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Segue un articolo dal titolo “Cos'è IL PARTITO DEMOCRATICO PROGRESSISTA, cosa vuole essere?”, pubblicato da “Lo Zibaldone” (http://zibaldone-sergio.blogspot.com.mt/).   

Sergio Magaldi: «Un nuovo soggetto politico si aggira per la rete, o meglio ciò che per ora si lascia intravedere è solo una “cosa” con molto di nuovo, ma ancora “in nuce” e sotto forma di futura Assemblea Costituente. Si tratta del Partito Democratico Progressista [PDP], www.partitodemocraticoprogressista.it [per partecipare all’Assemblea Costituente basta entrare nel sito ed iscriversi], una neoformazione che a prima vista sembra la sintesi dei due partiti attualmente esistenti di centrosinistra. Sembra, ma non è così, se appena si dà uno sguardo ai 21 punti fondativi che saranno sottoposti all’Assemblea Costituente. Vi si coglie, innanzi tutto, la necessità di un rovesciamento di prospettiva, con l’affermazione del primato della politica sull’economia: le scelte politiche non vanno subordinate alle teorie economiche neoliberiste, com’è purtroppo nello spirito e nella prassi di tutti i partiti del panorama politico italiano. Il neoliberismo, infatti, si mostra sempre più funzionale al modello di sviluppo del capitalismo finanziario e delle élite internazionali con la globalizzazione selvaggia, la delocalizzazione delle imprese, la riduzione delle tasse per i grandi monopoli e la decurtazione dei salari e delle retribuzioni, per una politica che impone ai governi l’austerità, la progressiva eliminazione del welfare e il pareggio di bilancio, con la costante emarginazione sociale e l’impoverimento di strati crescenti di popolazione e con l’arricchimento abnorme di ristrette oligarchie. 
L’offerta politica del costituendo PDP si basa su una lettura semplice della realtà: le forze che si richiamano al centrosinistra e persino alla sinistra denunciano sempre più, con il frazionismo che le caratterizza, la sostanziale accettazione del modello di sviluppo proposto dall’egemonia del capitale finanziario, differenziandosi solo circa le misure effimere da adottare per rendere tale modello maggiormente digeribile a quello che si ritiene essere l’elettorato tradizionale di riferimento. Le forze che si richiamano al centrodestra si dividono tra quanti sostengono apertamente la logica dello sviluppo selvaggio e quanti, animati di fervore popolare, ritengono di potersene liberare semplicemente ritagliandosi uno spazio regionale e/o nazionale, con politiche neoprotezionistiche e vagheggiando l’uscita dall’euro o addirittura dall’Europa. Infine, il Movimento Cinque Stelle - al quale occorre riconoscere il merito di aver cercato di opporsi alla deriva del centrosinistra e del centrodestra - denuncia sempre più la mancanza di una classe politica all’altezza della situazione, l’isolamento e la vaghezza di un progetto politico che si limita ad alcune rivendicazioni sociali, senza tuttavia affrontare alla radice il problema del modello di sviluppo che si intende perseguire. Con in più il rischio dell’accerchiamento, come dimostra la nuova legge elettorale, per aver lasciato cadere il cosiddetto modello tedesco e prima ancora per non aver avuto la lungimiranza politica di prevedere, a suo tempo, ciò che era abbastanza prevedibile e cioè che una volta cancellato l’italicum - la legge elettorale maggioritaria che avrebbe favorito il governo del partito più votato e dunque con ogni probabilità il Movimento Cinque Stelle - le forze concorrenti di centrodestra e di centrosinistra avrebbero fatto di tutto per vedere assottigliata, nelle prossime elezioni politiche generali, la rappresentanza parlamentare del Movimento.  
Secondo il Partito Democratico Progressista, il rovesciamento dell’attuale prospettiva politica, con la conseguente subordinazione dell’economia al modello di società che si intende realizzare, diventa possibile attraverso una triplice sfida: 1) l’introduzione di “politiche economiche di carattere fortemente espansivo” ispirate dalla grande tradizione keynesiana, opportunamente modificata dalle esigenze contemporanee, 2) la formazione di una classe politica incorruttibile, 3) la piena occupazione, con la reale applicazione del 4° Principio Fondamentale della Costituzione Italiana: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
A differenza di altre formazioni politiche, qui almeno le idee sono chiare e anche le parole con cui sono espresse. Restano tuttavia diversi interrogativi: come si può essere certi che “politiche economiche di carattere fortemente espansivo” siano in grado di dare i risultati auspicati e cioè la crescita economica e la progressiva realizzazione della piena occupazione? E ancora: dando per scontata la bontà di queste teorie, sulla base di precedenti storici e di politiche simili messe in campo nel presente e con successo da paesi a sovranità monetaria, come sarebbe possibile introdurre i principi del keynesismo, sia pure aggiornato, in un paese che fa parte di un’Europa dominata dalla moneta unica, dalla Germania e dalle teorie neoliberiste? Il rischio dell’isolamento e del boicottaggio economico sarebbe dietro l’angolo. E se anche fosse possibile esportare tale modello di sviluppo in altri paesi dell’Unione Europea, per quale motivo le élite finanziare internazionali dovrebbero stare a guardare, rinunciando ad un progetto di egemonia a lungo coltivato e realizzato con scientifica determinazione? È auspicabile che l’Assemblea Costituente del nuovo partito sciolga questi nodi, ma intanto occorre sottolineare il coraggio di una costituenda forza politica che invita i cittadini a passare all’azione per evitare che il cerchio si chiuda in una sorta di neofeudalesimo sociale.
Un altro interrogativo è presente nell’affermazione di voler realizzare “una classe politica incorruttibile”. Anche su questo punto occorrerà fare chiarezza, indicando esplicitamente le misure che si intendono adottare per raggiungere l’obiettivo, diversamente c’è il rischio di una dichiarazione di principio non troppo dissimile dal grido “Onestà…onestà” che si sente risuonare nelle adunate del Movimento Cinque Stelle, con il quale, almeno su questo punto, varrebbe la pena di incontrarsi e di confrontare le idee.
Lasciano infine perplessi i punti che si richiamano all’Europa, per la quale si auspicano l’unità politica, forse federativa, e una costituzione largamente condivisa “con l’obiettivo di tutelare democrazia, sovranità popolare, stato di diritto e giustizia sociale”, ma si ammette addirittura la possibilità, per così dire, di un passo indietro qualora non si realizzi l’ideale: “In alternativa, provvisorio ritorno alla sovranità nazionale per realizzare i medesimi obiettivi. Essendo inoltre la nuova “Unione Europea” - o i futuribili Stati Uniti d'Europa - non un fine, ma un mezzo per affermare i valori democratici di sovranità popolare, giustizia sociale e stato di diritto, noi del PDP riterremmo inevitabile uscire da questa confederazione di Stati qualora non fosse più possibile portare avanti i valori fondanti della società europea all’interno dell'attuale UE. Tale uscita sarà giustificata dalla necessità e dall'opportunità di realizzare i suddetti valori e principi a livello nazionale, in attesa di tempi migliori, e sarà comunque accompagnata dall’avvio di un nuovo processo federativo e costituzionale che possa garantire un progetto politico europeo comune. Un progetto di cui la sovranità popolare e monetaria dei popoli del vecchio continente sia presupposto irrinunciabile”.
Tutti gli altri punti fondativi sembrano coerenti con l’idea di democrazia e di progresso che costituiscono la bandiera di questo nuovo partito: dalle misure concrete per valorizzare, finalmente e dopo tante inutili chiacchiere dei partiti tradizionali, “il patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, non solo a testimonianza della storia di un popolo antico e della sua inesauribile creatività, ma anche al fine di realizzare - attraverso una moderna ed efficiente gestione pubblica - la creazione di nuovi posti di lavoro”; ad una politica che metta la Scuola, l’Università e la Ricerca “al centro degli interessi strategici dello Stato”, con la rivalutazione sociale, professionale ed economica del ricercatore e del docente di ogni ordine e grado; ad un sistema sanitario nazionale finalmente efficiente; ad un sistema bancario in grado di distinguere tra banche d’affari e banche per il credito alle famiglie e alle imprese; all’effettiva applicazione delle norme costituzionali, con l’introduzione di forme sostanziali di democrazia diretta e così via.
Nonostante una certa rigidità dei principi fondamentali di questo nuovo Manifesto Politico, occorre riconoscere la liberalità con cui si guarda alla futura Assemblea Costituente, dando mandato agli iscritti, individui e gruppi, di elaborare lo statuto e un reale programma di governo. Si legge infatti al termine dei 21 punti fondativi: “Iscriversi all’Assemblea Costituente del PDP significa - per singoli cittadini delusi dall’inconsistenza dell’offerta politica corrente, per gli aderenti a gruppi, movimenti e partiti politici che si sentano alternativi agli ormai logori e insignificanti “centrodestra” e “centrosinistra” tradizionali, per gli stessi militanti, attivisti, dirigenti e rappresentanti istituzionali di quelle forze politiche che hanno deluso gli interessi degli italiani dal 1992 in avanti - partecipare alla costruzione di una nuova, inedita e solida Casa Comune. Tutti i costituenti, individualmente o organizzati legittimamente in correnti (in quanto magari aderenti in blocco come membri di associazioni, movimenti o partiti pre-esistenti) avranno la stessa titolarità e sovranità nel discutere, determinare la confezione e l’approvazione dello Statuto PDP e nell’elaborare un preciso programma di governo per l’Italia e i suoi territori”.
In definitiva, al di là della comprensibile diffidenza con cui è legittimo osservare la nascita di una nuova formazione politica, occorre riconoscere al costituendo Partito Democratico Progressista la capacità di mettere al centro del dibattito politico tutta una serie di questioni per dare ai cittadini nuova consapevolezza e fiducia nella gestione della cosa pubblica.»

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