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Oggi, 8 marzo, Festa delle donne, oltre a snocciolare come ogni anno i dati della disuguaglianza di opportunità che continua ancora a colpire le donne, specie al Sud, penso sia utile cominciare ad escogitare soluzioni nuove e creative alla persistente difficoltà delle donne ad essere presenti a pari condizioni nel mondo del lavoro, nella politica e ai vertici di aziende e istituzioni economiche. Un articolo recente del New York Times osserva che le donne italiane sono in grado di condizionare il voto politico, ma si sentono invisibili nella società. La politica, infatti, ignora i loro bisogni.
 
L’Italia è al secondo posto dopo la Grecia per il minor tasso di occupazione femminile nell’Unione Europea, secondo l’Eurostat. Una donna italiana su quattro non riprende a lavorare dopo il parto. Quelle che continuano a lavorare, spesso guadagnano oltre il 35% in meno, stando ai dati INPS, soprattutto perché le madri devono ridurre le ore di lavoro per mancanza di supporto nelle cure parentali ai figli.
Dopo la Grecia, l’Italia ha il più basso numero di donne che lavorano nell’UE. In Germania, il 75% delle madri con due figli lavorano. In Italia, la percentuale è del 54%. Nonostante ciò, i principali partiti alle ultime elezioni hanno a malapena sfiorato questi temi, e hanno invece diffuso paura per l’immigrazione e la sicurezza.

Un altro articolo, pubblicato su Il Corriere, fornisce ulteriori dettagli:

Secondo dati Istat, dal 1977 a oggi il tasso di occupazione [femminile] è passato dal 33,5 al 48,1 per cento (gli uomini sono al 67,5 per cento), un livello lontano dal 61,6 per cento della media dei 28 Paesi europei e ancor di più dai record di Svezia (74,6 per cento), Norvegia (71,9 per cento) e Germania (71 per cento).


Dal 2016, la situazione si sta aggravando di anno in anno. L’Italia perde posizioni a livello mondiale. Secondo il World Economic Forum, nella classifica sulla differenze di genere, su 144 Paesi siamo scivolati in 82esima posizione, dalla 50esima del 2016 e dalla 41esima del 2015.

Se e quando lavorano, le donne sono svantaggiate. Hanno più spesso contratti a termine in essere da almeno cinque anni (19,6 per cento rispetto al 17,7 per cento gli uomini), una busta paga più bassa e un livello di istruzione più alto di quello maggiormente richiesto per il lavoro svolto (25,7 per cento in confronto a 22,4 per cento gli uomini). E soprattutto è quasi tripla rispetto a quella degli uomini (rispettivamente 19,1 e 6,5 per cento) la quota di occupate in part time involontario.

Spesso sono costrette a dimettersi dopo la maternità o ad accettare un demansionamento.

Il 78 per cento delle donne che ha rassegnato le dimissioni nel 2016 sono madri e il 40 per cento del totale delle domande ha avuto, come motivazione, l’impossibilità di conciliare il lavoro e la famiglia. In base a un rapporto dell’Ispettorato del lavoro nel 2016 sulle 29.879 donne che si sono licenziate, 24.618 hanno addotto motivazioni legate alla difficoltà di conciliare la vita privata con il lavoro.

[...]  alla voce «istruzione» la situazione si ribalta: nel nostro Paese le donne sono mediamente più istruite degli uomini. Se la quota di 30-34enni con un titolo di studio terziario è pari al 26,2 per cento, le donne sono al 32,5%, gli uomini al 19,9 per cento (dati Istat). «E il gap delle ragazze laureate in discipline tecnico-scientifiche tradizionalmente usato come indicatore dell’influenza di stereotipi di genere – ha osservato il presidente dell’Istat Giorgio Alleva - in Italia è più basso che in molti Paesi d’Europa».


Quali le soluzioni?
Prima di tutto, nel mondo del lavoro occorre agire sui servizi all’infanzia, ora inadeguati, investendo sulla loro diffusione, sugli incentivi fiscali alle aziende che hanno dipendenti in maternità, sui congedi parentali ai padri, sulla vigilanza rispetto ai part-time involontari e ai demansionamenti che molte aziende mettono in atto quando le dipendenti ritornano da una maternità, quasi fosse una grave mancanza da punire. Occorre inoltre promuovere la flessibilità degli orari di lavoro per i genitori con figli piccoli. Le donne nel mondo del lavoro sono una risorsa per tutti e la loro presenza va tutelata, offrendo la possibilità di conciliare lavoro e famiglia, senza penalizzazioni sullo stipendio e sulla pensione.

La penalizzazione delle donne istruite rispetto agli uomini richiede invece un cambiamento culturale, che il Italia sembra difficile da realizzare in tempi brevi. Anche qui, però, la legge potrebbe opportunamente intervenire a ristabilire l’equilibrio. L’esperienza insegna che, senza interventi legislativi, la parità non si realizza spontaneamente.

Su questo argomento il Dipartimento Istruzione MR ha istituito un gruppo di lavoro su Facebook, Movimento Roosevelt - Gruppo donne e lavoro.

E in politica? In politica la soluzione potrebbe venire dall’estrazione a sorte dei parlamentari. Un articolo de Le Scienze spiega come l’estrazione a sorte di una quota dei parlamentari potrebbe migliorare l’efficienza degli organi rappresentativi e ridurre il peso di interessi costituiti. Come ho già messo in evidenza nel Documento Programmatico sulla Scuola, l’Italia è un Paese socialmente statico, caratterizzato dal predominio di un notabilato benestante saldamente al potere sopra una massa di cittadini sottoistruiti che ne subiscono le decisioni. Selezionare mediante estrazione a sorte fra cittadini disponibili a rivestire il ruolo di parlamentari una quota di uomini e donne commisurata alla effettiva proporzione fra i sessi avrebbe due vantaggi in un colpo solo: garantire un’equa rappresentanza femminile e ridurre il peso di lobbies e gruppi di potere consolidati, favorendo una maggiore partecipazione dei cittadini. Se poi venisse applicata questa procedura alla selezione dei commissari per i concorsi e alla selezione dei membri degli organismi di controllo, aumenterebbe di colpo anche la qualità delle scelte e si ridurrebbero i rischi di corruzione e di pratiche familiste.

Il gruppo del MR che lavora sulla Costituzione ha in effetti proposto un sistema bicamerale composto da un Senato elettivo e da un’Assemblea del Popolo estratta a sorte ed eleggibile una volta sola. In base al modello matematico presentato nell’articolo de Le Scienze, è possibile calcolare il numero ideale di parlamentari indipendenti dai partiti, estratti a sorte, che consenta di massimizzare l’efficienza del Parlamento, intesa come il prodotto del numero di leggi approvate per il vantaggio collettivo che ne deriva. In base al modello, in un sistema a due partiti il numero dei parlamentari indipendenti necessari per massimizzare l’efficienza del Parlamento cresce in funzione della percentuale relativa del partito di maggioranza rispetto al partito di minoranza, come illustrato nell'articolo. Nel modello teorico, si considera un’unica Camera e si suddividono i seggi in base alla regola aurea individuata. Invece della divisione in due Camere, una eletta e l’altra estratta a sorte, qui si ipotizza una quota di cittadini estratti a sorte entro una camera elettiva. Anche questa è una possibilità.

Insomma, attraverso procedure di selezione stocastiche si possono migliorare l’uguaglianza fra i sessi, la partecipazione dei cittadini alla politica, l’efficienza delle leggi, la loro utilità al bene comune, la qualità della rappresentanza e degli organismi di valutazione e di controllo. Credo che dovremmo approfondire l’argomento e avanzare proposte concrete, anche al di là dell’ambito parlamentare. In un Paese come l'Italia, dove la politica di tutto si occupa, tranne delle questioni fondamentali e della crescita economica, sociale e culturale dei cittadini, tocca ai cittadini riprendersi la propria parte di sovranità. La democrazia avrebbe tutto da guadagnarci.

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