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Dopo la bufera politica di Tangentopoli, qualcosa è accaduto all'Italia. Qualcosa di forte, subdolo, ambiguo e nel contempo potentissimo; qualcosa di cui però ci saremmo accorti solo vent'anni dopo. Il crollo improvviso della DC e del PSI, le due colonne portanti della politica italica (o per meglio dire del partitismo, che aveva pigiato un po' troppo l'acceleratore del finanziamento illecito) aveva spinto un individuo già abbondantemente celebre (per ragioni rigorosamente non politiche) a fondare un nuovissimo partito, entità che da sola avrebbe stravolto invisibilmente le regole della politica, deteriorandone con sconcertante persistenza il volto.

A fronte di un "ex" Comunismo che, sopravvissuto al golpe, poneva le basi per quello che sarebbe stato - di fatto fino ad oggi - l'unico rappresentante della morfologia classica del fare politica (i segretari nella loro successione naturale, le sezioni, i congressi e tutto quello che aleggiava nella ritualità della Prima Repubblica), affiorava sul fronte opposto una forza con una sola caratteristica: quella di costituirsi come organizzazione ad amministratore unico, monolaterale emanazione di un duce proveniente dallo yuppismo anni Ottanta, grazie e disgrazie annesse. Sembrava infatti ripetersi l'anomalia del Fascismo, e molta della resistente satira se ne accorse; con una differenza cruciale: che questa nuova forma di dittatura avrebbe usato solo strumenti prettamente mediatici (conformemente a quanto previsto da Pasolini) e sarebbe stato capace di conquistare anche gli avversari, reali o presunti, trascinandoli nell'adorazione dell'efficacia del suo smagliante sorriso al cospetto dell'elettorato.

Non un semplice leader, Berlusconi, ma quello che potremmo definire un "ur-leader", dichiaratamente anti-politico, proveniente dall'emittenza privata esplosa a metà anni Settanta per effetto delle leggi sulla lottizzazione politica della televisione e delle parallele sentenze costituzionali sulla libera impresa via cavo prima, e via etere poi, nonché unico proprietario di un impero televisivo e finanziario costruito con rapidità più sospetta che sconcertante. Con Milano Due aveva testato "in vitro" la potenza delle trasmissioni via cavo, che evidentemente piacevano alla generazione del "riflusso a vita privata". Ora si trattava semplicemente di passare da Milano Due a Italia Due, visto che l'etere era ormai a disposizione.

Morale della favola: l'inaugurazione di un'epoca in cui i nuovi partiti sarebbero sorti a ricalco del dettato del Biscione, ossia solo attorno a grandi testimonial "catodici" rigorosamente estranei alle scienze della polis, e ne avrebbero condiviso evidentemente la focosa efficacia iniziale, così come, all'opposto, la natura "ad interim" per forza legata all'impossibilità di essere leader per sempre. Ecco dunque spiegata l'Italia dei Valori, generatasi attorno all'eroe di Mani Pulite Antonio Di Pietro e con lui puntualmente decaduta, nonostante il grande successo (si pensi alle molte battaglie referendarie), per effetto di una banale congiura di palazzo. Ed ecco anche spiegato il Movimento Cinque Stelle, capeggiato da un comico di innegabile bravura che negli anni Ottanta ebbe l'ardire di sbeffeggiare il Socialismo sulla RAI. Quali migliori immagini per rappresentare il miglioramento, e quali strumenti meno adeguati per realizzarlo!

A distanza di vent'anni e passa, eccoci di fronte agli effetti evidenti di questa "bolla politica" fatta di parlamenti con veline e leccapiedi, e partiti destinati per loro stessa natura a finire nel nulla per intrighi raffazzonati ad arte e diatribe di spicciolo potere. Forza Italia di nuovo alla riscossa? Difficile a dirsi fino in fondo. Non sembra infatti che sia effettivamente il Cavaliere a vincere in Sicilia, ma più che altro il PD a perdere, con tutte le conseguenze residuali del caso. E ad ogni modo, riuscirebbe Berlusconi ad essere ancora qualcuno senza le stampelle della Lega salviniana e dei neofascisti della Meloni? Non ci ricorda qualcosa questa alleanza? Ma non solo... Voteranno forse per lui i vari millenials che nulla sanno degli anni Ottanta e della Milano da bere? Ovviamente no. Ecco allora che l'unica via resta la tacita alleanza con gli antichi avversari, che oggi, dall'avamposto della Balena Rossa e dei suoi scissionismi che sembrano sempre più manovre "attacca e stacca" all'occorrenza, hanno recepito il peggio dello stile forzista.

Alcune prove? Semplice. Pensiamo ad Angelino Alfano. Avrebbe potuto tranquillamente essere, oltre che il delfino, l'immediato successore di Berlusconi, ma si è guardato bene dall'accettare il comando della sostanziale bagnarola di Forza Italia. Molto, molto meglio Renzi e i suoi tweet. Ma pensiamo anche alla svolta radicale dello stesso Cavaliere. Chi combatte oggi? I comunistacci cattivi che mangiano i bambini? Certo che no: il nemico - suo e di tutti - è ora più che mai il fronte pentastellato, evidentissimo favorito alle elezioni.

Ma di contro - e con tutti il formale rispetto per chi in buona fede ha tentato una svolta - avrà senso votare per un movimento a sua volta esistente solo per effetto di un comico canuto e appesantito? Possiamo definire esaltanti le performance dei grillini che in Italia hanno provato a governare? Al lettore l'ardua sentenza. Certo è che i due fuochi tra i quali si trova l'elettore medio sono deprimenti: da un lato il peggio della politica partitica, o in alternativa la riedizione ben più claudicante di una trimurti capeggiata dal populismo più becero, stile ex Fini-Bossi-Berlusconi; dall'altro un salto nel vuoto della modernità futuribile di questi ragazzi alle prime armi, che, peraltro, non si sa ancora quanto possano essere disposti a una mediazione nel nome della governabilità.

Una cosa è certa. Questo ventennio abbondante ci ha consegnato un'Italia ormai in preda alla barbarie e a quello che certamente possiamo definire un innegabile vuoto politico. Con un interrogativo su tutti: ma non sarebbe il caso di rivalutare una politica "normale", fatta da politici esattamente come dai medici è esercitata la medicina e dagli ingegneri l'ingegneria?

Cosa c'è di male ad entrare in politica dicendo "sono un politico"? Perché non si ha il coraggio di affermare le proprie posizioni. Forse perché la chiarezza - in epoca di fake news - è diventata il vero nemico da evitare? Possiamo veramente lasciare la politica al dominio della post-verità diventata ormai una tacita religione?

Credo di no. La gente comincia ad essere veramente stanca, e in molti vogliono tornare alla buona politica. In molti, ivi compresi quei giovani che al 70% sembrano non votare più: anche loro, inconsciamente, immaginano una politca diversa, anche se non l'hanno mai conosciuta.

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