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“L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto dagli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato, si accorge di che cosa ha realmente vissuto e ne capisce il senso.”

 Potremmo dire che tra noi i più hanno ben chiara qual’è l’analisi politica e la relativa proposta del Movimento Roosevelt. Non mi dilungherò in questa sede ad approfondire questo argomento, in quanto già chiaro dal nostro statuto, dal nostro sito e dalle nostre conversazioni sul gruppo Facebook. Certo, ogni giorno potremo maturare individualmente idee diverse su taluno o talaltro argomento specifico, ma non si può non dire che ciò che veramente ci accomuna tutti senza possibilità di distinzioni è la fiducia nel dialogo. E se il riferimento appena fatto declina questa fiducia al livello intra- e inter-personale, il Movimento Roosevelt intende contemplare anche livelli ulteriori: dialogo tra famiglie, dialogo tra gruppi e associazioni, dialogo tra quartieri, dialogo tra amministrazioni locali, dialogo tra partiti politici, dialogo tra governi, dialogo tra strutture sovranazionali.

Dovrebbe apparire ora chiara la natura meta-partitica che ci contraddistingue: non è priorità assoluta del Movimento Roosevelt presenziare in luoghi strategici del potere, interessa piuttosto che chi presenzi i luoghi chiave del potere condivida l’ideale rooseveltiano. Non è la stessa cosa, perchè nel primo caso il soggetto politico afferma: “io sono portatore di questa ideologia, rappresento una certa porzione di popolo e intendo governare affinché la legge cambi nella direzione della mia ideologia, che ha trovato riscontro in quella porzione di popolo”, mentre nel caso rooseveltiano si afferma: “io sono portatore di questa ideologia, meglio dire di una weltanshauung, c’è una ambizione politica, ossia quella di difendere, rigenerare e promuovere la sovranità popolare sostanziale e non solo formale in Italia e nel mondo, ma ho fiducia nel fatto che non sono io il fulcro esecutivo di questo progetto.” Esso è infatti il progetto a cui tutti gli spiriti sinceramente democratico-progressisti ambiscono, coscienti o meno (qui si aprirebbe una spinosa riflessione: ‘chi oggi si dice democratico, è sincero?’, ma non è nell’interesse personale approfondire). E quindi ciò che manca loro è la reciproca comprensione, la volontà di un dialogo aperto, il quale naturalmente si tende a chiudere di fronte ai vari egoismi che ognuno di noi può conservare in sé.


Appurato che il quid di cui si parla sia racchiuso nella radicale apertura a pressoché qualunque entità politica non si professi intenzionata a instaurare regimi oligarchici (rossobruni o ierocratici che siano) o a continuare questa farsa che possiamo chiamare ‘democratura’ (anche se, vorrei precisare, credo sia opportuno dialogare anche e  soprattutto con quest’ultimi), ebbene sarà possibile cogliere la vera profondità del Movimento Roosevelt: l’approccio pedagogico-politico. Cioè l’azione politica si pone nel panorama in modo pedagogico. Ma che vuol dire, in modo pedagogico? Si badi bene, è forse la cosa meno chiara a chi di educazione oggigiorno si occupa (con le dovute esclusioni): figuriamoci a chi non se ne occupa.

Una prima nota che potrà essere interessante è intanto smentire ciò che ho appena detto, infatti in realtà tutti ci occupiamo di educazione. Consapevoli o meno, chi in una misura chi in un’ altra, ognuno è immerso nel suo essere pedagogico. Ora, io non so esattamente quanto vogliamo essere definiti ‘pedagogici’, piuttosto che ‘politici’. Però o c’è pedagogia o non c’è pedagogia. E se c’è pedagogia, tra l’altro, c’è politica. Una politica può non essere pedagogica, ma ogni politica è educativa. Attenzione, perchè non si tratta solo di questioni formali. Ciò che contraddistingue è l’esistenza o meno di una prassi, di teorie pedagogiche, della presenza o meno di un ‘que fazer?’, direbbe Paulo Freire. Detto questo, si desume che se intendiamo appellarci a una vocazione pedagogico-politica, occorre anche definire una prassi pedagogica. Ma ogni cosa a suo tempo.

Con questo articolo vorrei solo richiamare l’attenzione su quale peculiarità ci lega. Ed essa è qualcosa che, io credo, dovremmo iniziare a saper maneggiare, affinché questo modo di vita, perchè di questo si tratta quando si parla di educazione, trovi dello spazio in ognuno di noi ogniqualvolta esercitiamo il nostro agire politico, finanche negli spazi virtuali. Seguiranno altri articoli in cui si approfondiranno le varie dimensioni dell’esperienza educativa, ricordandoci sempre che:
 “Il mondo dell’educazione è più simile ad un bosco in lussureggiante e scomposto sviluppo che ad un ben ordinato giardino inglese.”

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