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È notizia di questi giorni che Maria De Filippi sarà al fianco di Conti nella kermesse sanremese .  La regina della tv commerciale in salsa trash approderà alla co-conduzione (senza percepire un compenso) del minestrone canoro, sempre fedele a se stesso nel quadretto italico del conformismo  e del pensiero unico.

Un pensiero unico dove anche lo scandalo  (Pippo Baudo docet) ha in sé una valvola di sicurezza studiata a tavolino.  Del resto la De Filippi sa cosa vuol dire fare televisione e possiede quell’eleganza innata di camminare a 12 centimetri di tacco su casi umani, emozioni svendute al tele marketing, amori telegenici a volte un po’ artificiali, ecc.. Soprattutto lei, un po’  fata e un po’ strega, è stata in grado di trasformare il belloccio o la belloccia di turno in un talento senza talento: “il Tronista”  non il “Trono di Spade”  non confondiamo,  qui non si combatte con la spada, ma con l’arma primitiva di una fisicità statica ed imbambolata, ma se non capisci al volo le ‘regole della casa ’ te ne vai con le pive nel sacco. Quindi addio ai sogni di gloria, agli sponsor, alle serate nei locali a 20 mila euro a botta, magari anche in nero, che tanto di sera non si nota. La fata De Filippi con la sua bacchetta analogica trasforma i rospi: depilati, palestrati, tatuati ,in principi azzurri, in fidanzati ideali, in talenti artificiali e artificiosi da hit parade. Fin qui nulla di male, perché un programma tv, qualunque esso sia, esiste in virtù di un pubblico e di una domanda.  Ma quale è oggi la domanda amletica ? Forse, Essere = Apparire e poi magari, di colpo scomparire nel nulla, colpiti da un incantesimo o da una maledizione?

La domanda che mi pongo è cosa ci trovi un certo tipo di pubblico in questi programmi? Forse la questione risiede nel bisogno di  emozioni  a distanza di sicurezza, analogiche, digitali, osservate ed esternate all’interno di un contenitore mediatico da cui ci si possa facilmente scollegare.  Per questo si è imposto negli ultimi anni un certo modo di fare  televisione che fa spettacolo con le persone comuni, ma soprattutto sulle persone comuni, sui loro problemi, sui loro difetti, sulle loro sventure, sui loro sogni, ecc….  Una Tv fatta da persone che per convenienza o vocazione desiderano essere i protagonisti con la loro vita privata o con altro. In fondo  aveva vaticinato bene Andy Warhol  dicendo che “nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti”,  ma quello che non ha detto l’artista americano è a quale prezzo. Il circo emotivo presenta i suoi giochi, le sue emozioni analogiche che sono reali, ma destinate a mutare o a spegnersi con un battito di ciglia o con un cambio di canale. Il pensiero va al grande Vatél,  celebre cuoco e maestro delle cerimonie del XVII secolo,  morto suicida forse perché aveva capito in cuor suo di essere maestro di un bel nulla, ma schiavo delle emozioni e del divertimento che lui stesso suscitava  con la sua arte. Il problema è che a fine spettacolo anche le luci più abbaglianti calano su una quieta disperazione.

Credo che sullo spettacolo delle emozioni da televendita e sulla svendita all’ingrosso del talento a prezzo di mercato, avesse capito molto l’artista australiano Keith Haring.  Haring (scomparso nel 1990) ha riservato alla televisione uno spazio molto grande nelle sue opere figurative; in particolare in uno dei suoi murales, egli rappresentò un televisore all’interno del quale prendeva forma un deretano umano dal quale uscivano tre tentatoli che finivano con il colpire una sagoma umana forandone la testa il cuore e tagliandone i genitali. Celebre anche l’uomo con la testa a forma di Tv. Credo che oggi più che mai Haring abbia intuito il senso controrivoluzionario della televisione che oggi per fortuna trova il suo più acerrimo antagonista nella Rete.   


Stefano Pica

(Articolo del 21 Gennaio 2017)