Segue un articolo dal titolo “Almirante cancella Fini”, pubblicato da “Il Tempo” e rilanciato dal sito “Marcello Veneziani”: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/il-pericolo-farsista/
“Marcello Veneziani”: «Zitti zitti, nel silenzio dei media, i Fratelli d’Italia della Meloni hanno compiuto un cambio di rotta: hanno cancellato Alleanza nazionale dal loro simbolo e sono tornati alla fiamma nuda.
La ragione principale è di marketing politico: si sono accorti che- come abbiano notato più volte su queste colonne – il ricordo del Movimento sociale italiano è più vivo nella gente della memoria di An.
La gente preferisce votare in memoria di Almirante anziché di Fini. È la rivincita postuma del maestro sull’allievo che tradì. Ma è anche la sua cancellazione, dopo gli sviluppi della vicenda Tulliani.
Ma al di là del caso Fini, quella svolta simbolica racconta due cose, una di carattere generale e l’altra più specifica per la destra sociale e nazionale.
La prima è che non solo a destra ma ovunque c’è stata la rottamazione del passato prossimo e la riabilitazione del passato remoto. Ovvero, i leader della seconda repubblica sono finiti tutti maluccio, a eccezione di Berlusconi risorto nelle vesti di Silvio VII.
E così i loro partiti, non ce n’è uno che non sia stato cancellato e ristrutturato: da Alleanza Nazionale alla Lega padana, da Rifondazione comunista al Pds e all’Ulivo, dai cristiano-democratici ai verdi, più i numerosi cespugli, i tecnici e i loro partitini.
In compenso giganteggia la memoria dei padri politici della prima repubblica: in primis Berlinguer per la sinistra e Almirante per la destra, tra i democristiani De Gasperi e Moro, tra i socialisti e laici Craxi e Pannella.
In realtà la prima repubblica non fu quella cosa seria e gloriosa che appare agli occhi di oggi, i governi cambiavano ogni nove mesi, i partiti erano tanti, i guai cominciarono allora, la media dei politici era scadente.
Ma con la seconda repubblica, o presunta tale, riuscirono a fare peggio. E in ogni caso la partecipazione politica fino agli anni ’90 era ancora alta, l’appartenenza ideologica e militante, oltre che l’affiliazione clientelare e carrierista, ai partiti era molto elevata.
In questo contesto, il ricordo della fiamma missina scalda i cuori più delle coccinelle e dei simbolini spaziali di Alleanza nazionale.
Ma per Fratelli d’Italia c’è una ragione specifica che dice molto più di una semplice svolta: il Msi come partito di testimonianza e di opposizione permanente lascia un buon ricordo, in fondo non deluse i suoi votanti. An, invece, fu la destra di governo, e quell’esperienza è meglio dimenticarla.
Lasciò rovine più che risultati. Fu nella migliore delle ipotesi una partecipazione secondaria, marginale, ininfluente. E nella peggiore lasciò strascichi giudiziari, ombre di inettitudine e di affarismo e soprattutto tanta paura ad affermare al governo centrale e locale le proprie idee di destra.
Poco o nulla si fece in tema di famiglia e di nascite, di salvaguardia dell’identità nazionale e di memoria storica e difesa culturale, dell’ordine pubblico e del senso dello Stato, per non dire del resto, in materia sociale ed economica, fiscale e di opere pubbliche.
Insomma, l’esperienza di An è da dimenticare. Perfino la Fondazione che porta ancora il suo nome, deve in realtà larga parte del suo patrimonio all’eredità del vecchio Msi.
Tutto questo ci induce a insinuare un legittimo dubbio: visti i precedenti, a questa destra non si addice allora un ruolo di opposizione e di testimonianza piuttosto che di governo e di gestione? Su quali basi forma e seleziona la sua classe dirigente, i suoi candidati? Non è meglio tornare a Colle Oppio piuttosto che al Campidoglio?
A questi dubbi l’unica risposta possibile è che se ti vedi intorno, gli altri non stanno messi meglio di FdI. E quindi nel festival degli inadeguati, piazzisti e dilettanti, c’è posto anche per i destri.
Non sfigurano al confronto.»