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NoGlobal be721

Mille anni fa, nel remotissimo 2001, l'allora anonimo Vladimir Putin - appena insediato al Cremlino, dopo l'esausto Eltsin - era poco più che un fantasma tra le rovine dell'Urss disastrata dalle privatizzazioni: non osò alzare la voce neppure per il misterioso affondamento del sommergibile Kursk nel Mare di Barents con i suoi 118 marinai, mentre il mondo si rassegnava a tollerare l'apparente infantilismo semianalfabeta dello sceriffo Bush junior. A Genova, sotto il sole di luglio, si animava la stranissima festa multicolore dei NoGlobal, scandita delle canzoni di Manu Chao: una kermesse variopinta, innocua, per molti essenzialmente ingenua. Andava ancora di moda la speranza in un mondo migliore, sebbene per la maggior parte dell'opinione pubblica non ce ne fosse neppure bisogno: andava benissimo quello che già c'era, senza più la guerra fredda (grazie a Gorbaciov) e senza vere crisi all'orizzonte. Tutto cambiò di colpo il 20 luglio, nel capoluogo ligure, con l'uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Nemmeno due mesi dopo, bruciavano le Torri Gemelle di New York. Si spalancò davanti agli occhi di tutti un mondo infinitamente peggiore, tra crateri di violenza inspiegabile, terrorismo, guerre infinite. E a ruota, catastrofiche crisi economico-finanziarie.

Vent'anni dopo, in Italia, la scena pubblica è dominata da minuscoli leader venuti dal nulla, il cui gossip politico galleggia nello stesso mainstream di Maria De Filippi e Barbara D'Urso, Corrado Formigli e Lilli Gruber, tra i palleggi di Cristiano Ronaldo e l'eterna, desolante mediocrità del Festival di Sanremo. A Palazzo Chigi si agita ancora un tizio che nessuno sa davvero chi sia e da dove provenga, mentre al Quirinale regna un signore secondo cui l'ultima parola spetta ai mercati finanziari e non ai cittadini-elettori. Quanto al Parlamento, i giganti che occupano il ring si chiamano Renzi e Salvini, Zingaretti e Meloni. Impietoso il confronto anche tra i giovanissimi: due decenni fa, a Genova, chiedevano la fine della globalizzazione-canaglia, mentre oggi le Sardine si accontentano di allontanare la Lega dal governo. E uno dei loro idoli - Greta Thunberg - va predicando il suo dogma religioso millenaristico: il cambiamento climatico sarebbe di origine antropica, dunque la colpa ricade su di noi, 7 miliardi e mezzo di consumatori incoscienti. Le danno ragione, implicitamente, la Bank of England e le major plutocratiche del pianeta - Vanguard, State Street e BlackRock - pronte a dipingere di verde i loro prodotti finanziari, titoli e fondi pensione: un bottino smisurato, da 100 trilioni di dollari.

L'Italia dei tempi di Carlo Giuliani, nel frattempo, non esiste più. Sono scomparse le tutele del lavoro e innanzitutto il lavoro stesso, insieme a moltissimi diritti sociali (sostituiti dal glamour dei diritti civili). La sola terapia-Monti si calcola che abbia devastato il made in Italy tagliando il 25% del potenziale industriale del paese, già piagato da svendite e delocalizzazioni, dopo la tragedia delle privatizzazioni all'amatriciana gestite da Prodi e Draghi. E' sparito anche il diritto alla trasparenza: nessuno, nel Duemila, avrebbe potuto imporre 12 vaccini obbligatori, senza spiegazioni, pena l'esclusione dei bambini dalle scuole dell'infanzia. Milioni di persone vivono con gli occhi ipnotizzati dallo smartphone, mentre il wireless 5G (teoricamente insidioso, secondo molti scienziati) avanza in modo clandestino, radendo al suolo i viali alberati. E' diventato uno spettacolo normale persino quello del cielo, imbrattato dalle scie bianche rilasciate dagli aerei: ieri le scie si dissolvevano in pochi secondi, oggi invece persistono, allargandosi come nuvole fino a ingrigire l'azzurro. E' tutto clamorosamente normale: il massacro in Siria e la devastazione della Libia, l'oceano di migranti dall'Africa, la precarietà universale come orizzonte unico. Basta un semplice virus, ormai, a piegare la prima potenza commerciale del mondo, mettendo in crisi - di rimbalzo - l'intera economia del pianeta.

Il gigante Putin, unico statista mondiale sopravvissuto a questi vent'anni sconcertanti - fino allo spettacolo dei tagliagole dell'Isis protetti dalla Nato e alle stragi nelle piazze europee - voleva forse parlare della nostra post-democrazia, quando ha vaticinato (infelicemente) la morte definitiva del liberalismo come sistema politico-sociale. La triste verità è che l'autocrate russo ha ragione: in Occidente, quel che resta della democrazia formale non garantisce più la possibilità di passare da un'opzione a un'altra, attraverso le elezioni. Caso esemplare, l'increscioso cabaret italiano offerto dai 5 Stelle: stravinci promettendo di tutto, e poi governi tradendo ogni promessa, dalla prima all'ultima. Nella loro agonia terminale, i grillini fanno il gioco del pagliaccio: demonizzano la prescrizione giudiziaria e i vitalizi, si vantano di voler tagliare i parlamentari. Ricordano i commercialisti che, nelle scuole, oggi raccontano ai bambini che le tasse (udite, udite) servono a finanziare lo Stato. Lo segnala Claudio Messora, in un video-editoriale su ByoBlu: incredibile ma vero, la scuola insegna agli adulti di domani che uno Stato (che il denaro lo crea dal nulla, in modo virtualmente illimitato) per costruire un ospedale deve prima "risparmiare", tassando i sudditi, come se il denaro di oggi - moneta fiat, creata al computer - fosse invece un tesoretto limitato, da intaccare con parsimonia.

E anche questo è ormai disperatamente normale, in un mondo che dà l'impressione di rotolare verso baratri apocalittici, tra ghiacci artici che si sciolgono, foreste che scompaiono, oceani soffocati dalla plastica. Bussole: solo private, individuali, spirituali, trasversali. Reti di umanità resistente e solidale, che non smette di informarsi e di provare a sviluppare futuro, nonostante la prigione di una macroeconomia nemica, gratuitamente difficoltosa, fabbricata su misura per ristrettissime élite prive di qualsiasi nobiltà. I moderni imperatori - Jeff Bezos di Amazon, Larry Fink di BlackRock, gli stessi Zuckerberg, Bill Gates, Elon Musk - sembrano avere infinitamente più potere di qualsiasi sparuto ministro. Nel caso dell'Ue, ambiguo zoo di partner recalcitranti e ingabbiati, la sovranità dei governi scende al di sotto dello zero, e l'Italia vince la gara in solitaria: non ha rivali, in Europa, la sottomissione italiana all'oligarchia tecnocratica che amministra il potere per conto terzi, obbedendo ai "suggerimenti" di organismi elusivi come l'Ert, European Roundtable of Industrialists. Vette impensabili, nel 2001, quando milioni di giovani credevano ancora nel sogno di una giustizia possibile, per tutto il pianeta.

Oggi l'illusione è crollata, ma nessun progetto alternativo è in campo (perlomeno, alla luce del sole). La politica è stata semplicemente disabilitata: si limita a obbedire. Penoso, il siparietto gialloverde sul deficit italiano: poteva - anzi, doveva - essere la premessa per una possibile inversione di rotta, a livello europeo, sul tipo di governance dell'economia. Non c'era da farsi illusioni: un economista-galantuomo come Paolo Savona era già stato costretto a fare le valigie, per aver osato anche solo concepire un modo diverso di pensare il futuro, oltre la rassegnazione teologica all'ineluttabile crisi eterna generata dal regime di austerity. Inevitabile che poi tutto si sbricioli: Ilva, Alitalia, viadotti autostradali. La Fiat scappa in Francia, paga le tasse in Olanda e non dà garanzie sul futuro degli stabilimenti italiani, ma intanto si compra "Repubblica" e "L'Espresso" senza che nessuno fiati. Anche per questo, probabilmente, i politici di oggi si affannano a sollevare solo polvere: lo fanno per nascondere la verità, cioè la loro assoluta impotenza. Non a caso, chi invece è in grado di prendere vere decisioni è ancora al suo posto: come Putin, da vent'anni al Cremlino. E non è che sia, di per sé, una bella notizia.

(Giorgio Cattaneo, 20 febbraio 2020).

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