Questa è la relazione che ho esposto il 3 Maggio a Milano.
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Buongiorno a tutti e tutte. Il titolo della mia relazione di oggi è “La necessaria complementarietà di ciò che viene proposto come incompatibile”.
Voglio infatti discutere con voi di come i tre personaggi di cui parleremo oggi - Rosselli, Palme e Sankara - avessero una cosa in comune: avevano capito come idee che vengono proposte come incompatibili, o addirittura opposte, per potersi realizzare debbano invece necessariamente essere considerate come complementari.
Prendiamo per esempio il giovane Rosselli.
Rosselli nasce - nel 1899 - in un periodo in cui il popolo è infiammato da ideali marxisti.
In quegli anni - ed in particolare tra il 1900 ed il 1904 - una intera generazione di socialisti che aveva impostato la propria lotta su un versione semplicistica del socialismo - intransigente e rivoluzionaria - si trovava posta alla testa del più grande movimento di masse del momento, con la prospettiva persino di salire al governo (Filippo Turati e i leader del Movimento operaio).
Se analizziamo il pensiero dell’epoca, e il contesto storico, non possiamo che vedere chiaramente perché il socialismo scientifico fosse popolare.
Il socialismo scientifico riconnetteva quelli che erano forse sentiti come i valori utopici del Risorgimento Italiano - giustizia sociale, difesa dei più deboli e della libertà - e che però potevano essere vissuti come un fenomeno locale, di poco respiro, ad una dottrina internazionale che aveva con vocazione messianica.
L’inevitabilità del socialismo scientifico aveva inoltre sulle masse un grande fascino: convinceva le persone a lottare per una giusta causa, destinata peraltro a vincere.
Grazie al socialismo scientifico i valori del Risorgimento uscivano quindi da una dimensione soggettiva ed Italiana, e venivano elevati ad una dimensione oggettiva e internazionale.
Eppure Rosselli - che pure guardava al lavoro di Marx con ammirazione, definendo persino tutti i moderni come “marxisti”, avendo introiettato concetti come le classi e la lotta di classe - si trovò a criticarlo.
Secondo Rosselli infatti il socialismo non poteva avvenire se non all’interno di uno stato liberale.
Guardando all’Italia dell’epoca,
che era popolata da una immensa plebe rurale legata alla gleba e al prete,
da vastissime oasi artigiane,
e solo rare avanguardie proletarie e capitaliste,
Rosselli si accorse che il paese non consentiva l’avviamento al socialismo.
Piuttosto il Paese aveva bisogno di essere avviato al capitalismo e alla modernità. Prima di poter diventare socialista, il Paese aveva bisogno di benessere, innovazione e libertà.
Non solo. Secondo Rosselli il determinismo del socialismo scientifico andava contro i principi di libertà e giustizia sociale che animavano i socialisti. Infatti, se l’approccio da perseguire era deterministico, questo voleva dire rinunciare al libero arbitrio e quindi alla libertà.
Rosselli - quindi - sosteneva che il socialismo e la giustizia sociale non si potevano realizzare se non in condizione di libertà. E non si poteva creare una società davvero libera se non in condizioni di giustizia sociale e quindi senza dare a tutti pari diritti, opportunità e possibilità di realizzare il proprio sé.
Ecco quindi che Rosselli rende complementare ciò che ancora oggi in molti continuano a proporre come incompatibile. Pensiamo al dibattito tra socialisti e liberali e a come questi stessi si posizionino spesso in antitesi.
La verità è che giustizia sociale e libertà individuali, se non perseguiti insieme, portano a delle aberrazioni- basti pensare al neoliberismo e all’Unione Sovietica.
Ora, non farò il riassunto del pensiero e della storia di Rosselli, Palme e Sankara - non è questa la sede - ma voglio analizzare con voi come questi uomini abbiano rifiutato narrazioni che mettono agli antipodi idee che necessitano invece di essere complementari.
Palme fu un grande mente capace di conciliare gli opposti.
Persino uno dei motti di Palme - se vogliamo così chiamarlo, ma forse sarebbe meglio dire “convinzione” - è basato sul conciliare gli opposti. Palme disse che “il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”.
Questa frase echeggia un’altra convinzione di Palme; ovvero che l’azione politica debba tendere sempre all’utopia. E vedremo dopo cosa era l’utopia per Palme.
Certo è che gli Svedesi hanno pienamente capito questo gigante del pensiero dopo la sua morte. In vita veniva veniva considerato come un Giano bifronte, attaccato spesso da destra e da sinistra.
Palme veniva considerato al tempo stesso utopista e pragmatico.
Arrogante e dimesso.
Persona ingegnosa e piatto amministratore.
Ma la realtà è che la storia di Palme è la storia di una persona portata a capire e conciliare interessi apparentemente divergenti.
Palme era nato in una delle famiglie più in vista dell’alta borghesia svedese (1927) e molti si stupirono quando a soli ventisei anni - questo giovane rampollo apprezzato in Svezia e all’estero - accettò la proposta di un lavoro d’ufficio come segretario all’ombra del Primo Ministro e leader socialdemocratico Tage Erlander.
Ma Olof Palme era motivato. Aveva viaggiato e aveva visto disuguaglianze sociali negli Stati Uniti che lo avevano toccato- non accettava che ci fossero differenze così profonde nelle condizioni di vita delle persone per la loro appartenenza a diversi ceti sociali. E decise che doveva fare qualcosa: decise di impegnarsi in prima persona per creare una società più coesa.
Ancora oggi molte persone sono dubbiose quando vedono dei borghesi prendere le difese delle classi deboli- pensano che abbiano qualcosa da guadagnare. Ma la realtà è che - anche se dovremmo diffidare dell’idea che i borghesi siano sempre ben intenzionati - questi hanno guidato tutte le rivoluzioni sociali e liberali degli ultimi tre secoli.
La borghesia, agiata e acculturata, è il ceto che, empatizzando con le condizioni di vita delle persone ad essa vicine, ha anche le risorse intellettuali, economiche e sociali per generare alternative e cambiamenti.
Così Palme - giovane - decise di entrare in politica e sviluppò un pensiero unico che gli assicurò l’ascesa a leader del partito socialdemocratico.
Il cuore del pensiero politico di Palme era costituito dal riconoscimento della pari dignità degli esseri umani, e dal rapporto tra libertà ed uguaglianza. Niente di nuovo in ambito socialdemocratico.
Ma per Palme la libertà era interpretata innanzitutto come possibilità di ciascun individuo di realizzare le proprie aspirazioni e le proprie scelte di vita in un rapporto di interdipendenza con il prossimo.
Palme credeva nell’interdipendenza tra persone appartenenti alla società, e al mondo, e credeva che mentre la disuguaglianza fosse motore di conflitto, l’uguaglianza fosse una garanzia di libertà - la libertà assumeva anche un ruolo fondamentale come antidoto all’uguaglianza intesa come livellamento mortifero dell’intelletto umano.
L’interdipendenza tra le condizioni di vita degli individui rendeva - secondo Palme - la pubblica amministrazione ulteriormente responsabile nei confronti della crescita e del benessere.
Palme diventa così un grande sostenitore del welfare state universalistico - visto come lo strumento principale per creare le pari opportunità su cui ognuno avrebbe dovuto realizzare i propri progetti. Se il welfare state non fosse stato universalistico avrebbe creato invidie, giudizi e conflitto.
È così che Palme smonta un’altra grande credenza su presunti opposti. Mentre molte persone credono che la lotta a tutela dei più deboli debba significare anche una lotta contro chi è più benestante, Palme crede invece che bisogna evitare conflitti sociali, creando pari opportunità - con uno sguardo verso il basso - e pari tutele sociali - con uno sguardo verso l’alto (evitando la condanna di chi non vuole dare tutele economiche a persone ritenute come meno valide o produttive).
Ora, per arrivare a parlare del terzo personaggio su cui si centra la giornata di oggi - Thomas Sankara - vorrei sottolineare come se è vero che il viaggio negli Stati Uniti è stato particolarmente importante per la scesa in politica di Palme, c’è un altro viaggio che ne ha determinato lo sviluppo del pensiero e degli strumenti analitici- un viaggio in Asia.
Durante il viaggio in Asia del 1953, Palme si accorge degli effetti mortiferi del colonialismo, scoprendo una povertà per lui fino a quel momento inimmaginabile; una povertà che perdurava nonostante il colonialismo - per esempio in India - fosse ufficialmente finito (1947).
Ma il controllo su una nazione si può esercitare in molti modi e la denuncia di come si possono controllare politici, nazioni e popolazioni tramite strumenti economici è ciò che è costato la vita a Sankara.
Sankara metteva anch’egli l’accento sul rapporto tra libertà e giustizia sociale: “Un popolo che ha fame e sete non sarà mai un popolo libero!”.
Ma Sankara partiva da presupposti ideologici e da convinzioni politiche diverse rispetto a quelle di Palme o Rosselli e la sua azione politica fu volta a combattere sprechi, privilegi e ad aiutare principalmente la popolazione povera (certo la situazione in Alto Volta - poi Burkina Faso - era diversa da quella dell’Italia o della Svezia).
In particolare modo Sankara, fu anche la persona che denunciò il debito come strumento di controllo neocolonialista dei popoli. Sankara denunciò come fossero state persone occidentali che gestivano le economie africane a favorire l’indebitamento degli stati africani con il mondo occidentale; e come questi debiti, divenuti insolvibili dopo la seconda crisi petrolifera degli anni 70, divennero una fonte di controllo sull’Africa.
Il FMI e la Banca Mondale, che chiedevano ai paesi africani di liberalizzare, privatizzare, licenziare i dipendenti pubblici e togliere i dazi, favorivano di fatto la depredazione delle economie africane da parte di entità private, in cambio dei soldi per pagare il debito ("se tu metti in pratica le nostre ricette, noi ti diamo dei soldi per pagare il debito”).
Sankara, invece di piegarsi alle richieste di FMI e Banca Mondiale, denunciò chiaramente che pagare il debito non significava fare il bene del popolo, ma piuttosto significava diffondere schiavitù e morte tra di esso, e così ruppe un’altra falsa contrapposizione: la credenza che o si paga il debito facendo il bene del Paese, o si mettono in discussione gli indicatori economici facendo il male del Paese.
A volte, per fare il bene del popolo, bisogna mettere in discussione gli indicatori economici, e domandarsi se questi si traducono davvero nell’interesse del popolo, e sopratutto se le intenzioni di chi li propone come assoluti sono sincere.
E oggi il tema del debito è più attuale che mai.
Oggi, non possiamo non mettere in relazione il controllo esercitato sui paesi africani tramite il debito, e quello che sta succedendo in Europa.
Non possiamo non vedere come questa disunione europea matrigna, traditrice del sogno europeo, consideri gli indicatori economici come più importanti delle condizioni di vita materiale della popolazione.
Non possiamo rifiutarci di analizzare chi davvero tragga beneficio delle politiche sul debito e di indignarci davanti ad una commissione europea che ricatta la Grecia chiedendole di sbloccare il divieto di espropriazione sulla prima casa in cambio dei soldi di cui ha bisogno.
Sopratutto, non possiamo rifiutarci di analizzare quali sono le economie con il debito più alto e non discutere,
per lo meno,
se al debito non corrisponda anche una qualche forma di sviluppo;
e se il debito non sia necessariamente da considerarsi una perdita, ma piuttosto uno strumento per investire sulla collettività, con il potenziale di trasformarsi in ricchezza condivisa: infrastrutture, cultura, risorse… e benessere.
Insomma, questi tre giganti - Rosselli, Palma e Sankara - ci fanno vedere il bisogno di andare oltre narrative che tendono a dividere la collettività piuttosto che unirla nel perseguimento di obbiettivi comuni.
Ci sono narrative che sistematicamente propongono incongruenze e trappole. Negli ultimi anni per esempio dobbiamo notare l’incongruenza della narrativa di una sedicente sinistra che sostiene di voler tutelare i deboli ma ha costantemente favorito i fortissimi e i pochissimi.
Non c’è stato nulla di più ferocemente conservatore e classista delle politiche economiche portate avanti dalla sedicente sinistra occidentale:
Dal Primo Ministro Blair che nel 1997 leva la sovranità monetaria al popolo britannico creando la commissione dei 9,
passando per il Presidente Clinton che nel 1999 cancella il Glass-Steagal act, fino all’Italiano Massimino D’Alema che si vanta dei tagli e della riduzione della spesa pubblica.
Non c’è in occidente una forza politica coerente che proponga un programma politico coerentemente progressista e social-liberale sotto un punto di vista sia economico, che sociale e civile.
Ecco perché - mentre è giusto che il Movimento Roosevelt continui ad essere una “fucina ideologica” (come direbbe Palme) ritengo che sia venuto il momento di organizzare una proposta politica social-liberale coerente.
Una forza politica che metta insieme giustizia sociale e libertà individuali, per creare con equanimità garanzie per i più e meno abbienti, e per usare l’economia come strumento per creare benessere per la collettività, invece che come strumento di controllo.
Invito tutti coloro che cercano una proposta politica con questi obiettivi ad informarsi sul Partito che Serve all’Italia, perché troveranno lì qualcosa di nuovo e capace di scardinare le narrative strumentali al controllo della collettività.
Grazie,
Marco Moiso
Video dell'intervento