Segue un intervista-articolo dal titolo “Bonino: bloccare la spesa per 5 anni, così il debito scenderà sotto il 110%” , pubblicato da “Il Sole 24 Ore”: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-31/bonino-bloccare-spesa-5-anni-cosi-debito-scendera-sotto-110percento--212456.shtml?uuid=AEyct6rD
Giorgio Santilli: «Parla «al cervello e non alla pancia» in una campagna elettorale di promesse che sono «un’offesa all’intelligenza degli italiani». Per Emma Bonino la posta in palio del voto è «la nostra credibilità per restare nel gruppo di testa della Ue». Bonino non ha paura di dire cose scomode: «Sotto il naso ci sta passando un patto franco-tedesco che armonizza diritti sociali e fiscali, creando le stesse condizioni per investire in Francia o in Germania». Sulla cura anti-debito: bisogna bloccare la spesa pubblica primaria nominale per 5 anni. Sul fisco: necessario tagliare le tasse sul lavoro, ma con coperture da Iva e, in misura minore, casa. Immigrazione: si deve coltivare «il giardino d’infanzia che abbiamo 300 chilometri sotto di noi mentre l’Europa è segnata dal declino demografico». Sulle prime misure da adottare: «Portare a compimento le leggi rimaste a metà, Ius culturae, legalizzazione della cannabis a fini terapeutici e la legge popolare “Ero straniero”».
Più Europa, onorevole Bonino: in che direzione? Vi piace un’Europa a più velocità? E che ruolo deve giocare l’Italia?
«Siamo federalisti: in principio meglio avanzare compatti. Apprezzo, ad esempio, che Jean-Claude Juncker ricordi che l’euro è la moneta cui tutti i membri dell’Ue devono aderire - a parte chi ha un opt-out, cioè Danimarca e Regno Unito. Però a est, oggi, parecchi frenano e qualcuno addirittura vorrebbe tornare indietro. E allora gli altri, se vogliono, devono poter andare avanti sulla strada dell’integrazione. E l’Italia deve stare in questa avanguardia. Attenzione, perché è questo che ci giochiamo in queste elezioni: la credibilità necessaria per stare nel gruppo di testa dell’Unione».
Che pensa della proposta di un ministro delle Finanze europeo? Gentiloni e Padoan dicono che non può essere un controllore di conti ma deve manovrare un bilancio comune e investimenti.
«Se il ministro delle Finanze europeo è al tempo stesso commissario agli affari economici e monetari, i conti degli Stati membri li deve controllare, perché questo è il ruolo che il Trattato dà alla Commissione. Per il resto, concordo pienamente con Padoan e Gentiloni: ci vuole un serio bilancio dell’Unione. Sono anni che propugno una federazione leggera, con un bilancio pari al 4-5% del Pil europeo che finanzi beni pubblici come la difesa, la diplomazia, il controllo delle frontiere, grandi programmi federali di ricerca scientifica – che non si limiti, quindi, a distribuire sussidi, come fa il magro bilancio (1% del Pil) odierno».
Si fida del Pd sulla Ue? Renzi prima ha detto di tornare a Maastricht con deficit al 3%, ora ha un atteggiamento più vicino al sentiero stretto di Padoan, in attesa di modificare le regole Ue.
«Se Renzi, o chiunque altro, si illude di modificare le regole Ue in senso lassista va a sbattere contro un muro. Se ad esempio si riuscisse a strappare minore attenzione al deficit, si avrebbe sicuramente in cambio maggiore attenzione al debito – e non mi pare che col debito stiamo messi meglio, anzi. Ma il punto fondamentale è che mettere in sicurezza i nostri conti, raggiungere subito il pareggio di bilancio, ridurre il debito è nel nostro interesse, al di là del giudizio della Commissione o dei partner».
Quali misure proponete per ridurre il debito? La legge Fornero va modificata?
«Per ridurre il debito proponiamo di congelare la spesa pubblica primaria in termini nominali al livello 2017 per tutta la durata della prossima legislatura. Così facendo il bilancio andrebbe in pareggio già nel 2019. Il debito pubblico scenderebbe tra 5 anni sotto il 110% del Pil, contro l’attuale 132. La prima cosa che fa una famiglia responsabile che si è troppo indebitata è, se non ridurre le proprie spese, perlomeno evitare di aumentarle ancora. E questo deve fare la famiglia Italia. La legge Fornero va lasciata così: un euro su tre di spesa pubblica va in pensioni e non si può rischiare di far saltare il banco. Se per avere la pensione qualche mese prima rischiamo di avere in mano carta straccia, meglio lasciar perdere».
Anche voi proponete una riforma dell’Irpef ma aumentando imposte indirette e sulla casa. Sembra una proposta con poche possibilità di passare.
«Cerchiamo di non parlare, appunto, alla pancia ma al cervello. Meglio alleggerire e semplificare il carico fiscale sul proprio lavoro piuttosto che quello sulla propria casa. Infatti nella nostra proposta il taglio di Irpef e Ires vale circa 50 miliardi, la reintroduzione dell’Imu 4,5. Il resto della copertura avverrebbe con l’abolizione dell’aliquota Iva intermedia del 10% e il taglio di diverse agevolazioni fiscali. La crociata contro le tasse sulla casa è demagogia pura. Alleggerire il carico fiscale diretto significa incentivare produzione e occupazione, e far respirare i ceti medi, la spina dorsale di qualunque società avanzata. Noi cerchiamo di proporre cose utili e ragionevoli e non ci scoraggiamo mai quanto alla prospettiva di farle passare - altrimenti io, Emma Bonino, non sarei radicale».
Rilanciate il tema della concorrenza. Ci dice tre titoli di misure concrete e prioritarie?
«Privatizzazione delle imprese pubbliche che operano in mercati concorrenziali. Messa a gara dei servizi pubblici locali, come il trasporto pubblico a Roma sul quale il 3 giugno ci sarà un referendum promosso da noi radicali. Messa a gara delle concessioni a privati del patrimonio pubblico secondo criteri trasparenti, in attuazione della direttiva servizi».
Avete incluso il piano Calenda-Bentivogli nel vostro programma. Perché? E perché siete gli unici ad averlo fatto?
«Perché non vogliamo nascondere agli elettori quanto sia difficile la strada dell’aumento dell’innovazione e della produttività per vincere la sfida della globalizzazione e dell’automazione. Occorre non essere all’ultimo posto negli investimenti industriali in ricerca, sviluppo e innovazione, innovare i modelli produttivi e organizzativi del lavoro, anticipare le future esigenze di competenze del mercato del lavoro e colmare il divario tra i mondi dell’istruzione e del lavoro, anche attraverso una proposta storica dei radicali, recepita dal Piano: la crescita ambiziosa e straordinaria dei “laureati” dagli Istituti tecnici superiori.»