Segue un articolo dal titolo “Sul conservatorismo”, pubblicato da “Goofynomics”: http://goofynomics.blogspot.com.mt/2018/01/sul-conservatorismo.html
Alberto Bagnai: «...ho passato lo scorso fine settimana a Napoli, a due passi dalla casa dove morì Giacomo Leopardi.
Ero in compagnia del mio violoncellista neoborbonico preferito.
Incidevamo, nel coro della chiesa di S. Agostino degli Scalzi (quella dove l'amico Ranieri cercò un prete per Leopardi morente), detta anche della Madonna della Verità (perché la edificò, dopo aver dimostrato la propria innocenza, un funzionario ingiustamente accusato di castacriccacoruzzzione), le sonate per violino di Emanuele Barbella.
Immersi in un tripudio di arte mariana, sotto le monumentali tele di Giacomo del Pò (che nonostante il nome non era padano).
Roba che in una grande capitale europea si sognano, e se ce l'hanno è perché l'hanno trafugata in una delle tante guerre coloniali precedenti a quella che stiamo vivendo, e che qui, a Napoli, si trova dietro l'altare di una chiesa che nessuno conosce, virtualmente chiusa ai turisti, aperta solo al culto di quattro o cinque anziane signore, sperse in una navata monumentale, dalla volta meravigliosamente ornata di stucchi.
E ogni metro quadro della navata e del coro è un dettaglio prezioso, una esempio di arte, o almeno di artigianato, di elevatissima qualità, una testimonianza del genio della nostra gente, un lascito di una storia secolare che neanche chi blatera di "turismo come petrolio dell'Italia", neanche chi ci vuole "popolo di bagnini e camerieri", sa valorizzare, semplicemente perché non è né può essere in sintonia spirituale con essa.
Cosa volete capisca di questa roba chi fa del liceo classico un oggetto di odio ideologico, perché "l'ha detto l'OCSE!" (quella stessa OCSE che ha smesso di pubblicare gli indicatori sulla flessibilità del mercato del lavoro appena è cominciato a emergere che eravamo più flessibili della Germania - e questo prima del jobs act!)?
Io bubbolavo dal freddo, seduto al clavicembalo, fermo e immobile (nessun rumore prima, nessun rumore dopo, le note giuste durante: grande concentrazione).
Ma sub tuum praesidium tutto andò bene, e terminammo di incidere in orario.
Con grande soddisfazione degli amici, e con la speranza, chissà, di avere una peer review favorevole al nostro lavoro.
Eseguito in un luogo in cui qualsiasi centimetro quadrato di pavimento era un'opera d'arte, il che, senz'altro, contribuiva ad ispirarci.Poi sono tornato a Roma...).
Circola su Internet questo commento di una gentile utente social…
Non so se sia vero, ma senz'altro è verosimile. Come qualcuno ha notato su Twitter, la filosofia politica che permea queste affermazioni è del tutto analoga all'allucinato delirio del simpatico giornalista tedesco il quale sosteneva che Francia e Italia cattive avevano complottato svalutando ai danni della Germania, quando l'evidenza dei dati mostra come dal dopoguerra in poi in effetti sia stata la Germania a rivalutare la propria valuta verso praticamente tutte le altre valute, con la sola eccezione di quella di un paradiso fiscale (il franco svizzero), e di quella di un paese costretto dagli Stati Uniti a rivalutare tramite una convincente moral suasion (il Giappone).
Certo, per capire questo bisogna intanto conoscere i dati, che di per sé parlano, e poi disintossicarsi dal ciarpame liberista che ci ha infettato, la cui cifra distintiva è il considerare la moneta come una merce il cui valore deriva dalla scarsità, anziché come una istituzione il cui valore deriva dai rapporti sociali. Nonostante quanto stiamo vedendo coi nostri occhi smentisca le analisi sempliciotte degli spaghetti-liberisti (andiamo gagliardamente verso i 3000 miliardi di euro immessi dalla Bce, e l'obiettivo del 2% di inflazione è ancora lontano), media e politici (a ricasco dei media) sono obnubilati da teorie ridicole e false, e si regolano di conseguenza. Il fatto che l'apprezzamento della valuta tedesca verso tutte le altre rifletta le peculiari istituzioni tedesche (fra cui la Mitbestimmung, cioè, sintetizzando brutalmente, il corrompere i sindacati perché facciano gli interessi dell'impresa) non gli passa nemmeno per la testa: eppure, i titoli dei giornali sono lì, e chiariscono che la valuta tedesca è forte perché il capitalismo tedesco non condivide con i lavoratori tedeschi i frutti di un successo ottenuto con una formula semplice ed efficace, il classico segreto di Pulcinella: pagare i lavoratori in modo meno che proporzionale alla loro produttività (la Mitbestimmung a questo serve), come qui chiarimmo tanto tempo addietro, e come oggi ammettono anche i migliori economisti tedeschi.
Quindi basta analizzare la realtà, le istituzioni prevalenti nei singoli paesi, gli andamenti dei dati, per capire che non è tutto il mondo a svalutare: è la Germania a guidare contromano, perché ha deciso di adottare un patto sociale che, finché tiene, le garantisce un vantaggio competitivo. Terrà a lungo? Chissà. In ogni caso, questo patto è equivalente a una svalutazione competitiva, e gli Stati Uniti mostrano insofferenza. Ma non torno qui su questo punto.
Torno invece al commento della cara Silvia (e come poteva chiamarsi la gentile commentatrice, in un post che inizia con un mesto ricordo leopardiano?). Le parole di Silvia ci rimembrano quelle attribuite a Bertold Brecht: "Il comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo". Se gli operai non votano PD, bisogna nominare un altro popolo della sinistra. Ma anche qui, forse, bisognerebbe fermarsi e fare una banale riflessione: nel fluire torrenziale del "progresso", chi guida contromano? Chi è il salmone nel torrente della storia? In altre parole, volendo dare alla "sinistrità" una connotazione positiva, chi è di destra: gli operai, o il PD?
Esattamente come nel caso della Germania e della sua peculiare gestione dei rapporti sociali, anche qui dovremmo andare ad analizzare la sostanza delle cose. Il PD è stato esecutore per conto terzi di un programma di riforme sociali pesantemente orientato contro gli interessi dei lavoratori, che ora finge di volersi rimangiare, ma rispetto al quale, come sappiamo, non può tornare indietro, semplicemente perché la logica dell'unione monetaria, chiarita da Rudiger Dornbusch (MIT) 21 anni or sono, glielo impedisce. In assenza di svalutazione esterna, alle recessioni mondiali bisogna rispondere con la svalutazione interna, cioè coi tagli dei salari, e affinché ciò avvenga rapidamente occorre mettere in ginocchio i lavoratori.
Questo approccio a me sembra di "destra" (per rifarci alle categorie un po' primitive della nostra nuova amica), e quindi, secondo me, è il PD a nuotare contromano nel torrente del progresso. Il salmone è lui, e, come i suoi congeneri, rischia di incontrare un orso, l'orso dei mercati, che alla prossima crisi farà del nostro simpatico amico d'acqua dolce un solo boccone, come tanti documentari ci hanno insegnato.
Le parole allucinate della nostra Silvia, molto lieta e poco pensosa, cui ovviamente auguro lunga vita, mi spingono a una riflessione più generale, che traggo dalla lettura de Le complexe d'Orphée di Jean-Claude Michéa, e che condivido rapidamente con voi, prima di andare, come ognuno di noi, incontro al mio destino. In un mondo in cui i rapporti di forza sono totalmente squilibrati a vantaggio di un capitalismo finanziario del quale tutti, a chiacchiere, riconoscono l'instabilità e l'irrazionalità (vi ricordo un critico particolarmente autorevole), in un sistema che in tutta evidenza fa dello sradicamento degli individui e della distruzione delle istituzioni (da quelle create nel secondo dopoguerra, come lo stato sociale, a quelle di tradizione più antica, come la famiglia) uno strumento di dominio delle masse, di rimozione della loro identità e quindi di una sia pur minima possibilità di autocoscienza e di tutela dei propri interessi, vendendoci questa nostra sconfitta come un elemento di progresso, in un mondo, in estrema sintesi, che moltiplica i diritti civili da barattarci in cambio dei nostri diritti sociali e politici, in nome di una ipocrita liturgia del "progresso", in questo mondo credo che esista un unico modo di schierarsi a difesa di quella che Orwell chiamava la common decency, e la nostra Costituzione chiama "un'esistenza libera e dignitosa": essere conservatore.
Anche qui, assistiamo a un film già visto. Come spiega Michéa, e come Marx sapeva, il "progresso" realizzato tramite le enclosures (naturalmente, in nome dell'aumento della produttività: un totem che veneriamo da sempre, a dimostrazione che di nuovo non c'è nulla), sradico, sottoproletarizzò, migliaia di inglesi, che privi della tradizionali fonti di sussistenza garantite loro dal retrivo diritto feudale affluirono verso i centri urbani, dove divennero, nel corso degli anni, la carne da macello della rivoluzione industriale. Ovviamente non sto difendendo il mondo feudale. Mi è chiaro il progresso che la rivoluzione industriale ha recato (se pure al costo di compromettere gli equilibri ecologici): siamo passati da un mondo in cui mangiare e vestirsi non erano cosa scontata (Carlo Cipolla lo descrive molto bene) a un mondo in cui questi e altri problemi, sia pure con enormi disparità geografiche, sono risolti, o almeno sarebbero risolvibili. Ecco: sarebbero risolvibili, se si capisse che certi processi non sono meramente tecnici, ma intrinsecamente politici, e come tali vanno compresi e gestiti. Vale per il progresso tecnologico, e vale per l'immigrazione. Non gestirle espone al rischio di reazioni irrazionali (luddismo, razzismo), nonché al rischio di tornare a un mondo in cui mangiare e vestirsi non siano cosa scontata (come già oggi non lo è il curarsi).
Ed è proprio questo il punto che il commento di Silvia, tanto dolorosamente quanto involontariamente, sottopone alla nostra attenzione. I contadini costretti dalle enclosures alla mendicità e all'esodo rurale erano una manodopera non solo a buon mercato, ma soprattutto (nota Michéa) culturalmente sradicata e quindi molto più facilmente manipolabile. E per capire cosa si intenda per manipolabile, basta rileggere l'assurdo commento della nostra Silvia (sia essa vera, o solo verosimile), che, in cuor suo, pur di non riflettere sulle dinamiche politiche in atto, ha già nominato un nuovo popolo, i nuovi ultimi, cui lei vuole dedicarsi, liquidando come "fascisti" quei penultimi la cui miseria, più prossima e quindi più visibile, si erge a monito verso questo suo afflato da crocerossina di buona famiglia.
Su queste premesse, costruire una visione alternativa del mondo sarà molto, molto complesso.
Non c'è niente di nuovo: è tutto scritto in Michéa, compreso il fatto che esistono fasi storiche in cui, per difendere gli ideali "di sinistra", occorre prima distruggere la sinistra.»