Non sono forse in grado, come invece altri informatissimi rooseveltiani, di asserire con certezza cosa abbia spinto i legislatori del nostro Continente a stimare un’unità monetaria e vagamente normativa come primo concreto passo in avanti verso gli Stati Uniti d’Europa. Una primigenia unità europea trovava modo di esplicarsi già infinito tempo prima che questi tecnocratici programmi venissero pensati e messi in atto.
Alla fine del Settecento gli Illuministi francesi si impegnavano ad enunciare maestosi principi di fratellanza e stato di diritto nella comunità umana, che poi filosofi e poeti tedeschi dopo eteree riflessioni tramutavano in appassionati aneliti di perfezionamento, in visioni di cieli stellati moralmente connotati, e compositori tedeschi subivano il fascino di rendere tutto ciò in musica, e imparavano parte del mestiere dall’indiscussa tradizione operistica e tardo-barocca italiana.
A inizio del secolo scorso scrittori dallo spessore intellettuale di Thomas Mann e Virginia Woolf, tra i maggiori del Novecento, abbracciavano l’idea di un progresso della galassia europea in senso di aggregazione culturale, il primo cercando di forgiare un nuovo umanesimo (operazione mai abbastanza ammirata nella sua monumentalità), la seconda concentrandosi sul tema dell’estensione dei diritti, chiarendo un punto che sarà centrale in questa riflessione, ovverosia “Intellectual freedom depends upon material things”. Prima di loro, l’altro grande del Novecento, Marcel Proust, mentre andava alla ricerca del tempo perduto, una verità perduta e re-intuita dell’esistenza, ironizzava intanto sugli odi tra popoli, prima amici, venutisi a creare durante la disgraziata 1a Grande Guerra.
L’uomo vive di momenti di azione e di momenti di contemplazione. Nell’azione l’uomo affronta la situazione pratica, la sua tecnica, per tentare di svolgere un’attività che potrebbe sfociare nella realizzazione di un fine, o che invece viene portata avanti perché il momento lo richiede. V’è un principio di ordine nell’azione, o essa sarebbe movimento insensato. Il modo più terribile in cui l’azione possa esprimersi è la guerra: la si conduce secondo un preciso momento e un dettagliato ordine.
Diversamente, tramite la contemplazione, l’uomo approda alle sottili gioie del pensiero, dell’immaginazione artistica, del sentimento musicale, e si svincola realmente dalla Struttura in modo tale da presentarsi un’intuizione di Sé, come soggetto e come uomo, più immediata e profonda. In tale processo esperisce quel raffinamento della coscienza che, da iniziato o meno, è invitato a realizzare.
In tale condizione può avere cognizione di sé come libero dalla struttura e dall’ordine, non nel senso, o non necessariamente, che provvederà a metterli in discussione, ma che si coglierà come un qualcosa di non riducibile alla situazione contingente e agli indirizzi e alle definizioni che ne regolamentano parte della vita quotidiana.
Questa “libertà intellettuale”, notava la Woolf, è purtroppo anche, generalmente parlando almeno, subordinata alle possibilità del contesto materiale. Naturalmente non oseremmo asserire in quali specifiche condizioni si possa sviluppare il genio artistico: E.A. Poe visse quasi sempre di stenti, e divenne uno dei maggiori scrittori dell’orrore; il già citato Proust, nato ricco sfondato e che forse non lavorò un solo giorno della sua vita, divenne uno dei maggiori scrittori dell’intero secolo cui appartenne. Orson Welles, recitando ne “Il terzo uomo”, improvvisò la battuta poi divenuta celebre <<in Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii e massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù>>; ma lo stesso Welles ha forgiato i suoi più imperituri capolavori quando una certa sicurezza economica, derivante dal suo secondo lavoro di attore o dall’occasionale liberalità dei produttori, lo rendeva libero di dirigere i suoi film come più piaceva al suo genio.
Tuttavia non discuteremo, si diceva, delle condizioni dell’Ispirazione: forza troppo misteriosa e imponderabile per non indurci un senso di sacra soggezione; ma forse, delle condizioni in cui di tali manifestazioni del Genio e delle Arti si possa avere autentica contemplazione, su questo possiamo porre dei principi di base: quel genere di condizioni che consentono il libero flusso del pensiero, in cui cogliere e maturare il proprio Sé non solo in quanto prodotto di un contesto - insomma, presumibilmente, sotto il profilo pratico, una condizione di estesa libertà, assecondata da un discreto benessere diffuso. E in tale libertà di esplorare la propria anima, questa può forse raggiungere barlumi di pace e di quella fratellanza, quel senso di comunità umana, preesistente a qualsiasi tentativo tecnocratico di “riunire ciò che è sparso”.
Si intende chiarire come il Movimento Roosevelt esprima perfettamente, e in modo quanto mai mirabile, l’unione tra l’esigenza di una ripresa (“New Deal”) sotto il profilo economico e sociale del nostro mondo, con quella di un rinascimento artistico-culturale, tramite la creazione, di cui all’articolo 22 dello Statuto (forse ancora un primo passo), di una casa editrice, di una società di produzione cinematografica e di una teatrale. Un’unione di intenti talmente nobile, a giudizio di chi scrive, che è raro abbracciarne di analoghe.
P.S. tema ivi connesso potrebbe essere la più o meno predisposta correlazione tra lo smarrimento, per un’area crescente della popolazione, di quella libertà esistenziale e intellettuale congiunta alla serenità della ricerca, con l’incremento, all’opposto, in parte tangibile in parte ancora solo minaccioso all’orizzonte, di materialismo e cinismo in coloro che sono ridotti, pur magari (anzi: ancor più, ancor più amaramente) dopo sogni, studi, ispirazioni che stimolino la massima ammirazione, alla condizione di non poter pensare ad altro che a serbare ancora una pagnotta per gli ultimi del mese. Ma, se mi è concesso, non volevo, non potevo chiudere con tetraggine dopo aver scritto di manifestazioni dell’arte la cui longevità mette in imbarazzo l’Impero Romano – figuriamoci dunque certi improvvisati imperi contemporanei nei confronti dei quali comunque il Movimento Roosevelt e forze convergenti non offriranno sconti.