Anche Nino Galloni (economista, Vice Presidente e Supervisore economico del Movimento Roosevelt), ieri, intervistato da Sky TG24 Economia, ha affermato che, effettivamente, dopo la possibile vittoria del NO al referendum del 4 dicembre, potrebbe esserci una “catastrofe”(magari e finalmente, aggiungo... Subito dopo l’unica cosa da fare è quella di mettere in pratica un New Deal ancora più “forte” di quello americano degli anni Trenta incentrato senza se e senza ma sulla Piena Occupazione, il Pieno Stato Sociale ed i Pieni Diritti per tutti...).

L’intervista : https://www.youtube.com/watch?v=N7bh9F4l6JA&feature=youtu.be .

Nino Galloni nell’intervista cita J.P. Morgan che nel 2013 mandò una lettera per avvisare che «se l’Italia non si allineava su posizioni meno democratiche rivedendo la propria Costituzioni che era troppo antifascista e troppo di Sinistra, ci sarebbero state “conseguenze”». Nino Galloni, inoltre, rispondendo garbatamente al poco educato Luigi Marattin (consigliere economico della Presidenza del Consiglio), afferma in maniera netta che questo referendum serve a rendere “irreversibile” il pesantissimo cambiamento al ribasso operato/iniziato nel 1981 spiegando al suo interlocutore che è quella la motivazione per cui sono appoggiati da tutti i potentati finanziari: rendere “irreversibile” il pesantissimo cambiamento al ribasso cui abbiamo assistito negli ultimi decenni...

La considerazione di Galloni è la stessa cui sono giunti in tanti (io sono uno di questi...).

Il noto Paolo Maddalena, per esempio (Paolo Maddalena è un giurista e magistrato italiano, che ha ricoperto, tra i vari incarichi, anche quello di giudice costituzionale), parlando del referendum sulla riforma costituzionale della Boschi, ha affermato: «C’è da chiedersi, a questo punto, a cosa serve e a chi giova questa modifica costituzionale.

La risposta viene dai diretti interessati, e cioè da un documento di 16 pagine datato 28 maggio 2013 della J.P. Morgan, la quale ha affermato che “i sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate a seguito della caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”. Insomma, secondo la J.P. Morgan “i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature e sono rimaste segnate da quella esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti della sinistra dopo la sconfitta del fascismo”. Continua così la J.P. Morgan “i sistemi politici e istituzionali del sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei Parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori». Ancora: «Il discorso, come si nota, è a questo punto molto più grave di quello che si vuole fare apparire: si tratta di scegliere, non tra una formulazione o un’altra delle norme costituzionali, ma tra due diverse idee di democrazia, tra due sistemi economici e politici diversi e più propriamente tra il sistema “keynesiano” (presupposto dalla vigente Costituzione), che ci ha assicurato trenta anni di benessere nel secondo dopoguerra, e il sistema “neoliberista”, che dagli inizi degli anni ottanta si sta subdolamente infiltrando nella nostra legislazione democratica, fini al punto di chiedere oggi una sostanziale modifica della Costituzione.

Si tenga presente che il neoliberismo agisce sottilmente con attendismo e senza proclamazioni di principi. Esso tenta, in buona sostanza a sostituire al principio costituzionale della difesa della dignità della “persona umana” il principio del “massimo profitto” degli speculatori finanziari, ritenendo, erroneamente, che “l’accentramento” della ricchezza e quindi l’annientamento della circolazione monetaria sia un bene da perseguire. In sostanza esso vuole l’arricchimento di pochi e l’immiserimento di tutti gli altri.

Al contrario il sistema keynesiano, al quale si ispirò Roosevelt per la soluzione della prima grave depressione degli anni trenta, punta sulla “redistribuzione” della ricchezza, spargendo su una larga fascia di lavoratori la ricchezza disponibile, in modo che questi vadano ai negozi, i negozi chiedano alle imprese, le imprese assumano e producano, realizzando così un circolo virtuoso nel funzionamento dell’economia reale.

Il voto referendario, dunque, è la scelta tra due sistemi di vita: mantenere il nuovo tipo di società, in larga parte già attuato in modo subdolo e nascosto, offrendo ad esso anche la tutela costituzionale, oppure tornare all’economia keynesiana, che ha ampiamente dimostrato di essere l’unico sistema economico conforme a natura e foriero di benessere per tutti». Quindi, conclude: «Dunque, il prossimo referendum ha molto a che fare con il nostro prossimo destino. Non è in dubbio che siamo chiamati a scegliere tra due sistemi economici e politici, il sistema keynesiano che pone al centro il valore della “persona umana” e il “lavoratore” e il “neoliberismo”, che pone al centro il “massimo profitto individuale”. La nostra Costituzione repubblicana è stata scritta presupponendo il primo tipo di società. La riforma costituzionale di Renzi vuole legittimare costituzionalmente quanto si è già realizzato per la creazione del secondo tipo di società, e vuole togliere ogni ostacolo alla realizzazione di una società nella quale la sovranità spetta, non più ai Popoli, ma al mercato “globalizzato”, che decide, non razionalmente per il bene dei Popoli, ma irrazionalmente per l’interesse individuale, attraverso il gioco e la scommessa, e disinteressandosi di quanto accade sulla generalità degli uomini. Questa volta non si tratta di un puro e semplice referendum, ma di una scelta epocale, che potrebbe annullare lo stesso concetto di “comunità” e riportarci all’uomo branco di diecimila anni fa.»

Esattamente come Galloni e Maddalena (su tale riguardo scrissi qualcosa ad agosto) penso che questo referendum ci mette di fronte alla scelta di «due sistemi economici e politici, il sistema keynesiano che pone al centro il valore della “persona umana” e il “lavoratore” e il “neoliberismo”, che pone al centro il “massimo profitto individuale.»

Paolo Maddalena, inoltre, voglio ricordarlo, è lo stesso che nel pezzo “Per un New Deal italiano”, ha affermato che «Dopo il 4 dicembre, qualunque sia l’esito del referendum, un dovere inderogabile graverà su tutti gli Italiani: occorre predisporre un “nuovo progetto” per evitare la distruzione completa dell’economia italiana e la perdita totale del nostro territorio.

A tal riguardo bisogna porre in evidenza che new deal di Roosvelt negli anni ‘30 vinse la prima depressione mondiale ricorrendo ai principi di Keynes, secondo i quali occorre, per risolvere la crisi economica, redistribuire la ricchezza attraverso un intervento pubblico dello Stato. Ciò vuol dire che occorre promuovere una grande opera pubblica (ristabilimento dell’equilibrio idrogeologico del Paese e messa in sicurezza degli immobili laddove esiste rischio sismico) che non produca merci da collocare sul mercato. Intervento dello Stato che è vietato dai trattati europei secondo i quali lo Stato non può aiutare le imprese e la BCE può dare denaro solo alle Banche. Il mancato intervento dello Stato impedisce la redistribuzione della ricchezza su una larghissima fascia di lavoratori, i quali possono andare ai negozi che si rivolgono alle imprese, le quali assumono personale e producono merci reali, instaurandosi così un circolo virtuoso.

Non sfugge a nessuno che solo questo sistema economico produttivo può salvarci dalla rovina.

Il pensiero da contrastare è quello del neoliberismo secondo il quale non conta la comunità ma rileva soltanto il singolo individuo, il quale deve essere auto imprenditore, perseguire il massimo profitto, e fare in modo che la ricchezza sia accentrata nelle mani di pochi.

Se si pensa che tutto questo procede attraverso la creazione del denaro dal nulla, la privatizzazione delle industrie, dei beni e dei servizi pubblici, e la svendita di questi stessi, si capisce agevolmente che il neoliberismo pone in essere un sistema economico deviato e predatorio, che porta pochi al benessere e molti alla miseria.

La salvezza sta nell’applicare la sezione terza, parte prima, della vigente Costituzione, che, a cominciare dagli anni ‘80, dopo trenta anni di benessere, è stata costantemente violata a causa di leggi criminogene che hanno privatizzato le banche, le industrie, i territori e persino i demani, che sono proprietà collettiva degli Italiani a titolo di sovranità.

Si tratta altresì di riprendere in esame il Trattato di Maastricht, di Lisbona e il cosiddetto fiscal compact, i quali ci legano mani e piedi e vorrebbero, come sottolinea Cristine Lagarde, che noi riducessimo il debito accelerando e frenando nello stesso tempo.

E’ questo un concetto di per sé illogico e contraddittorio, ed è folle affidare ad esso la riduzione del debito pubblico che, tra l’altro, è costituito tutto da tassi di interesse che ci hanno posto sulle spalle i mercati e non certo dalle spese per il welfare, per il quale spendiamo meno di tutti, cioè il 41% del PIL, mentre la media europea è del 45%.

E’ un cammino certamente faticoso e non privo di sofferenze, ma è obbligatorio percorrerlo perché l’alternativa è soltanto la perdita del territorio, la miseria del popolo, la fine.

In conclusione si tratta di riportare la sovranità che si è spostata nei mercati all’interno degli Stati nazionali, poiché è il diritto che deve prevalere sull’economia e non viceversa.»

Concludo con una “riflessione” dell’economista Gaël Giraud ancora una volta a proposito dell’Euro. Rispondendo alle domande di alcuni giornalisti (sempre riguardo alle possibili ed imminenti “catastrofi”, fine anticipata dell’UE e dell’Euro ed altro...), ha affermato: «Bisogna trasformarlo da moneta unica a moneta comune. L’euro resterebbe per le transazioni internazionali, affiancato per il mercato interno da monete nazionali svalutabili: Euro-Lira, Euro-Franco, Euro-Marco…».

 Vincenzo Bellisario

(Articolo del 24 Novembre 2016)