Segue un articolo dal titolo “Perché IL PARTITO DEMOCRATICO PROGRESSISTA? A quale domanda sociale e politica intende rispondere?” [Seconda e ultima parte], pubblicato da “Lo Zibaldone”: http://zibaldone-sergio.blogspot.com.mt/2017/11/perche-il-partito-democratico_26.html
Sergio Magaldi: «Quali le ragioni del fallimento dei governi di centrodestra e di centrosinistra che hanno governato l’Italia nell’ultimo quarto di secolo, trascinandola sull’orlo dell’abisso, e che rendono impensabile per i cittadini affidarsi nuovamente a loro? Un identico modo di gestire il potere: clientelismo, corporativismo, spreco, incompetenza, corruzione generalizzata e un’identica propensione, nonostante le tante promesse elettorali, a non risolvere i problemi della gente, limitandosi alla mala gestione dell’ordinario e alla cura individuale del carrierismo politico. Ciò che ha reso impalpabile agli occhi di molti la differenza tra destra, sinistra e centro che pure storicamente e idealmente esiste e non può non esistere! Ma la notte della politica italiana, in cui “tutte le vacche sono nere” e i partiti intercambiabili fra loro, ha radici sociologiche ben precise, determinate dal reclutamento delle classi dirigenti negli ultimi decenni, accomunate non solo e non tanto dalla stessa estrazione sociale, quanto piuttosto da formazione politica inadeguata, scarsa onestà e mancanza di immaginazione.
E ancora: non è che destra e sinistra siano la stessa cosa, ma ciò che ha accomunato centrodestra e centrosinistra nei governi degli ultimi decenni è stata l’identica sostanziale accettazione del modello di sviluppo imposto dall’egemonia del capitale finanziario. Le uniche differenze sono state le misure effimere adottate per rendere tale modello più digeribile al proprio elettorato di riferimento. Così è stato e così sarà per il futuro, se i cittadini non prenderanno coscienza di essere i soli titolari della sovranità che legittima lo stato democratico. Pur tra conclamati obiettivi diversi, le coalizioni che hanno governato il Paese negli ultimi decenni, hanno finito per adottare le stesse politiche e oggi le ripropongono anche per il futuro: il centrodestra attraverso l’amalgama tra i sedicenti moderati e i cosiddettipopulisti e con l’unico scopo di mantenere i privilegi dello status quo, il centrosinistra mediante un contenitore più disinvolto che ha finito con alimentare il frazionismo, il velleitarismo e l’impotenza. Quanto al Movimento Cinque Stelle valga quanto già osservavo nel post sopra citato:
“Infine, il Movimento Cinque Stelle – al quale occorre riconoscere il merito di aver cercato di opporsi alla deriva del centrosinistra e del centrodestra – denuncia sempre più la mancanza di una classe politica all’altezza della situazione, l’isolamento e la vaghezza di un progetto politico che si limita ad alcune rivendicazioni sociali, senza tuttavia affrontare alla radice il problema del modello di sviluppo che si intende perseguire. Con in più il rischio dell’accerchiamento, come dimostra la nuova legge elettorale, per aver lasciato cadere il cosiddetto modello tedesco e prima ancora per non aver avuto la lungimiranza politica di prevedere, a suo tempo, ciò che era abbastanza prevedibile e cioè che una volta cancellato l’italicum – la legge elettorale maggioritaria che avrebbe favorito il governo del partito più votato e dunque con ogni probabilità il Movimento Cinque Stelle – le forze concorrenti di centrodestra e di centrosinistra avrebbero fatto di tutto per vedere assottigliata, nelle prossime elezioni politiche generali, la rappresentanza parlamentare del Movimento”.
Al netto di queste considerazioni, l’attenzione con cui i Cinque Stelle hanno riguardato i cittadini emarginati dalle scelte che li riguardano, creando nel Paese le condizioni di un massiccio voto di opinione in loro favore, non deve essere trascurata e induce a riconoscere – finalmente senza pregiudizi di bandiera – la bontà di molte intuizioni alle quali purtroppo è mancata la concretezza dell’azione politica. Il fenomeno fa anche riflettere sull’esistenza di uno spazio che può essere colmato da un soggetto politico nuovo, capace non tanto di cavalcare lo scontento, ma di preparare una classe dirigente che si dimostri all’altezza di coniugare insieme la domanda di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica con la progettazione di autentiche misure di riscatto e di trasformazione sociale.
Al Partito Democratico va invece riconosciuto di essere nato con ben altre aspirazioni, come si legge nella relazione con la quale Piero Fassino introdusse il processo costituente:
“Diamo vita al Partito Democratico non per un'esigenza dei DS o della Margherita o di un ceto politico. No. Il Partito Democratico è una necessità del Paese, serve all'Italia. Vogliamo dare vita ad un soggetto politico non moderato o centrista, bensì progressista, riformista e riformatore. Un partito che faccia incontrare i valori storici per cui la sinistra è nata e vive - libertà, democrazia, giustizia, uguaglianza, solidarietà, lavoro - con l'alfabeto del nuovo secolo: cittadinanza, diritti, laicità, innovazione, integrazione, merito, multi-culturalità, pari opportunità, sicurezza, sostenibilità, sopranazionalità. E per questo dovrà essere un partito del lavoro, dello sviluppo sostenibile, della cittadinanza e dei diritti, dell'innovazione e del merito, del sapere e della conoscenza, della persona e della laicità, della democrazia e dell'autogoverno locale, dell'Europa e dell'integrazione sopranazionale, della pace e della sicurezza”.
Belle parole, ma destinate subito a restare sulla carta, perché già ilManifesto del PD, approvato il 16 febbraio del 2008, rende evidente il carattere astratto e velleitario di formulazioni generiche – fatte più per la coesistenza e il compromesso tra ceppi antichi e diversi [che il Manifesto chiama “grandi tradizioni”], in passato spesso ostili tra loro – che per essere effettivamente realizzate. Il Manifesto si articola in sette punti:
“1. Le ragioni del Partito Democratico”, individuate: a) nella necessità di fare un “Italia nuova” ricollocandola “negli inediti scenari aperti dalla globalizzazione del mondo”, b) nell’obiettivo di un “profondo rinnovamento della società italiana” e nella “formazione di una nuova classe dirigente”, c) nella volontà di “dare adeguate risposte ai grandi problemi del presente e del futuro”.
“2. Un partito aperto nel mondo globalizzato”, che dichiara solennemente: a) di battersi per l’universalità del sapere, considerata come “un grande progetto di democrazia della conoscenza“, b) di riconoscere “la centralità e l’universalità dei diritti umani”.
“3. Nel solco della Costituzione: etica pubblica e laicità”, dove si ribadisce il valore della Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista, e la necessità di realizzarne la piena attuazione e l’aggiornamento “nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise”.
“4. Un’Italia più libera, più giusta e più prospera”, con il quale si annuncia tra l’altro di volere “un’Italia più libera, più giusta e più prospera […] una società aperta che consideri le persone in base alle loro qualità, rimuovendo gli ostacoli economici e sociali, e premiando il merito e non i privilegi. Vogliamo che a ciascuno sia garantita la libertà di realizzarsi secondo i suoi talenti e le sue inclinazioni”.
“5. Il pluralismo sociale, per una comunità forte e solidale”, dove, a tutela della famiglia, si annuncia il “bonus bebè”, si considera l’accoglienza dei migranti più un’opportunità che un problema e si proclama la valorizzazione e la promozione delle autonomie locali, “la cultura della sicurezza e della legalità”, la lotta contro “il degrado urbano e sociale […], la corruzione e la criminalità organizzata”.
“6. L’educazione, la formazione, la ricerca scientifica”, con la proclamata centralità della scuola dove – è detto – “si pongono le premesse della cultura democratica indispensabile alla convivenza in una società sempre più plurale e multiculturale”, con “un sistema scolastico pubblico,imperniato sulla valorizzazione del ruolo educativo degli insegnanti” e il pieno sostegno “della libertà della ricerca scientifica”.
“7. La speranza della pace: la storia non è finita”, dove si enfatizza l’aver tratteggiato “il profilo di un partito nuovo” e si prospetta l’elaborazione di “una nuova idea di progresso”.
Come si vede, il cosiddetto Manifesto dei valori del Partito Democratico contiene già in nuce i segni della retorica, del velleitarismo e dell’ impotenza. Se si eccettua il riferimento al noto “bonus bebè”, una sorta di mancia elettorale che non ha certo risolto i problemi delle famiglie italiane, tutti i solenni propositi contenuti nei sette punti in cui il Manifesto si articola non sono sostenuti dall’indicazione, non dico di misure, ma almeno di proposte per la loro effettiva sostenibilità e realizzazione. A guardar bene, anzi, si direbbe che la società vagheggiata astrattamente dai fondatori del Partito Democratico, sia venuta evolvendosi proprio in senso contrario alle grandi affermazioni di principio contenute nel citato Manifesto. E l’astrattezza dei valori non è soltanto imputabile all’opportunismo politico che determinò la nascita di questo partito, ma al fatto che il Partito Democratico fu soprattutto un’unione di vecchie sigle e vecchie nomenklature, poco di cittadini intenzionati a dar vita ad una nuova e diversa formazione politica e animati dal desiderio di cambiare davvero le cattive abitudini di cui la classe dirigente, già nel passato, aveva fornito prove eloquenti.
In conclusione, dunque, perché il PDP?
Alla generica idea di progresso presente nel Manifesto dei valori del Partito Democratico, alla sua corruzione e inconcludenza nell’azione politica, al velleitarismo dei cosiddetti movimenti e campi che rivendicano la patente di progressisti, unicamente perché si collocano alla sinistra del PD, dopo averne sempre condiviso le peggiori scelte politiche ed economiche, al frazionismo dilagante delle formazioni che si richiamano ai valori della sinistra “dura e pura”, alle promesse di risanamento sociale e nazionale, mai mantenute, dei sedicenti moderati del centrodestra, alle lusinghe antieuropeistiche dei loro alleati, destinate ad emarginare il Paese dal processo produttivo mondiale e a far girare al contrario la ruota della Storia, ai pronunciamenti rivoluzionari del Movimento Cinque Stelle, non suffragati nella realtà dal governo di alcune città metropolitane, allo splendido isolamento che ne rappresenta insieme il punto di forza e il limite, alla vaghezza di una proposta politica, ad una classe dirigente impreparata a gestire l’ampio consenso ricevuto da milioni di cittadini, il costituendo Partito Democratico Progressista oppone un progetto di un’autentica trasformazione sociale, basato su un’idea di progresso, né generico né velleitario, ma orientato su alcuni temi specifici che si riferiscono:
1) Al concetto di democrazia: l’istituto della democrazia rappresentativa e quello della democrazia diretta, limitati alla delega, al referendum abrogativo e alle leggi di iniziativa popolare con procedure complesse e farraginose che ne scoraggiano l’utilizzo e che per di più non sono ammesse per alcune materie fondamentali, va rivisto nella direzione di un progressivoallargamento che contempli: a) forme più snelle di partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica da parte dei cittadini, b) l’introduzione dellademocrazia stocastica qualificata [sorteggio qualificato per l’elezione dei deputati], c) le primarie stabilite per legge e limitate agli iscritti per scegliere le cariche interne dei partiti e i relativi candidati per ogni tipo di elezione, dove sia in gioco la rappresentanza politica dei cittadini.
2) Alla manifestazione della sovranità popolare che progressivamenteabbandoni ogni riferimento astratto, e si concretizzi sempre più in forme reali ed efficaci.
3) Alla pratica della delega in bianco, quale si manifesta attualmente per ogni tipo di elezione, e che una visione progressista non può che rimuovere, perché fa dei membri del Parlamento i rappresentanti della nazione e non dei cittadini, praticamente inamovibili – se non per reati comuni e attraverso complesse procedure – e che dunque rende gli eletti disponibili per ogni genere di trasformismo.
4) Alla piena, progressiva attuazione dei diritti civili, politici e socialicontenuti nella Costituzione Italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
5) Alla riaffermazione della sovranità monetaria dello Stato per rendereprogressivamente ed effettivamente possibile la pratica attuazione del 2° comma del 3° articolo della Costituzione: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
6) Al progressivo raggiungimento della piena occupazione, sancito ma sempre disatteso dalle attuali politiche, volte a perseguire l’austerità e il pareggio di bilancio e non già il dettato del 4° Principio Fondamentale della Costituzione Italiana, il quale recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
7) Ad un benessere sociale, non più pensato come esclusivo appannaggio di ristrette oligarchie e/o di determinate classi, ma destinatoprogressivamente ad includere il maggior numero possibile di cittadini.
Mi sembra di poter dire che gli obiettivi del PDP siano concreti, perché indicano dei percorsi effettivi per la loro realizzazione. Ciò non significa che il cammino sia semplice. Occorre, innanzi tutto, sciogliere i nodi contenuti in alcuni dei principi fondativi da sottoporre all’attenzione dell’Assemblea Costituente, primi fra tutti quelli che segnalavo altrove [Che cos’è il Partito Democratico Progressista, cosa vuole essere? Clicca sul titolo per leggere]:
“Restano tuttavia diversi interrogativi: come si può essere certi che “politiche economiche di carattere fortemente espansivo” siano in grado di dare i risultati auspicati e cioè la crescita economica e la progressiva realizzazione della piena occupazione? E ancora: dando per scontata la bontà di queste teorie, sulla base di precedenti storici e di politiche simili messe in campo nel presente e con successo da paesi a sovranità monetaria, come sarebbe possibile introdurre i principi del keynesismo, sia pure aggiornato, in un paese che fa parte di un’Europa dominata dalla moneta unica, dalla Germania e dalle teorie neoliberiste? Il rischio dell’isolamento e del boicottaggio economico sarebbe dietro l’angolo. E se anche fosse possibile esportare tale modello di sviluppo in altri paesi dell’Unione Europea, per quale motivo le élite finanziare internazionali dovrebbero stare a guardare, rinunciando ad un progetto di egemonia a lungo coltivato e realizzato con scientifica determinazione? È auspicabile che l’Assemblea Costituente del nuovo partito sciolga questi nodi, ma intanto occorre sottolineare il coraggio di una costituenda forza politica che invita i cittadini a passare all’azione per evitare che il cerchio si chiuda in una sorta di neofeudalesimo sociale”.
Non basta. Bisognerà poi risvegliare molte coscienze addormentate o ancora assopite e preparare una nuova classe dirigente. In questa prospettiva il Movimento Roosevelt - che resta una realtà politica ma non partitica - è chiamata a svolgere una funzione determinante in fatto di informazione, cultura e pedagogia. Perché è abbastanza evidente che nulla potrà mai cambiare veramente se i tanti delusi dal linguaggio e dall’agire della politica non coglieranno l’opportunità di una rivoluzione copernicana che rovesci il tradizionale rapporto stato-cittadini: lo stato non più concepito come un’entità astratta che impone i propri comandamenti, attraverso inamovibili oligarchie, ma finalmente inteso come il risultato di un patto sociale nel quale i cittadini si possano riconoscere.»