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Finalmente, una brillante ed equlibrata  analisi ad opera di Emilio Ciardiello, del Dipartimento Geopolitica & Difesa, che rende giustizia a certe forzature propagandistiche del mainstream e vede in maniera esemplare il nodo Russia anche dalla prospettiva del suo popolo. Dovrebbe diventare esempio di come certe delicate questioni internazionali dovrebbero essere esaminate.

 

 

Russia.

 

La Russia ha un’importanza geopolitica del tutto particolare trattandosi dello stato territorialmente più vasto al mondo, ricco di risorse naturali e minerarie, e seconda potenza nucleare del pianeta.

 

L’Italia non può non avere un chiaro quadro dei suoi interessi geostrategici ed economici nei confronti della Russia e non elaborare coerentemente una strategia da attuare, lì dove compatibile con le attuali alleanze geopolitiche e militari e con gli organismi sovranazionali a cui l’Italia partecipa.

La caduta del comunismo e lo smantellamento dell’Urss ha aperto alla fine del secolo scorso per tutti i paesi europei possibilità di scambio commerciale con la nuova Federazione Russa. Queste potenzialità commerciali, facilitate dalla sostanziale continuità territoriale, costituiscono un interesse strategico per i vari paesi europei, assetati da un lato di energia da idrocarburi fossili, e affamati dall’altro di mercati di sbocco per la propria industria manifatturiera.

 

Dal punto di vista energetico si configura un interesse nazionale all’approvvigionamento di gas e petrolio dalla Russia. La Federazione è inoltre ricca di molte materie prime ed è un interessante mercato di sbocco per molti prodotti del made in Italy.

 

Mentre sul piano della vita democratica si raffigurano sostanziali differenze nel rapporto autorità-cittadini rispetto alle tradizionali democrazie europee, sotto il profilo culturale e scientifico il contributo della Russia a livello internazionale ed europeo tenderebbe a configurarla come una componente dell’Occidente. I contributi dati nel corso del tempo dalla Russia, prima zarista e poi sovietica, nelle arti e nelle scienze è parte integrante della cultura e del sapere Occidentale. Lo stesso comunismo che in Russia trova attuazione reale nel marxismo-leninismo staliniano è una delle ideologie nate e sviluppatesi in ambito europeo prima ancora che internazionale.

 

Il suo peso in termini militari e soprattutto territoriali rende necessariamente la Russia un qualcosa a se stante, essendo inimmaginabile una partecipazione ad un processo di integrazione europea. La caduta del comunismo e la disintegrazione dell’URSS avevano aperto comunque speranze di un dialogo crescente con gli USA e la nascente UE. Ma, al contrario, a partire dai primi anni del nuovo millennio, i rapporti tra gli USA e la Russia assumono in modo via via crescente un carattere conflittuale.

 

I rapporti finiscono per deteriorarsi drasticamente con Maidan, la destituzione del presidente ucraino e l’istaurazione in Ucraina di un regime filo atlantico e anti russo. La seguente reazione russa con l’annessione della Crimea, punto strategico di sbocco al mare per la Russia e base di parte della sua flotta, da inizio ad un regime sanzionatorio verso la Russia da parte degli USA e della UE.  

 

 

La politica sanzionatoria contro la Russia, tesa ad isolarla e indebolirla economicamente, trova risposta in contro-sanzioni russe e determina cosi nuovamente una frattura in seno al territorio europeo. La contrapposizione con le forze dell’Alleanza Atlantica ricostituisce in Europa un fronte che la separa dalla Russia e rende più incerti e instabili i rapporti commerciali ed in generale le possibili forme di cooperazione tra le due aree.

 

Trovandoci nel mezzo di uno scontro che avviene anche a livello di informazione, si vuole evitare di entrare nell’attuale lotta di propaganda e contro-propaganda in atto tra media occidentali mainstream, media russi (RT, Sputnik etc.) e siti diversi di informazione politica. Vanno fatte invece alcune considerazioni ed approfondimenti al fine di una maggiore conoscenza della Russia per quanto possibile obiettiva, focalizzando in particolare sugli ultimi decenni e sulla crisi in atto, e cercando di comprendere quale ruolo può avere la Repubblica Italiana nella soluzione della crisi e quale il suo interesse specifico nell’attuale controversia.

 

 

Certamente la Russia ancora oggi presenta aspetti della sua vita democratica e un rapporto tra autorità e cittadino diverso da quello che conosciamo in Europa. Molte di queste differenze sono radicate e sostanziali nella società civile e solo il tempo e le generazioni cresciute in un nuovo contesto possono mutare.

 

La Russia e la sua società sono rimaste invariate per secoli, e strutture feudali e rapporti di signoria sono durati molto a più a lungo che in altri paesi europei. Solo dopo un crescente peso politico dell’impero zarista sulla scacchiera internazionale ed una conseguente intensificazione degli scambi economici e culturali, nel XIX secolo la Russia si presenta interessata da una dinamica sociale in parte simile a quella presente nel resto d’Europa. Rimasta in gran parte estranea ai processi di cambiamento e innovazione conseguenti alla rivoluzione francese, è di fatto solo con l’industrializzazione portata avanti in epoca già sovietica che si compie una definitiva trasformazione di una società basata sul latifondo, agricola e contadina, in una società basata sul lavoro nelle fabbriche, industriale ed operaia.

 

È con la nascita dell’Unione Sovietica che per la prima volta ciascun individuo ha riconosciuti nei confronti delle autorità statali una serie di diritti e di doveri che lo definiscono come cittadino sovietico. Prima di allora i russi erano sudditi e tra le ragioni che resero possibile la rivoluzione del 1917 vi fu anche la ripetuta ostinazione degli zar di non accettare forme di rappresentanza parlamentare che dessero voce alle trasformazioni sociali in atto.

 

Può apparire non immediatamente evidente ma è proprio nella costruzione dell’Unione Sovietica, quella stessa che porta diretta alle purghe staliniane, che per la prima volta milioni di individui sul territorio russo acquisiscono una fisionomia ed una dignità più evoluta del precedente periodo zarista, sia sotto il profilo sostanziale che normativo. Sono gli anni in cui la costruzione dell’Unione Sovietica, l’industrializzazione e l’alfabetizzazione trasformano un suddito, che aveva visto abolire le servitù della gleba solo nel 1861, in un qualcosa di diverso, in un cittadino sovietico, con dei diritti individuali e sociali riconosciuti a livello formale e (in parte) sostanziale. E paradossale ma fu nella costruzione di una dittatura basata su un ampio uso di polizia segreta, di epurazioni e processi sommari per imporre un regime centralizzato liberticida ed autoritario, che pur veniva per la prima volta formandosi una figura di cittadino in qualche modo inteso in senso moderno.

 

Enfatizzo questo punto perché i cittadini che alla fine dell’Unione Sovietica divengono cittadini russi, non hanno mai esercitato la loro sovranità in senso democratico e liberale, non sono mai stati cittadini né di uno stato liberale ottocentesco né della sua successiva trasformazione in senso democratico. La grande distanza tra “ideale” e “reale” propria del regime sovietico ha prodotto disillusione e diffidenza nel cittadino russo verso l’autorità politica che sopravvivono tuttora oggi, e che coesistono ed interagiscono con l’orgoglio proprio della mentalità russa, che è un tratto più culturale che politico.  

 

Con la caduta dell’URSS e la nascita della Federazione Russa viene ad aprirsi una nuova fase della storia della Russia e del suo popolo. La Russia di oggi ha una forma simile alle democrazie consolidate con una costituzione federale e con libere elezioni periodiche a tutti i livelli dell’amministrazione territoriale. Ad un iniziale sviluppo, immediatamente successivo alla caduta dell’Urss, multipartitico e multi-ideologico della scena politica, nel corso del tempo si è configurata un’ampia maggioranza di un partito di governo e un’opposizione a livello federale dominata in termini percentuali da ciò che resta del vecchio PCUS. Formazioni neo liberiste e altre formazioni hanno perso gradualmente il loro appeal e oggi non riescono che ad aggregare pochi punti percentuali dell’elettorato.

 

La Russia è oggi associata nell’immaginario collettivo al suo presidente, Putin. Molte cose dell’operato di Putin lasciano un cittadino democratico perplesso. Basti pensare alle forzature costituzionali per garantirsi la terza e quarta candidatura a presidente. La Russia di Putin è però indiscutibilmente una Russia che reagisce al disfacimento economico e sociale degli anni novanta e si riafferma potenza che vuole avere un suo ruolo sulla scena internazionale.

 

Il considerare la Russia di oggi come un monolite dipendente da un uomo forte è però una forzatura, una visione lontana da una realtà dominata si da un forte centralismo, con ampi poteri presidenziali, ma anche da un bilanciamento in altre cariche ed enti governativi sia a livello federale che statale. Lo stesso partito Russia Unita non si presenta monolitico ma articolato al suo interno da differenti orientamenti e correnti.

La Russia non è un esempio di democrazia attuata o ancor meno un modello da seguire, ma trattandosi di uno stato esteso quasi quanto un continente, con una società multietnica e multi confessionale, si è di fronte ad un sistema articolato e complesso, dove il potere attuale è espressione ben radicata nelle sue componenti militari ed economico-produttive.

 

L’attuale presidente riveste certamente un ruolo centrale anche per caratteristiche e qualità personali, ma ancor prima è espressione di una sorta di stato profondo che trova in lui l’attuazione di una politica di sviluppo e di affermazione della Federazione Russa a livello internazionale.

 

Gli anni novanta con la fine dell’Unione Sovietica aprono la prospettava di un sistema basato sui prìncipi occidentali e la costruzione di una democrazia, ma le misure neo liberiste comportano lo sgretolarsi dell’apparato produttivo, il degradare della società, il crescere della corruzione ad ogni livello. L’era di Putin va intesa certamente come la reazione alle politiche seguite dai governi degli anni novanta.  

 

Il riaffermare come strategici alcuni settori dell’industria estrattiva e produttiva e riorganizzare il ruolo dello stato in questi settori sono scelte politiche tendenti a salvaguardare risorse economiche della Russia che invertono agli inizi del nuovo millennio la politica di apertura liberista senza controllo avutasi nell’era Eltzin, che finiva per favorire direttamente o indirettamente gruppi stranieri.

 

Il cambio di politica segnato in modo crescente dalla nuova presidenza si ritrova presto in collisione con le potenze occidentali. Già alla fine del primo decennio i rapporti tra gli USA e la Russia erano compromessi, mentre la presenza russa in Europa come fornitore di idrocarburi rischiava di consolidarsi in modo strutturale con la costruzione di nuovi gasdotti.

 

Il disaccordo tra le due potenze cresce progressivamente con l’avvicinarsi della linea di demarcazione della Nato ai confini della Federazione. La Russia denuncia l’espansione della Nato come una minaccia. Con il cambio di regime in Ucraina, una repubblica ex sovietica diviene un alleato occidentale e questo mette sotto scacco la Federazione Russa (la distanza tra Kiev e Mosca è di appena un’ora di volo), creando con le sue conseguenze le condizioni di un disaccordo di non facile soluzione. I russi non rinunceranno alla Crimea, il regime sanzionatorio è destinato a durare, i progetti di nuovi gasdotti tra Russia e paesi europei, cosi come molteplici progetti di joint venture in settori industriali sono stati bloccati o congelati.

 

Quello che però doveva essere un isolamento della Russia a livello internazionale e la precondizione di un cambio di linea nella politica russa, pur avendo inferto durissimi colpi all’economia, non ha prodotto l’effetto desiderato di indebolire fortemente l’attuale presidenza. Al contrario, sebbene in Russia vi sia una fascia della popolazione non allineata alle scelte governative, questa situazione ha dato modo al Presidente Russo di accrescere la sua popolarità fuori dalla Federazione Russa e consolidarsi all’interno. E soprattutto allontana la Russia dall’Europa e dall’Occidente e la spinge in un’alleanza con la Cina, vero antagonista degli USA e del blocco occidentale.

 

 

La gravità dal punto di vista russo della questione ucraina può essere meglio compresa ponendosi dal punto di vista di un russo. L’Ucraina, già territorio dell’impero zarista, era parte integrante dell’URSS, Kiev era la terza città dell’Unione Sovietica alla cui costruzione come repubblica sovietica l’Ucraina diede un notevole contributo. Il popolo ucraino era sentito da sempre come un popolo fratello, con un legame determinato anche dalla fitta rete di rapporti di parentela formatasi nel tempo. Dopo secoli di integrazione ed in particolare dopo gli anni ad alta mobilità tra territori dell’Unione Sovietica, in Ucraina vi sono molti russi di cittadinanza ucraina.

 

A questo si aggiunge che Kiev fu nell’alto medioevo la capitale del primo regno slavo noto come Kievskaya RUS e da cui origina l’attuale popolo russo. Dal punto di vista di un russo vi sono molteplici elementi per avvertire il cambio di regime di Kiev come un’azione provocatoria ai danni della Russia.

 

Le aspirazioni ucraine a una totale indipendenza dalla sfera d’influenza russa sono certamente reali e degne di merito. Si tratta di un territorio cui la storia moderna ha negato la possibilità di essere uno stato autonomo. Negli ultimi secoli il territorio ucraino ha fatto parte di formazioni territoriali facenti capo ai polacchi e poi ai russi fino alla creazione dell’URSS. La presenza di una popolazione di diverse appartenenze etniche e confessioni religiose vorrebbe che una democrazia ucraina nascesse nel pieno rispetto di tutte le diverse minoranze e diversità. Dopo trecento anni di legami con la Russia, la separazione della nuova Ucraina post-Maidan appare per molti aspetti innaturale e ostile.

 

 

 

Focalizzando sull’interesse specifico dell’Italia e su cosa può apportare la Repubblica Italiana nella crisi Usa-Russia, sotto il profilo energetico, l’attuale situazione rende la Russia un partner meno possibile che nei decenni passati per sviluppare rapporti più integrati di approvvigionamento energetico ed altre collaborazioni. Ciò non ostante rimane pur sempre un fornitore fondamentale per il nostro paese che necessita comunque di una molteplicità di fonti energetiche onde ridurre i rischi derivanti sul fronte medio orientale e nord africano.

 

Per quanto riguarda il nostro export verso la Russia, le sanzioni direttamente ed indirettamente riducono la possibilità di esportazione dei nostri prodotti verso questo mercato. Nei settori direttamente oggetto delle contro sanzioni russe il nostro export ha segnato gravi perdite come nel comparto agro alimentare che non potranno essere recuperate facilmente nel futuro. Le contro sanzioni hanno creato condizioni di sviluppo di un industria leggera russa prima assente. Un esempio paradigmatico sono i formaggi. A seguito del regime sanzionatorio sono nati in poco tempo produzioni locali di formaggi – per lo più imitazioni di formaggi europei - mentre molte multinazionali hanno dovuto scegliere di produrre in loco. In definitiva le sanzioni creano un clima non proficuo né per il nostro export né per altre iniziative economiche.

 

L’Italia è tenuta comunque a rimanere ferma sulle posizioni assunte insieme ai partners europei e gli alleati della Nato. Semmai può adoperarsi per mantenere aperto il dialogo tra le due potenze militari cercando di mediare nei momenti di maggior tensione. Con un Unione Europea totalmente incapace di esprimere posizioni autonome e realmente univoche sarebbe difficile immaginare che l’Italia da sola possa prendere decisioni contrastanti l’interesse dell’alleato americano per quanto riguarda le sanzioni economiche. Nell’improbabilità di un cambiamento sostanziale dell’attuale crisi in atto nei prossimi mesi, la strategicità della Russia nei futuri assetti, quali che essi saranno, deve spingere a mantenere il dialogo aperto su più livelli in attesa e in preparazione di scenari futuri.

 

Volendo guardare a distanza di qualche anno gli effetti delle sanzioni economiche in Russia, sebbene non vi sia stato un collasso economico, l’economia russa ha subito pesantemente gli effetti delle sanzioni, con una caduta sostanziale del PIL nel 2015-2016. Il cambio del rublo si è svalutato con l’euro ed il dollaro di oltre l’80%. Gli investimenti anti disoccupazione e infrastrutturali, gli accordi con la Cina ed altre economie nonché lo sviluppo di produzioni locali nei settori contro sanzionati hanno consentito di stabilizzare la situazione, ma la ripresa rimane modesta. I punti di debolezza dell’economia russa rimangono invariati, in particolare l’eccessiva dipendenza dal settore energetico e delle materie prime. Continua a mancare un’industria di trasformazione manifatturiera anche in presenza di un processo di delocalizzazione di gruppi stranieri in Russia per servire il mercato locale.

 

La grande dipendenza dal petrolio e dal gas rende l’economia russa vulnerabile alle oscillazione dei prezzi, con ripercussioni su tutti i settori della società. Dal 2014 in poi il PIL russo dopo una scivolata iniziale sembra galleggiare in stagnazione, con previsioni di crescita annua realistiche non superiori all’1,5%-2% per il 2019-2020. L’inflazione continua ad erodere il potere di acquisto delle classi meno ambienti e dei pensionati. Nel 2018 l’età pensionabile è stata aumentata e quest’anno è previsto un incremento dell’IVA. Tutti segni di criticità sul fronte del budget federale impegnato a recuperare entrate e ridurre le spese, sebbene la Russia abbia un indebitamento pubblico molto basso (circa il 12% del PIL).

 

Quello che non è chiaro è come la Russia riuscirà a crescere economicamente uscendo definitivamente dalle difficoltà prodotte dalla crisi con gli USA. L’alleanza con la Cina e le altre iniziative politiche intraprese negli ultimi anni garantiscono alla Russia di non crollare implodendo ma non sembrano ad oggi rappresentare la possibilità di uno sviluppo economico più sostenuto e meno dipendente dal comparto energetico e minerario.

 

 

Altro tema importante in questo simposio sono i diritti umani, e in particolari quelli civili. Anche in questo caso il grado di propaganda in atto rende più difficile capire gli ambiti in cui la Russia presenta ancora distanze sostanziali rispetto alle democrazie occidentali. Affrontare ampliamente questo tema richiederebbe un esame dettagliato e documentato che non è questa la sede di svolgere. Se però ad esempio si prende in considerazione la liberta di stampa e di espressione, contrariamente a quanto spesso riportato, pure in presenza di testate giornalistiche e radio televisive decisamente pro governative, voci critiche e non allineate alle scelte di politica estera vi sono e esercitano il loro influsso sulla popolazione. Specialmente nelle grandi città strati della popolazione vorrebbero la Russia più simile agli altri paesi europei e non condividono le scelte di politica internazionale del governo.

 

In generale elites intellettuali e porzioni della società civile sono ormai mature per un cambiamento in senso più democratico come il riconoscimento dei diritti civili alle minoranze, per una sempre maggiore democratizzazione del sistema, per un diverso rapporto stato-cittadino. Queste forze non riescono però a trovare oggi una piena rappresentazione politica. Quello che manca nella scena politica russa è una forza di centro-sinistra che rivendichi una maggiore democratizzazione effettiva in tutti gli ambienti della vita sociale e politica del paese. Russia Unita e Putin costituiscono una visione comunque di centro-destra, che incarna la tradizione ortodossa sul piano religioso-culturale e gli interessi dei grandi gruppi economici pubblici e privati in campo economico.  

 

Gli ultimi decenni hanno visto uno sviluppo economico anche sostenuto che ha però progressivamente ridotto la mobilità sociale e distribuito le risorse in modo del tutto non uniforme, creando un grande divario tra ceti benestanti e non ambienti. La disparità sociale e le effettive possibilità di mobilità costituiranno il vero elemento critico del consenso interno a Putin e ad un eventuale successore che mantenga invariati lo schema socio-economico e di re-distribuzione attuali. Una formazione politica, che facendo leva sul malcontento di molti ceti e fasce sociali, promuova un diverso modello economico, di stampo più spiccatamente keynesiano con investimenti ed interventi pubblici rivolti a consentire una minore disparità ed un maggiore equilibrio sociale, e che si prefigga un ammodernamento completo del welfare e la piena difesa dei diritti sociali e civili potrebbe produrre uno scenario politico del tutto diverso. Lo sviluppo economico e sociale avutosi negli anni passati ha creato una maggiore consapevolezza in molti strati della popolazione.

 

La mancanza di una formazione di opposizione effettivamente alternativa è il risultato di una pluralità di fattori. L’incapacità delle opposizioni stesse a esprimere una proposta concretamente alternativa. L’attuale amministrazione ha neutralizzato le formazioni nazionalistiche e quelle liberiste formatesi negli anni novanta. Il Partito Comunista ancora a distanza di trent’anni dalla fine dell’Unione Sovietica rimane arroccato in una sorta di letargo ideologico, mentre nessuna nuova formazione di ispirazioni liberal-socialiste e socialdemocratiche che si è costituita è tale da poter assumere il ruolo di nuova sinistra. La caduta del comunismo, in Russia più che altrove, sembra non lasciare spazio a forme più moderate di socialismo e di sinistra moderna.  

Nella società si avverte l’ambizione di strati della società civile per una piena partecipazione russa all’Occidente, senza però che si accompagni una più approfondita analisi delle dinamiche stesse interne oggi all’Occidente. Molti di loro guardano, ad esempio, al welfare di molti stati europei ma non sembrano accorgersi di come quel welfare sia minacciato nella stessa Europa da una visione unicamente neo-liberista.

 

 

Un ultimo aspetto da analizzare è l’alleanza Russia-Cina. Se, infatti, il vero antagonista dell’Occidente, qui inteso non solo come potenza economico-finanziaria o militare, ma come modello di sviluppo culturale e civile della società umana, è la Cina, allora vi è da chiedersi che effetti può avere quest’alleanza nell’antagonismo Occidente-Cina.

 

Culturalmente la Cina non è più vicina ad un russo di quanto non lo sia a un italiano o a un francese. Sono mondi diversi e lontani che neanche nell’ideologia marxista riuscirono a convivere. Quanto può essere duratura un’alleanza tra paesi che si ritrovano uniti essenzialmente in funzione anti USA? Quanto l’interesse comune di contrastare l’egemonia USA riuscirà a prevalere sulla necessaria volontà dei russi di non soccombere (numericamente) come civiltà? Una Cina con un esercito rinnovato e un arsenale nucleare accresciuto è davvero auspicabile per la Russia? E se il gigante Cinese un domani non si accontentasse più di un’alleanza ma volesse un controllo diretto dei territori oggi russi? Quanto può essere davvero gradito a Mosca che comunità di cinesi si formino sul vasto e scarsamente popolato territorio russo e che si vengano a formare nel tempo folti gruppi di cinesi nati e cresciuti in Russia?    

 

 

La rivalità USA-Russia cui si assiste è in parte anche rappresentazione di due visioni di egemonia e di gestione della cosa mondiale, estreme e contrapposte. La prima vuole un mondo mono polare, governato dagli USA, che dia continuità all’egemonia fin qui avuta, e una seconda che vorrebbe un mondo multi polare, che includa anche la Russia, la Cina e gli altri paesi emergenti. La disputa che si prepara definirà il mondo di domani e porrà tutti, nessuno escluso, di fronte a enormi responsabilità. La lotta e la competizione egemonica rischiano di impedire un’autentica cooperazione e complementarietà tra i popoli, e di inibire il perseguimento dello sviluppo umano, pienamente inteso, quale unico e pressante obiettivo di tutti i popoli della terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

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