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Segue un articolo dal titolo “Italiani all’estero. Già 5 milioni hanno lasciato l’Italia: cosa stiamo aspettando?”, pubblicato da “Themis & Metis” (https://www.themisemetis.com/). 

Daniele Garlando: «E’ in atto nel nostro Paese, con una crescita statistica preoccupante, una gravissima forma di emorragia, unita alla sbalorditiva impressione che essa venga accettata, permessa e tutt’altro che combattuta da chi dovrebbe farlo. Eppure è una situazione grave, specialmente per un Paese come il nostro, già sull’orlo di un evidente collasso. L’emorragia degli Italiani all’Estero: di giovani che dovrebbero rappresentare il futuro del Paese; di menti creative e intelligenti; di persone di esperienza, costrette ad emigrare, dopo una vita di sacrifici e lavoro.
Mezzo milione di cittadini soltanto negli ultimi 3 anni. 5 milioni di italiani già iscritti all’Aire, l’albo degli italiani residenti all’estero. Una vera e propria emorragia. La domanda è: cosa accade ad un corpo se non si ferma per tempo una emorragia in atto? La sensazione è che in Parlamento servirebbero più medici, per spiegare meglio ai nostri rappresentanti i rischi di una situazione di tale portata.
Non è forse giunto il momento, anziché continuare a disquisire su Decreti inutili, soluzioni e interventi generati da analisi fatte dal comodo di una poltrona, di andare sul campo e investigare davvero la radice (e le colpe!) di quanto stia accadendo? Forse, perlomeno, si eviterebbero ulteriori gaffe irritanti ed esilaranti allo stesso tempo, sulla qualità e la bontà dei ragazzi che emigrano all’estero in cerca di un futuro.
L’Italia, a livello di Consiglio dei Ministri, è un Paese davvero esilarante. Prima i giovani che, non avendo lavoro, restavano per saggezza e necessità a casa coi genitori, furono liquidati come “bamboccioni” dai maestri dell’economia. Aiuto. Ora, a dicembre del 2016, abbiamo scoperto che quelli che emigrano all’estero per non stare con le mani in mano e mettersi in gioco “è meglio non averli tra i piedi”. Affermazioni di una cecità politica talmente disarmante, che è inutile anche solo pensare di dibattere e contestare. Allora facciamo quello che a Roma si continua a tardare a fare. Analizziamo la situazione.
Si dice che l’Italia sia un Paese depresso. Ciò risulta indubbiamente vero tanto dall’analisi dei dati macroeconomici, quanto da quella dei livelli devastanti di occupazione, per la quale continuano ad esserci propinate statistiche false e “gonfiate”, a uso e consumo del trionfo dei governanti di turno. Statistiche che equiparano a occupazione il sistema di pagamento a Voucher o la marea di contratti instabili e provvisori, grandemente diffusi e totalmente in antitesi con qualsiasi principio costituzionale di diritto al lavoro, alla libertà personale e alla vita.
Inutile riferirsi alle statistiche ufficiali, perché la verità è sotto gli occhi di tutti e basterebbe aprire gli occhi per vederla. Giovani senza futuro e boom di 50enni che hanno perso il lavoro. Si continua a studiare soluzioni a problemi esterni. E non si analizza ciò che sta succedendo agli italiani. L’Italia è un Paese senza futuro, lo senti dire nella semplicità da chiunque, basta scendere dalla propria auto e fare un giro al mercato o su un autobus. Per rendersene conto, basterebbe fare ciò che faceva Socrate: andare al mercato e parlare con la gente. Basterebbe a capire appieno la gravità di ciò che sta accadendo nel nostro Paese. Solo che Socrate faceva queste cose, si prendeva tempo per la gente, perché era poco interessato alle proprie “tasche” e molto portato, per indole, in modo puro e disinteressato, alla comprensione delle persone, e al miglioramento delle loro conoscenze e della loro vita.
La verità è che l’Italia è un Paese malato. Oggi stesso gli ultimi dati ISTAT parlano di 1,6 milioni di famiglie italiane stabilmente, ormai da un paio d’anni, in stato di povertà assoluta. Significa 5 milioni di italiani. Significa il 10% della popolazione italiana. Siamo di fronte ad una tragedia di massa, che porterà certamente a catastrofi, presto e anche sul piano socio-politico, se si aspetta ancora a intervenire.
Ecco, chi emigra, differentemente da chi dovrebbe essere stato votato per pensarci, vede queste cose e ci pensa. Chi emigra vede Welfare che funzionano e senso di maggiore sicurezza per le strade. Chi emigra, nel 90% dei casi, non lo fa per fuggire, lo fa per salvarsi. E fa bene. Il restante 10% lo fa per mettere in piedi un’attiva imprenditoriale, che non sarà mangiata e massacrata da tasse ingiuste e irrispettose, messe come gogna sulla testa di chi lavora, tollerando chi ruba e non partecipa della vita pubblica. Oppure emigra per fare ricerca, o per sviluppare la professione per cui ha studiato, magari per 3000 euro al mese e la speranza di costruire un futuro per la propria famiglia, anziché per 600 euro da precario. In ogni caso, colui che emigra, emigra perché chi lo doveva proteggere, se n’è fregato del suo futuro e dei suoi diritti. Emigra perché non regge più i discorsi del ministro di turno, né la disparità di trattamento e diritti di cui sembrano godere certe categorie sociali, né questa ormai cronica impossibilità di trovare un lavoro dignitoso e in accordo con lo studio profuso o la propria competenza, dal dottore all’antennista, dal giovane in cerca di prima occupazione al ricercatore.
A questa gente bisognerebbe semplicemente dire: bravo. O brava. E poi stare zitti con rispetto; e impegnarsi sul serio a trovare una soluzione, affinché possa ritornare un giorno, o almeno non vedersi più costretta a partire. Una possibile soluzione, che mi sento di definire “vincente”, sarebbe di muovere le chiappe dal piedistallo e calarsi a dialogare con il popolo. Che poi è quello stesso popolo che ha costruito la Repubblica. Che ha ricreato l’Italia dalle ceneri del disastro. Perché, allora, ne valeva la pena.
Da italiano emigrato all’estero posso affermare a chi crede il contrario che, sebbene qualche ministro mostri talvolta strane incompatibilità con l’utilizzo dei propri neuroni, non è semplice emigrare, neppure per la mente più avanzata. Non è semplice radicarsi in un Paese straniero, imparare una nuova lingua e ri-costruire tutto da zero. E chiunque emigra, lo fa con la nostalgia di ciò che ha lasciato. E spesso la speranza di potere ritornare un giorno.
E di potersi impegnare per il suo Paese lontano. Attivamente, nella politica. Dal punto di vista di chi queste cose le conosce veramente, ed avrebbe la competenza per farlo. Se solo qualcuno glielo chiedesse.
La notizia buona è che la vecchia politica respira a stento, muove gli ultimi vagiti e, entro non molto tempo, sarà destinata a scomparire. Nel frattempo, auguriamoci che troppa parte sana di questo Paese non sia già definitivamente emigrata altrove.»