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Il cortileSono nato dopo la proclamazione della Repubblica italiana, 2 giugno 1946, e prima dell’entrata in vigore della Carta costituzionale repubblicana, 1 gennaio 1948. Poi la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall' Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.

Quale miglior periodo? Sono nato in una Repubblica Democratica, cosa avrei potuto volere di più? Ora, a parte il fatto che di tale contesto non ho alcun merito; come suole dire una persona a me diventata cara, non è che mi ha portato la cicogna! Ho una famiglia con la sua storia, le sue sofferenze e mi pregio di dire anche con i suoi meriti. E a proposito dello Stato Democratico del dopoguerra, e al miglior periodo, direi: “Beh! proprio tutto vero, vero, poi non è!”. Vediamo un po’ perché. Intanto, a quel tempo l’assegnazione delle case avveniva con criteri discriminanti. Si faceva molta attenzione nel dividere gli impiegati dello stato da quelli del comune, e a debita distanza c’erano gli “sfollati” spesso costretti alla coabitazione. Nel 1946 ci fu il suffragio femminile anche in Italia, ma il numero degli analfabeti era mostruoso: hai voglia a poter votare se non sai leggere nemmeno la scheda elettorale! Così non ci si può meravigliare se per oltre quarant’anni un paese viene governato dallo stesso partito. Certo, le motivazioni di tale situazione furono in parte di natura internazionale. Ciò non toglie che si può mantenere qualche dubbio nel definire l’Italia di allora uno stato democratico. Ricordo che non era affatto semplice parlare di RESISTENZA, come non era semplice parlare di PARTIGIANI. Personalmente, però, sono stato fortunato nel poter andare a scuola, mentre molti dei miei compagni non avevano questa possibilità. Passarono gli anni, e tra un attentato, una strage, e un colpo di stato non riuscito, crescevano sempre più le sensibilità popolari e le iniziative di piazza; purtroppo però alcune lotte furono portate agli estremi, distruggendo ciò che il popolo tentava di cogliere!

Tornando agli “sfollati”, di cui ovviamente facevo parte, ricordo il cortile: era diserbato e ci sono cresciuti centinaia di bambini. Era il loro unico sfogo per non crescere stipati negli appartamenti! Ma quei luoghi non hanno rappresentato per me solo questo; hanno un malinconico fascino di cui ancora sento il “profumo”. In quel cortile sono cresciuto anch’io, e oggi nel “rumore del silenzio” ripensando a quei tempi, se fossi un poeta direi: odo schiamazzi di bimbi festosi, odo le loro mamme che al calar della sera, come sirene emettevano il suono del dolce richiamo. Sfortunatamente non lo sono e tuttavia mi sembra ancora di udire voci di bambini giocosi e le mamme che quasi a turno si affacciavano alle finestre o ai balconi chiamando e richiamando ora questo ora quello … fino a quando il cortile iniziava a svuotarsi e i pochi rimasti – solo perché le finestre delle loro case non si affacciavano sul cortile – , sconsolati prendevano la via del ritorno a casa dove non di rado venivano regolarmente sgridati per essere rientrati tardi. Quel cortile aveva un’altra particolarità: vi si accedeva attraverso un cancello sui cui si arrampicavano i più piccoli, che lo usavano come una giostra, anche se ruotava di poco più di novanta gradi.

Ma il tempo è inesorabile! Passa! Si cresce e si pensa di poter far qualcosa e presto ci si rende conto della propria impotenza, e che se la vita ti ha riservato un posto te lo devi guadagnare. E allora cerchi la giustizia: ma …



  ‘Ndo’ la cerchi la giustizia forse sopra la montagna

de parole, della gente che se lagna?

O nel fine dicitore c’assumendo in se l’aspetto

  “programmatico sociale”! Riferisce con sospetto

… è er politico che magna.

‘Ndo’ la cerchi la Giustizia? Forse nelle lamentele, der vecchietto de borgata

o in quer tipo de collega che ti mostra con piacere

il suo abile sapere.

‘Ndo’ la cerchi la Giustizia? Ner sapere della scienza, ner filosofo ngiallito

anche ‘mpo’ rincojonito

che se magna la “speranza” e propina l’ideali

come fossero ‘spirine che guariscono li mali.

                         Ndo’ la cerca la Giustizia? Forse in quella disgraziata

       che alla vita nun è grata

                               perché soffre poveretta: tra malanni strilli e botte

                                  nun sopporta più nissuno, nell’inganni della “notte”

‘Ndo’ la cerchi la Giustizia? Forse ne li condottieri dei paesi più potenti

che co’ accordi impicci e mbrogli mo te mostrano li denti

mo però te fanno crede  

dell’accordo per la pace,

riducendo le pretese

aumentando poi l’incontri, programmando a gruppi o a mazzi

le riunioni pe sti … popoli poracci

che se scannano tra loro col sospetto l’odio e forse la speranza che domani

se le cose so nvertite

e magari noi più umani    

con le cose più riuscite

chissà er monno cambia verso

forse er poi diventa adesso.

Ma ‘ndo’ cerchi la giustizia? Nder potere der potente?

No, magari tu la cerchi nel potere della gente

che presume di sapere,

che ritiene di cambiare  

attraverso er movimento delle folle o della massa

che sonanno la grancassa:

tra l’aspetto sbigottito de nfijolo ‘mpò sbiadito e lo scemo de paese

che lo guarda ‘mpò mpaurito,

fa la festa ‘ngiorno all’anno pe potesse riccontà che quer giorno di quell’anno

… le bandiere sventolate …

li striscioni e le cantate …

te ricordi c’ero anch’io,

si d’accordo fijo mio tutto questo l’ho capito,

“ma però” cos’è cambiato?

Si vabbè, ma mo che c’entra

nun è questo quel che conta!

  … nun capisci! La presenza

l’opinione … la coscienza …

Perché ancor cerchi, fijo mio quel che, già t’ha dato DIO. Perché cerchi tra la gente,

più spinosa e più contorta senza poi capirci niente,

  e nun apri quella porta rinunciando alla pretesa

de comprenne quella “cosa”.

Apri er core alla speranza

  Tu sei vivo nun lo vedi? Nun t’accorgi ch’er fratello rosso, nero, bianco o giallo

nun aspetta altro che quello,

ch’er sorriso tuo l’incontri

che Giustizia più nun conti

oltre che per valutare

  le distanze dell’amore

  oltre che per dire a DIO

  sto concetto è solo TUO


E allora anche la prospettiva cambia … “Quando José Ortega y Gasset, nel 1930, pubblicò La ribellione delle masse, non poteva prevedere il tempo in cui sarebbe stato più appropriato parlare di «ribellione delle élite» […]. Ortega attribuiva la crisi della cultura occidentale al «dominio politico delle masse». Ma oggi sono le élite – i gruppi che controllano il flusso internazionale del denaro e dell’informazione, che dirigono le fondazioni filantropiche e le istituzioni di studi superiori, che controllano gli strumenti della produzione culturale e definiscono quindi i termini del dibattito pubblico – ad aver perso la fede nei valori dell’Occidente[…]“ (cfr. in G.Magaldi, MASSONI…, Chiarelettere, Novembre 2014, p.479).

Ortega non poteva rendersi conto del futuro mutamento di prospettiva, io invece il cambiamento l’ho vissuto, ma non avevo né strumenti né mezzi per orientarmi adeguatamente. Sono sempre stato contro la globalizzazione, senza essere un no global, mai un “incappucciato”, né un violento. Pure, mi rendevo conto che il processo di avvicinamento al cosiddetto villaggio globale aveva superato la linea del non ritorno. Mi infastidiva il concetto di deregulation, e mi infastidiva ancor più il fatto che tale termine venisse usato troppo spesso e a sproposito. Supponevo tuttavia che il villaggio globale, unitamente alla evoluzione tecnologica, prevedesse un’informazione tempestiva e dunque non manipolata, ma quali sono stati in realtà i messaggi veicolati? C’erano notizie quasi in tempo reale su terremoti, nubifragi, morte naturale di personaggi celebri, morte per overdose, omicidi, incidenti stradali ecc… e iniziò anche la “scandalosa” visione della morte in diretta, come nel caso del piccolo Alfredo ghermito dal pozzo di Vermicino, sotto gli occhi increduli e atterriti di chi era testimone dell’impotenza umana. Ancora oggi è in atto uno squallido dibattito tra chi sostiene l’imprescindibile obbligo di informare e chi ribatte che l’informazione non è spettacolarizzazione.

Più o meno la stessa cosa sarebbe accaduta con le più importanti vicende internazionali: nel dicembre del ’79 ha inizio la guerra tra Unione Sovietica e Afganistan che dura fino agli inizi dell’89; nel 1990/91 c’è la prima guerra del Golfo; dal 1991 al 1995 ci sono le guerre Jugoslave; nel 2001 c’è quella USA in Afganistan; nel 2003 inizia e finisce nel giro di un mese la seconda guerra del Golfo e nel 2004, secondo alcuni storici, si costituì il terreno di coltura del terrorismo di matrice islamica (ISIS). Il che non significa naturalmente che l’Islam sia sinonimo di terrorismo! Durante questo periodo che ruolo ebbe il military-industrial complex? Quale fu l’informazione in tempo reale? Dove erano, cosa dicevano e perché lo dicevano quei sedicenti informatori che sostenevano l’imprescindibile obbligo di informare? In effetti la domanda è pleonastica e contiene in se la risposta, ovvero erano quasi sempre lì ad esprimere opinioni interessate e di altri...

Insomma, dal cortile al villaggio globale le cose non sono poi cambiate molto. Non sono mai stato iscritto a un partito politico, pur avendo le mie idee politiche sin dai tempi del cortile, ma oggi faccio orgogliosamente parte del Movimento Roosevelt e non posso non riconoscere a Gioele Magaldi di aver individuato obiettivi e strumenti per ricercare la giustizia e rendere effettivi i diritti umani, quasi sempre disattesi da una democrazia troppo spesso mistificata dai tecnocrati. Allora “ragazzi”, DIAMOCI DA FARE!

(articolo del 11 settembre 2015)

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