorgimenti necessari affinché le istituzioni di garanzia, a cominciare dal Presidente della Repubblica, non siano espressione della sola maggioranza di governo; con il taglio al numero dei parlamentari, l’abolizione del CNEL, la fissazione di un tetto alle indennità dei consiglieri regionali e la decostituzionalizzazione delle province riduce costi non più giustificabili restituendo credibilità alle istituzioni; potenzia gli istituti di iniziativa popolare.»
Le ragioni di uno dei comitati per il NO
Di seguito, per la “par condicio”, sempre in dieci punti, le ragioni di uno dei comitati per il NO per evitare che cambi la Costituzione.
Supera il bicameralismo?
«NO, lo rende più confuso e crea conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato.»
Produce semplificazione?
«NO, moltiplica fino a dieci i procedimenti legislativi e incrementa la confusione.»
Diminuisce i costi della politica?
«NO, i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto e se il problema sono i costi perché non dimezzare i deputati della Camera?»
È una riforma innovativa?
«NO, conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari.»
Amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini?
«NO, triplica da 50.000 a 150.000 le firme per i disegni di legge di iniziativa popolare.»
È una riforma chiara e comprensibile?
«NO, è scritta in modo da non essere compresa.»
È una riforma legittima?
«NO, perché è stata prodotta da un parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale.»
È il frutto della volontà autonoma del parlamento?
«NO, perché è stata scritta sotto dettatura del governo.»
Garantisce la sovranità popolare?
«NO, perché insieme alla nuova legge elettorale (Italicum) già approvata espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri.»
Garantisce l'equilibrio tra i poteri costituzionali?
«NO, perché mette gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) in mano alla falsa maggioranza prodotta dal premio.»
La campagna elettorale è iniziata ancor prima che la Corte di Cassazione ha dato il via libera al referendum costituzionale con parole “pesanti”.
Renzi ha in più occasioni affermato che «Se vince il NO vado a casa»; ancora: «Se perdo il referendum costituzionale considero fallita la mia esperienza politica». Quindi Boschi: «Se vince NO, anche io lascio. I veri partigiani voteranno Sì»; ancora: «Se vince il NO al Referendum anche io lascerò la politica».
Il voto di novembre - o dicembre - è quindi diventato un vero è proprio “referendum” sul Governo: se vince il Sì il Governo resta, altrimenti va a casa.
A proposito di parole “pesanti” che anticipavo, i comitati del NO, per esempio, hanno definito il referendum «l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo» o anche «silenziosa demolizione della democrazia.»
Boschi, “titolare” della riforma, ha affermato che «chi vota per il “NO” è come Casa Pound» (un modo come un altro per dire che chi vota NO è un fascista).
La Boschi si è spinta “oltre” in diverse occasioni, superando più volte il limite della tollerabilità, per esempio quando ha affermato che «Chi propone il NO, non rispetta il Parlamento.»
I linciaggi, ad oggi, specialmente per quelli che sono contro la riforma, come accennavo, sono stati molto “pesanti” (esattamente come avvenne con “Brexit”). Diego Fusaro, difatti, scrive: «Mi ha colpito qualche settimana fa, sul “Corriere della sera”, una vignetta: era raffigurato Zagrebelsky, fermo sostenitore del “NO” alla riforma, in veste di fascista, inseguito dalle brigate partigiane piddine a favore del “Sì”. L’accusa di fascismo cade ora su chi difende la Carta costituzionale che nacque dalla fine del fascismo e dall’incontro tra la visione comunista del lavoro e quella cattolica della dignità della persona.»
Diego Fusaro, inoltre, ricorda l’ “impressionante” ed “improvviso” cambio di Roberto Benigni (mister «la più bella del Mondo non si tocca», quando c’era Berlusconi... oggi è tutto okay, al Governo ci sono i suoi amici!). Scrive Diego Fusaro: «Ovviamente il blocco egemonico mobiliterà l’intero quadro intellettuale, accademico e giornalistico: il caso di Benigni è il primo e non sarà certo l’ultimo. Il grande difensore della “costituzione più bella del mondo” (cit.) che si fa sostenitore della sua riforma, rinnegando in blocco anni di militanza pro-Costituzione: uno spettacolo tragicomico», quindi cita il filosofo Pierre Bourdieu: «Gli intellettuali sono la parte dominata della classe dominante; appartengono a quest’ultima, giacché hanno anch’essi un capitale, di tipo culturale. Ma sono dominati nella classe dominante, perché devono vendere quel capitale culturale: che dunque non può non coincidere con gli interessi di chi lo “compra”, cioè i dominanti» e conclude: «Da quando nacque la nostra Costituzione, nacquero anche - lo sappiamo - i tentativi di distruggerla o, come usa dire ora con la neolingua orwelliana, di “riformarla”. Ciò che non riuscì a Junio Valerio Borghese e a Licio Gelli, potrebbe riuscire ora all’Unione Europea, al sistema bancario internazionale e ai loro agenti senza qualità.»
Sempre a proposito di Benigni, Giorgio Cremaschi, ricorda: «Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata. La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente. Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta?»
Scrive Paolo Barnard sul “Daily Express”: «Perché dovrebbe essere fatto un referendum per cambiare una Costituzione e un Parlamento che sono già stati ridotti ad un’ombra di ciò che dovrebbero essere da parte di Bruxelles?
Mi riferisco al referendum costituzionale italiano in autunno che decreterà anche se Matteo Renzi rimarrà in carica come Primo Ministro.
La Sovranità si trova in altri luoghi nell'Unione Europea, non più nelle assemblee nazionali.
Se i sostenitori britannici del “Remain” avessero passato mezza giornata a verificare quale infernale prigione siano l'eurozona e i trattati sovranazionali europei, sarebbero senza parole.
Ecco una metafora per spiegare meglio: immaginate una fattoria di schiavi nella Louisiana del XIX secolo, dove gli schiavi nella baracca N.18 decidono di fare alcuni piccoli cambiamenti nella loro miserabile abitazione.
Cambierà qualcosa per loro? Schiavi erano e schiavi rimarranno.
Pensate che i padroni saranno preoccupati per il nuovo colore di vernice che gli schiavi hanno aggiunto alla loro decrepita abitazione?
Questa è proprio la situazione in cui l'Italia si trova in questa disgraziata dittatura europea, mentre il referendum si avvicina.
Quindi a chi daranno il mal di testa queste chiacchiere?»
Paolo Barnard, successivamente, ricorda alcune delle minacce: «Se il referendum costituzionale non passasse... i titoli di Stato italiani potrebbero essere venduti»; «La vittoria del NO potrebbe comportare la nomina di un governo tecnico entro il 2017» (leggi: ancora un altro uomo “europeo” non eletto alla guida a Roma); «Le prospettive dell'Italia sono offuscate dai rischi legati al referendum di Ottobre e ai guai del settore bancario, così come l'impatto del “Brexit” sul commercio e l'incertezza». Quindi, conclude: «Quelle minacce non mi impressionano. È come dire ad un cadavere che se non si comporta bene tu gli sparerai. E non preoccupatevi riguardo al cosiddetto “pericolo nucleare” del disastro del nostro Monte dei Paschi.
Mario Draghi, il più famoso rianimatore di “beni zombie” del mondo, si occuperà anche di quello.
Per concludere, il referendum di Ottobre non cambierà niente riguardo alla nostra tragedia nazionale.»
Le conclusioni del giornalista Paolo Barnard, sono le mie conclusioni.
Per il “povero cittadino” non cambierà nulla in caso di approvazione o bocciatura del referendum costituzionale, ma per il “Potere” (per Confindustria, Wall Street Journal, New York Times, Financial Times, Paìs, l’Economist, il Times, Silicon Valley, gli uomini dell'industria globale, i mercati - quindi gli USA, UE ed altri...), in caso di bocciatura del referendum, sarà l’ennesimo schiaffone in pieno viso sferrato ancora una volta da quelli che il “Potere” definisce plebaglia di vecchi bifolchi ed inutili operai/impiegati medi, periferici, ignoranti, fascisti, nazisti, mafiosi, popolusti (esattamente come avvenne con “Brexit”). Quelli che, però, se votano secondo il volere del “Potere”, magari, sono anche “intelligenti”... intelligenti si fa per dire, ovviamente!
Inoltre, affermo quanto segue: l’attuale Governo, per quanto mi riguarda, non è il “Governo Renzi” ma il “Governo Padoan”. Quindi, se il referendum sarà bocciato ed il Presidente della Repubblica Mattarella dovesse incaricare Pier Carlo Padoan dopo Renzi (oppure un altro banchiere legato mani e piedi a Bruxelles, esattamente come lo è Pier Carlo Padoan...), questo assolutamente NON potrà, per quel che mi riguarda, essere considerato un “cambio”, ma semplicemente una continuazione di quel che è stato da Mario Monti ad oggi.
Posto nuovamente le parole di Gianfranco Carpeoro (parole che condivido alla lettera e che considero sempre appropriatissime nell’attuale caos globale ed anche per l’attuale referendum costituzionale sulla riforma Boschi).
Scrive Carpeoro: «Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più. Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura. Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato. A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi. Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da Terzo Mondo.»
In conclusione. Alla domanda «Perché Confindustria, Wall Street Journal, New York Times, Financial Times, Paìs, Economist, Times, Silicon Valley, gli uomini dell'industria globale e i mercati (quindi USA, UE ed altri...) temono che “Quel voto pesa più di Brexit”?», la risposta non può che essere una: ancora una volta hanno PAURA... soprattutto perché c’é di mezzo l’Italia, quindi l’Euro, l’Unione Europea, gli USA e i mercati... il Mondo intero!
La Gran Bretagna (lo ricordo nuovamente con una citazione di Carpeoro) «è uscita dall’Unione Europea “per modo di dire”, perché di fatto in Europa la Gran Bretagna non c’è mai stata davvero». L’Italia, invece, nell’Unione Europea e nell’Euro ci é dentro fino al collo. Ecco perché per il “Potere” «Quel voto pesa più di Brexit.»
I “Poteri” hanno bisogno di “Governi comodi” e “stabili”: hanno bisogno di Governi “giusti” che fanno le cose “giuste” (in questo caso hanno bisogno del “comodissimo” e “giustissimo” Governo Padoan/Renzi che hanno sempre appoggiato ed appoggiano senza se e senza ma, in modo da applicare quel pochissimo che resta delle “riforme” del “ce lo chiede l’Europa”).
Non a caso, il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, su tal proposito, ha affermato che sul referendum costituzionale «Confindustria deve schierarsi se condivide argomenti e contenuti», perché «il referendum è una questione di governabilità e stabilità». Difatti, sempre a proposito della “stabilità”, Confindustria si apertamente schierata per il Sì alla riforma, quindi a favore del Governo Padoan/Renzi.
Mi scuso per la lungaggine, in questo caso inevitabile...
Vincenzo Bellisario
(Articolo del 21 Agosto 2016)
Perché Confindustria, Wall Street Journal, New York Times, Financial Times, Paìs, Economist, Times, Silicon Valley, gli uomini dell'industria globale e i mercati (quindi USA, UE ed altri...) temono che “Quel voto pesa più di Brexit”?
- Dettagli
- Categoria: Blog
- Postato da Vincenzo Bellisario