https://www.huffingtonpost.it/entry/il-potere-di-salvini_it_5cec27dee4b0512156f614a0?ncid=other_email_o63gt2jcad4&utm_campaign=share_email
Sono convinto che né all'autrice né al giornale online dispiacerà che io offra la mia personale chiave di lettura sul linguaggio utilizzato dalla Annunziata; non guadagnamo da pubblicità, e il riprendere il suo post altro obbiettivo non ha che spiegare come l'informazione possa spesso risultare male interpretabile.
Qualora questo fosse un problema, ce lo facciano sapere.
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Ciao XXX, sei chiaramente una persona di sensibilità progressista, preoccupata per la vittoria di Salvini (la vulgata dei media ci dice uniformemente che ci dobbiamo preoccupare) e mi hai quindi chiesto di commentare questo articolo della Annunziata.
Ci tengo quindi, paragrafo per paragrafo, a farti vedere come - volontariamente o involontariamente – vengono usati un linguaggio e delle categorie di pensiero a mio avviso manipolatorie e strumentali al sistema.
Entrerò nel merito dei “significanti” usati con un significato improprio e proverò a trasmetterti gli “occhiali del dubbio” così che anche tu in futuro possa farti delle domande quando ti troverai a leggere articoli con una bella narrativa, ma che potranno nascondere rischi di manipolazione. Ricordiamoci Socrate: “Ti esti?”.
Spero che tu non te la prenda se userò questo tuo invito a commentare l’articolo di Lucia Annunziata anche per creare un post per il blog del Movimento Roosevelt.
Scriverò i miei commenti, laddove necessario, nel testo che viene riportato in corsivo-grassetto.
Il potere di Salvini
Quello della destra non è un successo transitorio. Riace, Lampedusa, Val di Susa, Torre Maura... Il leghista vince in tutti i luoghi simbolo dello scontro politico recente. Capire la Lega per batterla
L’autrice apre parlando della vittoria della destra. Le categorie destra e sinistra sono oggi anacronistiche. Sono categorie dei secoli passati. Forse potranno tornare ad avere senso in futuro se riusciremo a ricollocare a destra e sinistra forze politiche coerenti con un pensiero ed una visione del mondo. Oggi viviamo all’interno di una ideologia molto forte e radicata: il neoliberismo. Tutti i partiti all’interno dell’arco costituzionale – a destra e a sinistra - sono partiti neoliberisti (la Lega sembra l’unico partito a fare qualche timido tentativo per uscirne, ma abbaia più che mordere). Mentre nel passato destra e sinistra potevano far riferimento a modelli sociali ed economici di riferimento diversi, oggi questa cosa non avviene. Usare le categorie destra e sinistra in questo modo equivale a creare quello che in psicologia sociale, come sai, si chiama un “in group”, da presentare contro un “out group”. Sostanzialmente, l’autrice sta creando un “noi” e un “loro”, un “buoni” (noi) e un “cattivi” (loro).
AGF
L’Europa come è stata fin qui è arrivata alla sua penultima stazione: il sistema politico tradizionale, quello che ha tenuto insieme nel dopoguerra il vecchio continente, è in macerie. E macerie non è una parola usata tanto per esagerare. La debacle delle istituzioni è più forte proprio nei paesi che hanno costruito l’Unione, e che l’hanno guidata finora - la Germania del crollo personale e politico della Merkel, la Francia del “meraviglioso” presidente Macron durato lo spazio di un mattino, l’Inghilterra patria, come si dice sempre, di meravigliose storie democratiche, vittoriosa su Hitler, ma sconfitta poi dal capetto Nigel Farage; e l’Italia che al solito fa da anticipatore di ogni trasformazione – in questo caso può vantare di essere la nazione che per prima ha consegnato agli antieuropeisti il proprio governo.
In questo paragrafo la Annunziata ci dice correttamente che questo modello di Europa sta per finire. Ma non si ferma qui. Implicitamente, tra le righe, sembra volerci far capire che questo è un male, un tornare indietro rispetto al corso della storia. Eppure, questa dis-Unione Europea è guidata da una forte ideologia neoliberista, è controllata da lobbies, e offre una narrativa nella quale la finanza viene presentata come sovra ordinata all’economia ed in cui l’economia viene sovra ordinata alla politica e al benessere della collettività. Tra l’altro, questa dis-Unione Europea non ha una economia comune ed è casa dell’unico Parlamento al mondo senza vero potere legislativo (roba che Montesquieu si rigira nella tomba quando sente che questa Europa è un baluardo per la democrazia). L’abbandono di QUESTO tipo di dis-Unione Europea potrebbe essere una grande opportunità per creare istituzioni democratiche. Come mai questa possibilità non viene rappresentata? Come mai il cambiamento è visto sempre il luce negativa?
È vero, la destra non ha ottenuto le chiavi di Bruxelles, gli è mancata la palma della maggioranza che gli permetta di governare, ma la sua è stata una affermazione netta, solida, e, soprattutto, in crescita. Il segno più rilevante di questa forza, è il successo personale di tre leader, Le Pen, Salvini, Orban, le cui figure offrono oggi ai sovranisti un fronte pubblico che ampiamente compensa ogni frammentazione e divisione al proprio interno.
Interessante come la Annunziata ammetta che il “sovranismo” aiuti l’avvicinamento tra persone che la pensano diversamente su molte cose. Certo, è vero. Perché oggi lo scontro NON è tra destra e sinistra ma tra forza democratiche ed antidemocratiche. Ci stiamo abituando, piano piano, ad una democrazia di secondo livello dove gli amministratori pubblici non vengono eletti ma nominati o assunti (basti pensare al funzionamento delle Province o della Commissione europea). In questo contesto, la parola sovranismo viene spesso usata come dispregiativo, significante di persone nazionaliste che quasi disprezzano i processi democratici preferendo modelli più autoritari. Questo è il messaggio che passa dalla vulgata mediatico-neoliberista. La realtà è che c’è un crescente numero di persone che si rende conto della involuzione antidemocratica che sta vivendo la società occidentale. La sovranità non è un qualcosa di negativo. La sovranità del popolo è il principio base della democrazia. Il popolo dovrebbe essere sovrano a livello municipale, cittadino, provinciale, regionale, nazionale e sovranazionale. Se non è il popolo ad essere sovrano, chi lo dovrebbe essere? L’etichetta “sovranismo” altro non è che uno strumento per screditare chi lamenta un deficit democratico, anche a causa di una globalizzazione che a partire dall’accordo di Marrakesh del 1994 ha globalizzato il commercio e le transazioni finanziarie senza creare organi giuridici sovranazionali in grado di tutelare gli interessi dei popoli. Ora, all’interno delle forze etichettate come sovraniste, è chiaro che ci sono posizioni che SONO in effetti nazionaliste e autoritarie, ma l’usare l’etichetta “sovranisti” rimane strumentale a denigrare chi lamenta un deficit di democrazia.
Questo mondo della destra europea, come già successo con quella americana di Trump, vince perché intercetta la nuova rottura fra classi, la fine del contratto sociale di mutua collaborazione insito nel welfare del dopoguerra, il distacco della connessione fra i dimenticati e gli attivi del nostro mondo. È un successo che non si spiega solo con il richiamo al fascismo, o con la coltivazione delle paure, del razzismo. L’uno, il fascismo, e gli altri, la paura, il razzismo, sono la forma che questo risentimento sociale prende. Non ne sono l’origine.
Paragrafo con due effetti: 1) rinforza la percezione che il welfare state non ce lo si possa più permettere. L’Annunziata non parla assolutamente di come, nonostante la fine del Gold Standard nel 1971, l’economia neoliberista si comporti ancora come se la quantità di moneta disponibile fosse una limitata, quando non lo è. L’Annunziata non parla della superfetazione dei mercati finanziari, di fronte al fatto che gli Stati per finanziare la spesa pubblica devono pagare ingenti interessi. L’Annunziata non parla di come l‘economia dovrebbe cambiar, per ridare linfa al contratto sociale. No. L’Annunziata riduce il tutto alla constatazione che lo stato sociale sia “de facto” finito. 2) L’Annunziata rivendica un ritorno al fascismo come pericolo per la società. Alle elezioni europee Casa Pound Italia ha preso lo 0.3% ed è difficilmente pensabile che possa essere un pericolo. Piuttosto, l’Annunziata dovrebbe preoccuparsi di quello che Tremonti, nel suo libro ‘Uscita di Sicurezza’, chiama il fascismo bianco: ovvero la forma di controllo politica e sociale esercitata dai poteri finanziari. Quella si che è la forza di fascismo da denunciare e combattere.
È esattamente l’inverso di quanto si sostenga oggi fra gli europeisti, nel mondo democratico. Cedere alla tentazione di non riconoscere queste radici del successo, sminuirne la portata (come un po’ già si sta facendo in queste ore) rifugiandosi nelle fatwe ideologiche, è una sicura strada per aumentarne il tasso di efficacia.
L’Europeismo tuttavia non è del tutto battuto, e non solo perché gli rimangono in mano numeri di un potenziale governo. La indicazione più rilevante per i democratici è l’affiorare anche nelle proprie file, come a destra insomma, di una forte richiesta di cambiamento. Al crollo dei partiti tradizionali l’elettorato europeista pare opporre, con il suo voto ai verdi ad esempio, la consapevolezza dei propri limiti.
Cosa è l’europeismo di cui parla la Annunziata? L’Europa è un mezzo, non un fine. L’Europeismo dovrebbe trovare le sue radici nel desiderio di creare una società libera, socialmente giusta e democratica. L’opposto della dis-Unione Europea di oggi. Invece di parlare di pragmatismo e di “limiti”, l’Annunziata dovrebbe celebrare l’opportunità di cambiare questa dis-Unione Europea per creare qualcosa di nuovo, coeso e rispettoso della sovranità popolare- se democratica.
Questo fronte ha oggi una responsabilità che fino a pochi mesi fa gli era stata sottratta. Dentro la crisi della democrazia rappresentativa nelle maggiori democrazie del mondo, ricompare in Europa il baluardo del bipolarismo fra destra e sinistra. La scelta che questo fronte democratico deve ora fare è molto semplice – entrare con coraggio in questo nuovo scenario turbolento, non negando la forza della destra, non chiudendosi in un clima di pura resistenza, ma accettandone invece fino in fondo la sfida. Sfida che in politica significa, quando si perde, una sola cosa: capire perché il proprio avversario vince (in questo caso la destra) e andare a riconquistarne voto per voto gli elettori persi, ritornando fra i cittadini, ascoltandoli come mai prima, e riformando sé stessi prima ancora che tentare di fare le prediche a tutti gli altri.
Non vince la destra. Chi vota Salvini oggi ha votato Renzi ieri (ne conosco moltissimi). Piuttosto, vince la voce del disagio economico e della rivendicazione del bisogno di istituzioni democratiche che trasformino questa globalizzazione della finanza, nella globalizzazione dei diritti universali, dello stato sociale e dello stato di diritto. C’è bisogno di politiche che mettano i bisogni davanti gli interessi.
I prossimi anni, dentro il governo continentale di Bruxelles e nelle capitali dei vari paesi, si giocherà insomma sul filo di lana il profilo della nuova Europa. Lo scontro finale comincia solo ora.
A proposito di domande sulle ragioni della vittoria della destra, comincerei, in Italia, da quella che ci pone un piccolo luogo, uno dei simboli del fronte su cui la prima parte dello scontro fra destra e sinistra è passato nei mesi scorsi. Parliamo di Lampedusa, che ha incoronato come suo politico prescelto, senza nessun equivoco, Matteo Salvini: sull’isola degli sbarchi, visitata da organizzazioni umanitarie, attivisti, e Ong, e dal Papa, la Lega supera il 45 per cento del consenso – per capire il livello della crescita abbiamo come numero di paragone il dato dello 0,86 per cento che è quello ottenuto dalla Lega nel 2014. In termini assoluti le cifre sono però incontrovertibili. Su 1.404 votanti il Carroccio ha ottenuto 618 voti, un vero e proprio plebiscito.
Lo stesso è avvenuto in tanti luoghi simbolo dello scontro politico degli ultimi mesi – a Torre Maura, sesto municipio di Roma, l’insofferenza verso i rom (ricordate il pane calpestato?) si è tramutata in consenso elettorale: la Lega qui è al 36,8%; nella Riace del “modello Lucano”, Salvini è il più votato, con la Lega primo partito al 30,7; a Mirandola la Lega va al 41 per cento. A Melendugno, il comune del Tap della discordia, i cittadini “traditi” tolgono la fiducia ai 5 Stelle e la riversano, a sorpresa, anche qui, su Salvini, che raccoglie il 26%. A Verona, sede scelta per il discusso Congresso della Famiglia, la Lega è al 37%, mentre a Macerata, dove alla vigilia delle elezioni politiche del 2018 Luca Traini ferì a colpi di pistola dei migranti, il Carroccio conferma il boom: 41%, con il Partito Democratico lontano 20 punti. E in Val di Susa, presidio ultraradicale dei 5Stelle contro la Tav, vince ancora Salvini, così come vince a Capalbio, il favoloso luogo dell’Atene democratica.
Sono risultati che non solo mettono in discussione le opinioni politiche della sinistra, dei 5 Stelle, ma l’intera narrativa con cui ci si è opposti a Salvini: la forza degli eroi civili, e la forza delle esperienze umanitarie. Un repertorio evidentemente proiezione più di desideri che di realtà. Casi che autorizzano la più importante domanda di questo dopo elezioni: conosciamo davvero cosa significa questa svolta a destra? Al di là della ossessione con i leader e la leadership su cui la politica e i media si sono ampiamente soffermati, la verità è che la sconfitta della democrazia in occidente non solo nasce dal distacco dei cittadini, ma anche dalla loro semplice materiale, quotidiana conoscenza.
Questione di primaria rilevanza. A meno che non si possa immaginare di vivere in un cambiamento radicale senza sapere bene di cosa si tratti. Senza mettere in ballo la nostra capacità di lettura del presente. Un compito particolarmente gravoso e impegnativo per i media che, a mio parere, non hanno lavorato affatto sullo scollamento sociale. Ma la lettura del presente è anche l’unico strumento su cui fare leva per ricostruire la dinamica democratica.
Giusto. I media non hanno lavorato sullo scollamento sociale. Ma per farlo hanno bisogno di liberarsi dalla narrativa neoliberista e dai suoi dogmi tra cui: l’austerity come soluzione al debito, l’idea che il debito sia costo per le future generazioni e non anche una forma di benessere (in quanto si trasforma in strade, scuole, porti, etc. etc.) ,la necessità che le banche centrali siano de facto private, etc, etc…
Riguardo al problema immigrazione, nell’articolo sembra l’autrice lo riduca a un problema di esperienza personale i.e. se le persone vivono una invasione è inutile raccontare una storia fatta di eroi umanitari. Ok, ci sta, ma la storia non finisce qui. Le persone hanno bisogno di una classe politica che abbia delle risposte; forse non complete, ma che siano delle risposte. Salvini da una soluzione alla questione immigrazione – per quanto centrata in una chiave saturnina. La sedicente sinistra, negli ultimi anni, non ha mai offerto una vera soluzione alla questione Africa. Persone come Olof Palme, ma anche come Craxi, parlavano in passato di combattere la fame nel mondo. Oggi, la sedicente sinistra, con mal celata arroganza, sembra quasi sostenere che l’unica speranza per i popoli africani è emigrare perché da soli non si salveranno mai. Ed è la sedicente sinistra che ha contribuito a creare la percezione che le “missioni umanitarie” altro non sono che strumenti di conquista. Se ci fosse una forza che con credibilità ed umanità parlasse di un piano Marshall per l’Africa, e di un piano di investimenti e di reale tutela dei processi democratici a beneficio del popolo africano, sono sicuro che molte persone prediligerebbero questo progetto a quello prevalentemente saturnino proposto dalla Lega. Gli Italiani sono un popolo umano e sensibile, ma ha hanno paura; una paura radicata nella condizione economica che vivono. Basta denigrarli denunciando i ritorni di fascismo.
Salvini è stato ripetutamente, e giustamente, insultato, irriso. Ma non è bastato a fermarne la corsa. Anzi, per certi versi è stato santificato ed esaltato dagli insulti dell’area democratica. Un perverso meccanismo di conferma che ricorda strepitosamente la lunga permanenza di Silvio Berlusconi nella politica Italiana. In sintesi, per quel che riguarda Salvini dobbiamo accettare di dirci che non ha vinto per questo o quello ma perché nel suo insieme la sua proposta politica ha parlato a vari segmenti della società che gli altri partiti, a cominciare dai 5 Stelle, hanno perso. Il suo voto costituisce una vera base nel paese, non è un potere transitorio.
Anche qui, la Annunziata parla in maniera strumentale? Non lo so. Ma sembra difficile pensare che non ricordi che lo stesso Renzi alle elezioni europee prese il 40%. Oggi la politica è veloce e le persone scoprono presto gli inganni. Qualora venissero meno alcune promesse legate alla crescita del benessere e alla riduzione delle tasse, il consenso verrebbe meno. La questione immigrazione è solo accessoria. O Salvini porterà avanti davvero le lotte economiche delle quali si è fatto bandiera – soprattutto in Europa – o perderà i consensi esattamente come Renzi.
Il che ci porta all’altro corno dell’analisi di quello che è successo in Italia. Il crollo dei 5 stelle suggerisce infatti qualche ulteriore lezione sulle correnti che attraversano questo paese. Responsabili dello sdoganamento e del rafforzamento di Salvini sul piano istituzionale, leghisti sulla sicurezza prima e antifascisti contro Salvini poi, antieuropei fino a un certo punto e poi guardiani insieme a Mattarella (dopo averne chiesto l’impeachment) in difesa dei parametri europei: la loro sconfitta attuale è la ulteriore prova, se era necessaria, che la politica intesa come puro elemento di corteggiamento del voto non paga. I cinque stelle pagano quella promessa palingenetica della “sconfitta della povertà” – i cittadini, come dicono sempre i cinque stelle non sono stupidi, sanno leggere la politica. E l’hanno letta anche quando a farla (errata) sono stati i loro stessi paladini. Insomma, anche nel caso dei 5 Stelle, l’unità di misura sono sempre e comunque gli elettori, che sembrano aver esercitato in questo voto una straordinaria forza selettiva nei confronti dei propri interessi – piacciano o meno.
Infine il Pd, che oggi ha l’onere e l’onore di essere l’unica forza politica in Italia che ha sulle spalle il compito di opposizione vera a un governo ormai cambiato di segno, e tutto spostato a destra.
Ma la sua performance in queste elezioni dobbiamo chiamarla per quel che è: un forte segno di vitalità, di resilienza, un sussulto per ritrovare un impegno da parte di molti elettori, un rifiuto della inevitabilità della deriva a destra. Ma tutto ciò è ben lontano dal costituire, anche in termini numerici, una nuova piattaforma politica, una nuova organizzazione che sia capace di recuperare il consenso che ha costruito la destra. Il Pd vive una crisi che precede il successo della destra odierno, e , persino, della crisi istituzionale della nostra democrazia. La sinistra ha bisogno di rinnovarsi, di creare una offerta politica nuova, e di trovare nuovi alleati, non ultimo in Europa. Il suo tessuto interno è molto fragile, minacciato com’è da una immanente presenza di molte figure di peso ma non necessariamente d’accordo sul cosa fare, come Renzi per dirne una, il cui orizzonte politico non è chiaro, o da una classe dirigente vecchia e molto indipendente dalle logiche di una organizzazione unitaria.
Né questa ricostruzione può essere fatta ricorrendo a tatticismi di alleanze: per dire, l’idea di un accordo fra M5s e Pd allo stato attuale sarebbe solo una precaria alleanza fra due zoppi.
Il PD è difficile possa fare opposizione. È un partito troppo sistemico e neoliberista. Il PD, come la maggior parte dei partiti della sedicente sinistra nel mondo occidentale – è stato il grimaldello per portare a termine alcune delle politiche economiche più ferocemente conservatrici dal dopoguerra. L’unico consenso che può trovare ora il PD è quello di coloro che si oppongono- per paura - alla Lega.
La strada della sinistra è oggi quella di una rinascita. È lunga, è complicata. In altri tempi si sarebbe detto che la questione della sinistra oggi ha a che fare con il suo peso non con i suoi numeri, tanto per citare un vecchio banchiere italiano. O, come direbbe Gramsci, è questione di egemonia non di alleanze.
Democrazia, stato sociale e stato di diritto, schiacciati dal neoliberismo, non sono né di destra né di sinistra. In un mondo nel quale non c’è mai stata tanta ricchezza – sia dal punto di vista monetario che produttivo – c’è bisogno di nuovi modelli politici ed economici che ridefiniscano il ruolo dello Stato e del suo rapporto con il privato.
Marco Moiso
Vicepresidente del Movimento Roosevelt
Supervisore per il Regno Unito