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Filomena Maggino f9c57

Il superamento del Pil non è solamente una questione che si rivolge alla politica e che richiede interventi tecnici e metodologici. È innanzitutto una questione culturale: si richiede un cambiamento di paradigma. E il mondo dell'istruzione, a tutti i livelli, gioca un ruolo importante, in questo: non tanto nell'andare oltre il Pil, ma nell'allenare all'ottica della complessità. Qualsiasi tentativo di superare la logica del Pil pone alcune sfide; pone delle necessità ma anche dei rischi, rispetto alle sfide. Possiamo dire che la sfida massima è quella della complessità: è quella che ci pone la realtà, e non possiamo farne a meno. Questo vuol dire che, nel momento in cui dobbiamo definire gli indicatori e abbiamo necessità di definire che cosa stiamo misurando, dobbiamo definire qualcosa di complesso. Anni fa feci una ricognizione di quante definizioni di benessere sono presenti in letteratura: centinaia. A volte si sovrappongono, a volte sono cose veramente molto diverse tra di loro; ma nessuna di quelle definizioni riusciva veramente a cogliere in pieno la complessità della realtà.


Ci sono definizioni si concentrano sulle strutture di valori, definizioni che si concentrano sui processi, definizioni che si focalizzano sulle condizioni, altre sulle mete da raggiungere. La sfida della complessità è direttamente osservabile anche a livello tecnico, ovvero nella costruzione nella selezione degli indicatori. E in questo esercizio dobbiamo infatti tenere conto che esistono diverse prospettive di osservazione: indicatori di input, indicatori di outcome, indicatori di trend. Ed esistono diversi livelli di osservazione, micro e macro: diverse caratteristiche, nella realtà, che hanno una natura diversa dalla classica contrapposizione tra caratteristiche oggettive e caratteristiche soggettive, caratteristiche qualitative e caratteristiche quantitative. Esistono diversi contesti, che sono territoriali ma anche temporali; diversi livelli comunicativi, diversi obiettivi, diversi contesti di governance. Quando si parla di indicatori soggettivi si fa riferimento alla felicità, alla soddisfazione. Io invece propongo un'altra focalizzazione: la fiducia.

La fiducia è un indicatore strettamente soggettivo, ma è uno dei più importanti per valutare un paese. Naturalmente esiste la fiducia nelle istituzioni, la fiducia nei propri simili; ci sono varie declinazioni del termine. Nella mia ricerca applicata, ho verificato l'importanza di tale indicatore per la sostenibilità di qualunque comunità. E ho messo a punto un modello di previsione non lineare, che applica la “teoria delle catastrofi” a questo indicatore. Correlato insieme all'indicatore di fiducia è quello di identità e speranza. Esiste un punto di caduta della fiducia, che trascina con sé gli altri due indicatori e porta una comunità a un punto di crollo. È qualcosa a cui tutti noi dovremmo guardare e riflettere.

La sfida del cambiamento di paradigma si pone anche ad altri livelli, quando si trasferiscono le definizioni in azione. Per esempio, la blockchain: se ne sta parlando molto, in questo periodo; è una sorta di certificazione della catena di un processo. Ma si parla del prodotto, mentre il vero cambiamento di paradigma sarebbe quello di trasferire il concetto di qualità della vita all'interno della blockchain. Quanta qualità della vita viene generata nella produzione? Durante tutto il processo, le persone che ci hanno lavorato vivono bene? L'ambiente è stato rispettato? Su questo tema, presso la Presidenza del Consiglio abbiamo già messo su un gruppo di lavoro trasversale, con altri ministeri. Credo che ormai i tempi siano maturi per proporre una agenzia di rating – non delle performance finanziarie ed economiche di un paese (almeno, non sono di quelle), ma anche delle performance in termini di qualità della vita. Confrontiamoci, su questo.

E a questo proposito mi fa piacere riferire qualcosa alla quale stiamo lavorando, insieme al presidente del Consiglio: si tratta di una struttura che molto probabilmente avremo, “Benessere Italia”, che ha l'obiettivo di coordinare le politiche del governo in materia di qualità della vita, proponendo – all'interno dei ministeri e dei dipartimenti – anche gli strumenti di valutazione dell'impatto delle politiche sul benessere dei cittadini. Sarà anche una sede che consentirà di monitorare l'agenda 2030 dell'Onu. Questa potrebbe essere una cabina di regia: “Benessere Italia” opererà direttamente presso la Presidenza, proprio perché l'attitudine al benessere non può essere limitata ad un singolo ambito ministeriale, ma deve essere la filosofia complessiva sulla quale si basa l'intera agenda del governo.

Ho parlato molto una necessità che secondo il mio punto di vista è quello che tecnicamente chiamiamo della relativizzazione. Riguarda la coerenza e l'adeguatezza degli indicatori e delle interpretazioni alla definizione, ma anche alle differenze spazio-temporali. Il rischio più evidente, soprattutto dal punto di vista metodologico, è quello del riduzionismo: in fondo, parlare degli indicatori vuol dire proprio questo: non possiamo osservare tutto. E quindi in questo senso la definizione che noi ci diamo, per poter osservare la realtà, diventa particolarmente importante. Chi definisce la realtà? E in questo senso il progetto Bes ha fatto scuola. Ovvero: la definizione del benessere non è venuta da esperti, ma da una consultazione attraverso gli stakeholder del paese.

Il rischio di riduzionismo? Penso che sia ormai superata l'ottica di veder utilizzare un unico indicatore che sostituisca il Pil. Tornando alla mia personale esperienza pluridecennale di costruzione di indicatori, ho provato a riflettere più volte su quale sia veramente la migliore definizione della qualità della vita, e anche su quale sia il miglior approccio per arrivare a definirla. Occorre tener conto del fatto che il concetto di qualità della vita varia da un territorio all'altro, da un paese all'altro, da un periodo storico all'altro. Questo è sicuramente vero, ed è per questo che un progetto come il Bes deve rimanere un progetto dinamico vivo, perché dinamica e viva è la realtà – non qualcosa di statico, definito una volta per tutte.

Come definire il concetto di qualità della vita e di qualità di una società? Ho provato a identificare gli aspetti rilevanti, non modificabili e non negoziabili, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Questi aspetti rilevanti della qualità della vita hanno a che fare proprio con il vivere, o meglio il poter vivere. Per esempio, sapere e potere dormire: questo ha a che fare con l'uso del tempo. Poter e saper mangiare: ha a che fare lo stile di vita. Poter e saper lavorare: questo ha a che fare col sostentamento, ma anche con la propria realizzazione. Potere e sapere imparare: è la crescita personale, quella sì infinita. Saper dare: è uno dei maggiori piaceri della vita. Potere e sapere amare, anche in termini di empatia – nei confronti del prossimo e nei confronti anche delle cose che ci circondano. Potremmo dire che questi bisogni e desideri naturali, una volta soddisfatti, garantiscono a chiunque una stabile serenità e un magnifico percorso di vita.

Quando si sente parlare dei progetti che cercano di superare la logica del Pil, spesso si affiancano questi progetti a delle parole-chiave, come “economia della felicità”. Penso ci sia una parola-chiave che definisce bene la reale promozione della qualità della vita in termini equi e sostenibili, ed è: rispetto. Rispetto di se stessi e del proprio corpo, della propria natura; rispetto delle opinioni e delle competenze degli altri; rispetto dell'ambiente che ci circonda; e rispetto, in ultima istanza, della vita in tutte le sue forme. Sul rapporto tra la statistica e la politica, pensando in fin dei conti all'arte del buon governo, vorrei citare uno dei tanti geni che questo paese ha donato all'umanità: Ettore Majorana. Sembrerebbe un personaggio fuori dal nostri discorsi, e invece ha scritto nel 1930 “Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali”. Le sue parole: «Le leggi statistiche delle scienze sociali vendono accresciuto il loro ufficio, che non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un gran numero di cause sconosciute, ma soprattutto di dare della realtà una testimonianza immediata e concreta, la cui interpretazione richiede un'arte speciale, non ultimo sussidio dell'arte di governo».

(Filomena Maggino, dichiarazioni rilasciate al convegno “L'economia del benessere: la rivoluzione possibile”, tenutosi il 7 marzo 2019 alla Camera dei Deputati con la partecipazione del presidente, Roberto Fico. Membro della Commissione Sviluppo Sostenibile, la “rooseveltiana” Filomena Maggino è consigliera della Presidenza del Consiglio per le misure del benessere alternative al Pil e per l'Agenda 2030. Tra i relatori al convegno sono intervenuti Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; Giovanni Tria, ministro dell'economia; Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'Istat; Enrico Giovannini, portavoce Asvis; Giulio Marcon, portavoce della campagna “Sbilanciamoci!”; Jean-Paul Fitoussi, professore dell'Istituto di studi politici di Parigi; Lorenzo Fioramonti, viceministro del Miur).

Sul sito della Camera, il convegno è visionabile integralmente: https://webtv.camera.it/evento/13915. L'intervento della professoressa Maggino: dal minuto 53.27 al minuto 1.08.50.