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MR Logo600x600 88681DALLA CRITICA DEL PRESENTE ALLA COSTRUZIONE DEL FUTURO.
LA PROPOSTA DEL MR PER L'AFFERMAZIONE DI UN NUOVO PARADIGMA


[NOTA BENE: In preparazione dell'Assemblea Generale MR del 24-25 novembre 2018, vengono proposte due Bozze/Ipotesi - parzialmente distinte, anche se riconciliabili in una ulteriore sintesi - di "Documento di indirizzo politico MR per il 2019", da offrire alla discussione e alla valutazione dei soci rooseveltiani riuniti in Assemblea Generale il prossimo fine settimana e poi ad un ulteriore lavorio preparatorio di Segreteria Generale e Presidenza MR, in vista di una definitiva stesura unitaria da approvare in una successiva Assemblea Generale rooseveltiana che avrà svolgimento a marzo 2019. Quella che segue è una prima Bozza/Ipotesi, aggiornata al 16 novembre 2018, frutto del lavoro collegiale di alcuni dirigenti MR]


AGENDA 

INTRODUZIONE
Ogni società si basa su principi fondanti che ne determinano la struttura e l’organizzazione.

Il paradigma dominante da qualche decennio, presso la società globale, è quello neoaristocratico e neoliberista, tutto incentrato sul perseguimento di alcuni astratti indicatori economicistici e su processi decisionali sostanzialmente tecnocratici ed elitari, anche quando mantengano le forme e i rituali della democrazia.

Partendo da questi presupposti ed accettando tali “indicatori”, le classi dirigenti globali hanno determinato la riduzione del benessere delle collettività, in favore dell’arricchimento dei pochi e dell’aumento spropositato delle disuguaglianze economiche e sociali.
Noi dei Movimento Roosevelt proponiamo una visione del mondo ed una scala valoriale molto diverse.

Noi del Movimento Roosevelt riteniamo che ciascun ente umano sia nato libero e uguale, sotto ogni cielo del pianeta, e che goda degli stessi diritti inalienabili descritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948).
Noi pensiamo che tali diritti vadano perseguiti, e realizzati, grazie ad istituzioni autenticamente democratiche e tramite una rappresentanza politica capace di usare economia e finanza come strumenti per creare benessere diffuso.

Il perseguimento di indicatori economicistici astratti non può mai sostituirsi alla ricerca del benessere e della felicità per tutti e per ciascuno.
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Ovunque esistano popoli oppressi (da qualunque tipo di dittatura, sia questa religiosa, militare, economica, sociale, ecc..) ci appare giusto e doveroso che istituzioni politiche internazionali (democraticamente legittimate) intervengano per garantire la tutela dei diritti personali e collettivi.

Con questo documento intendiamo tracciare una sintetica analisi sociologica, politologica ed economica che ci permetta di sviluppare le attività e i programmi dei dipartimenti del Movimento Roosevelt nel 2019. [˄]


ECONOMIA: PERSONE, NON MATEMATICA
Lo scopo dell’economia è quello di interpretare il comportamento dell’uomo nell’ambito della produzione e degli scambi di merci e servizi, in relazione alla società e all’ambiente naturale.
Dalla seconda metà del XIX secolo, l’economia ha subito il fascino delle grandi conquiste delle scienze fisiche, dette anche naturali, e poiché queste dovevano il loro successo al massiccio impiego della matematica, quest’ultima è stata utilizzata in modo invasivo e spesso a sproposito dagli economisti.

La matematica, con i propri modelli, può contribuire ad aumentare l’efficacia del pensiero, così come il linguaggio. Tuttavia, per quanto dotata di grande credibilità, non permette interpretazioni soggettive e resta quindi un semplice strumento ausiliario del pensiero umano.

Quando la matematica viene usata per dare credibilità alla propria tesi – o a delle ipotesi che credibilità non ne hanno – andiamo incontro a possibili mistificazioni della realtà.

È così avvenuto in passato, ed avviene anche al presente, che istituzioni nate con l’intento di favorire la lotta alla povertà e al sottosviluppo, quali la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, abbiano prescritto in realtà delle ricette macroeconomiche devastanti, che hanno impoverito interi Paesi, le loro economie e i loro ceti sociali e produttivi (si veda l’esempio sulla Grecia, discusso più avanti).

La visione di un mondo sociale che possa funzionare come una macchina, sulla scia di una interpretazione neopositivistica del modello scientifico applicato alla natura, lascia adito a forti dubbi, aporie e perplessità.
I grandi economisti classici come Smith, Ricardo e Marx non impiegarono prevalentemente modelli matematici per dare spiegazioni plausibili ai fenomeni economici e sociali. Nonostante ciò, lo stesso Marx venne criticato per anni dai “riformisti democratici” del suo tempo, i quali cercavano di uscire dal determinismo del cosiddetto “socialismo scientifico”. Quel riformismo ottocentesco diede, tra l’altro, origine al novecentesco socialismo liberale di Carlo Rosselli, una tra le fonti di ispirazione del Movimento Roosevelt.

Lo stesso Keynes, seppure profondo conoscitore della matematica, non permise di usare più di qualche applicazione dell’algebra elementare per poter dar corpo all’imponente opera che conosciamo. Così, pure una sua allieva, Joan Robinson, salita poi negli anni ’50 alla cattedra di Cambridge e Premio Nobel per l’Economia, prendeva atto e lamentava che i suoi colleghi economisti si trincerassero dietro siepi di algebra per coprire spesso la fragilità di contenuto di alcune argomentazioni accademiche.
Per dirla con le parole di un grande economista quale Gunnar Myrdal, oggi caduto nel dimenticatoio delle mode che cambiano: “l’oggetto di tutte le scienze sociali, in ultima istanza, è il comportamento umano. E “il comportamento umano non è costante come il moto dei corpi celesti o delle molecole. Dipende ed è determinato dal complesso delle condizioni di vita e delle istituzioni in cui si trovano gli individui e dai loro atteggiamenti, così come quelle condizioni di vita e quelle istituzioni che li hanno plasmati nell’atto stesso in cui vi reagivano” (G. Myrdal, “Controcorrente, Realtà di Oggi e Teorie di Ieri”, Laterza, Bari, 1973, pag. 144 e seg.).

C’è quindi urgente bisogno di uscire dai dogmi e dai modelli fissi del neoliberismo per riaccostare politiche monetarie ed economiche al benessere della collettività. [˄]


L’EVOLUZIONE DEL CAPITALIAMO
Il capitalismo nasce come reazione a forme di produzione in cui la proprietà e lo sfruttamento dei beni erano appannaggio di caste nobiliari chiuse ed elitarie, con scarsissime occasioni di attivare ascensori sociali.
In seguito alla scoperta del Nuovo Continente, il mito della nuova frontiera e della Land of opportunities contribuirono a liberare l’uomo dalla mentalità feudale e dal signoraggio classico (su ciò, vedi anche: Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori, Milano 2002).

Tuttavia, il capitalismo è stato anche, in diversi momenti storici, un sistema organizzato di sfruttamento spietato della forza-lavoro e delle risorse ambientali, di saccheggio delle risorse di altri Paesi e di concentrazione monopolistica o oligopolistica della ricchezza.

Per un verso, il capitalismo ha favorito come mai prima l'iniziativa e l'intraprendenza dei singoli, l'abbandono di privilegi arbitrari nell'attività economica, la produzione su larga scala di beni sempre nuovi, la progressiva liberazione dalla schiavitù del lavoro manuale (grazie alle macchine), la valorizzazione della ricchezza come giusta ricompensa all'impegno profuso e un benessere più ampiamente diffuso.
Per altro verso, in alcune sue varianti ha prodotto ferite profonde nella coscienza di interi popoli - sfruttati e non di rado sterminati - ha perpetuato disuguaglianze e lesione dei diritti, ha promosso l'egoismo, ha devastato l'ambiente e generato nuove forme di povertà, ha distrutto sul nascere forme di governo democratico nei Paesi del Terzo Mondo e ogni tentativo di vera indipendenza da parte dei leader locali, spesso fermati con l'eliminazione fisica.
Si pensi a Salvador Allende in Cile, vittima delle “sperimentazioni” neoliberiste del massone neoaristocratico Milton Friedman e del suo complice locale Augusto Pinochet, sotto l'egida della Ur-Lodge Three Eyes, come spiega Gioele Magaldi (Gioele Magaldi, Massoni: società a responsabilità illimitata, editore Chiarelettere, Milano 2014.) , a Patrice Lumumba in Congo, a Thomas Sankara in Burkina Faso, a Ken Saro Wiva in Nigeria o anche a Mu'ammar Gheddafi in Libia, che voleva introdurre una moneta panafricana al posto del franco coloniale francese (Le bombe di Sarkozy sulla moneta africana). Questi fatti storici vanno peraltro attentamente considerati nella valutazione dell’attuale situazione migratoria, perché è ad essi che si deve far risalire la situazione di miseria che ha messo in ginocchio le economie africane da cui fuggono i cosiddetti migranti “economici”.

Esistono quindi versioni di capitalismo orientate al profitto esclusivamente individuale, all'arricchimento senza regole, alla stabilità monetaria, alla privatizzazione dei beni comuni, e alla subordinazione dei diritti umani e sociali all'interesse economico.

Ma esiste anche un modello di capitalismo - quello social-liberale - orientato alla difesa della democrazia, alla tutela dei diritti sociali per tutti e per ciascuno, alla regolamentazione statale degli “spiriti animali” dell'economia (come li definiva John Maynard Keynes), alla solidarietà sociale, alla libertà d'impresa incorniciata anche nel quadro della sua utilità sociale, alla prosperità diffusa e alla piena occupazione.

Questo è il capitalismo ispirato alla teoria keynesiana, sul quale si fondarono la maggior parte delle democrazie nazionali europee del dopoguerra e la Costituzione italiana del '48. [˄]


IL RUOLO DELLA MASSONERIA NELL'INFLUENZARE POLITICA ED ECONOMIA
Una fondamentale chiave di lettura per capire l’evoluzione del capitalismo negli ultimi 50 anni è rappresentata dal libro Massoni: Società a responsabilità illimitata. La nascita delle Ur-Lodges, di Gioele Magaldi. Da questo libro emerge un quadro storico-politico assai diverso da quello comunemente rappresentato, che vede negli Stati i protagonisti delle vicende storiche e nella contrapposizione fra ideologie di destra e di sinistra l'essenza della dialettica politica. Il back-office del potere ci svela un'origine apolide più che nazionale ed esoterica più che politica dell'attuale globalizzazione neoliberista e ultra-finanziarizzata. Magaldi sostiene, sulla base di una gran mole di documenti provenienti dagli archivi riservati delle cosiddette Ur-Lodges, che esistono due livelli della Massoneria, uno pubblico e nazionale (le comunioni massoniche ordinarie, come – in Italia – il Grande Oriente d'Italia, la Gran Loggia d'Italia, la Gran Loggia regolare d’Italia, la Gran Loggia Madre Camea, ecc., che sono associazioni regolarmente registrate e dichiaratamente fedeli alla Costituzione) e uno coperto e sovranazionale, le Ur-Lodges, un network di super-logge che rappresentano l'élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di prestigio (moltissimi i politici di governo) iniziate per particolari doti individuali esoteriche e sapienziali e provenienti da ogni angolo del pianeta, la cui esistenza è sconosciuta ai più. Di queste super-logge, i vari club paramassonici, quali la Trilateral Commission, il Bilderberg Group, il CFR, il RIIA, ecc. sono solo l'espressione più visibile e aperta.

Benché la Massoneria sia stata l'artefice della modernità, dei processi di laicizzazione e costituzionalizzazione, della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani, fra le Ur-Lodges – che costituiscono il back-office del potere a livello internazionale – si distinguono quelle conservatrici (per esempio Edmund Burke, Joseph De Maistre, Compass Star-Rose, Pan Europa, Three Eyes, White Eagle, Hathor Pentalpha) e quelle progressiste (come Thomas Paine, Montesquieu, Chistopher Columbus, Ioannes, Hiram Rhodes Revels, Ghedullah), che hanno visioni e obiettivi divergenti e spesso opposti.

Mentre le Ur-Lodges progressiste continuano la tradizione democratica e libertaria della massoneria tradizionale, quelle conservatrici lavorano ad una restaurazione neoristocratica e oligarchica, il cui scopo è: “invertire il corso della storia, trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti. Aumentare a dismisura il proprio potere materiale mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e nazioni. Assurgere essi stessi, nell'incomprensione generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia iniziatico-spirituale dell'era globalizzata” (G. Magaldi, op. cit., pp. 31-32).

Chi oggi si dichiari sinceramente democratico, libertario e progressista non può che farsi carico di comprendere come le élites esoteriche conservatrici usino l’economia per guidare una involuzione antidemocratica di carattere neofeudale, e prepararsi ad organizzare una nuova lotta per l’emancipazione ed il benessere dei popoli. [˄]


IL CONTESTO ECONOMICO-FINANZIARIO
Il liberismo
Il modello liberista ha cominciato a creare squilibri dal 1971 quando, per volontà di potenti cenacoli rappresentati in prima persona dal massone neo-oligarchico Henry Kissinger, durante tutta la presidenza Nixon, il governo degli Stati Uniti ha favorito l’apertura ad un dialogo con la Cina.

La svolta economica per la Repubblica popolare cinese fu rappresentata dall’ingresso nell’ONU, al posto di Taiwan, dall’apertura della sua forza produttiva agli investimenti occidentali e dall’apertura del mercato occidentale alle esportazioni cinesi.

L’intesa sino-americana ha così reso la Cina un Paese che, da una posizione di sottosviluppo, si è avviato, con ritmi di crescita da due cifre ogni anno, a diventare la “fabbrica del mondo”.

Contestualmente, la politica industriale occidentale si è avviata verso una stagione di “delocalizzazione”, in ossequio ad una versione aggiornata del terzo millennio della teoria ricardiana del vantaggio comparato.

Varie industrie multinazionali hanno delocalizzato, da un lato riducendo i costi di produzione e dall’altra ristrutturando tutto il proprio settore manifatturiero, che fino a quel momento era localizzato in mercati che andavano verso una situazione di maturità dell’occupazione. In tal modo sono state compresse eventuali pretese di aumenti salariali.

Non condanniamo assolutamente il libero commercio tra nazioni e la globalizzazione di merci e capitali (purché accompagnata da glocalizzazione di diritti e democrazia), ma siamo convinti che questo possa, e debba, realizzarsi pienamente solo a parità di costi e tutele dei lavoratori nelle nazioni coinvolte negli scambi.
Una condizione di squilibrio è fonte di concorrenza sleale e svalutazione al ribasso delle condizioni dei lavoratori nei Paesi con più tutele sociali.

Il neoliberismo
Oggi, la fase di delocalizzazione liberista si può ulteriormente considerare superata, per danni e conseguenze sociali, dall’avvento del neoliberismo.

Viviamo oggi sotto l’egemonia di un paradigma economico-sociale, chiamato neoliberismo, che si è imposto ormai da molti decenni. Il neoliberismo, affermatosi già negli anni ’80, ha conosciuto un’accelerazione in seguito all’accordo di liberalizzazione del commercio mondiale WTO (World Trade Organization) siglato a Marrakech nel 1994.

Il neoliberismo antepone l’economia finanziaria all’economia reale e colloca in un ruolo sovraordinato l’economia, in toto, rispetto alla politica, alle istituzioni democratiche, alla giurisprudenza ed alla sovranità del popolo.

Per avere una misura di quanto questo modello economico, basato su una superfetazione dei mercati finanziari, sia completamente slegato dalla realtà, basti pensare al rapporto tra economia finanziaria ed economia reale.

Nel 2007 il PIL mondiale si aggirava intorno ai 65 mila miliardi di dollari ed il valore delle società quotate nelle borse valori del mondo raggiungeva i 63 mila miliardi di dollari.
Gli investimenti in prodotti derivati arrivavano però a 596 mila miliardi di dollari, oltre otto volte la dimensione dell’economia reale. Il valore totale delle transazioni in valute aveva raggiunto 1168 miliardi di dollari - ossia 17 volte il PIL mondiale.

Vi è poi da considerare la cosiddetta “finanza ombra” e la trattazione di quei derivati di credito OTC (over the counter) che non vengono trattati negli ambienti regolati delle borse mondiali, ma vengono negoziati direttamente dalle parti – banche e grandi imprese – sfuggendo in modo totale ed assoluto a qualsivoglia regolamentazione.
A dicembre 2011, l’ammontare degli OTC in circolazione nel mondo era di oltre 700 trilioni di dollari, oltre 10 volte il PIL mondiale (Egidio Rangone, Sulla Necessita’ di riconsiderare a fondo l’economia quale scienza sociale).

Con investimenti sempre più focalizzati nei mercati finanziari, l’economia reale ha sofferto e abbracciato i dogmi dell’austerity. Di fronte ad una superfetazione dei capitali finanziari - perfettamente legittima secondo l’ideologia neoliberista - gli Stati non avrebbero invece potuto creare le risorse necessarie al loro funzionamento, ed avrebbero piuttosto dovuto perpetuare costanti tagli alla spesa pubblica in nome di un pretestuoso pareggio di bilancio da conseguire ad ogni costo.

In una società costruita su questi presupposti, la politica è piegata ovunque alle richieste di una nuova élite globale, che ha di fatto sostituito la democrazia con una econocrazia. [˄]


IL CONTROLLO DEI MEDIA
Tutto questo non potrebbe essere possibile se la massa di miliardi di persone danneggiate da questo modello avesse la percezione esatta del problema.
Per scongiurare questo pericolo, le élites neoaristocratiche e neoliberiste praticano un vero e proprio controllo militare delle fonti di informazione, fino ad avvelenarle con vere e proprie fake news (storica quella della provetta esibita da Colin Powell alle Nazioni Unite nel 2003 nel suo discorso per giustificare l’invasione in Iraq con il pretesto che Saddam fosse in possesso di armi di distruzioni di massa, poi rivelatasi un clamoroso falso).
I grandi media sono in gran parte condizionati da proprietà appartenenti a queste élites, in grado di influire anche su organi di informazione di proprietà pubblica, che abbiano bisogno di finanziamenti e pubblicità per sopravvivere.

Allo scopo di evitare il formarsi di una coscienza sociale e politica contro questo modello “econocratico”, i media vengono direzionati su false flags e questioni che rappresentano una vera e propria distrazione di massa, facenti leva sulle ancestrali paure popolari quali la paura del diverso, la paura della miseria, la paura della povertà, la paura della malattia, la paura delle invasioni straniere. Tutte problematiche che riscontriamo in modo ossessivo nelle cronache dei media attuali, guarda caso proprietà dei … soliti noti. Quali? Coloro che hanno pilotato tutte le principali operazioni chi ci hanno derubati della nostra ricchezza, che hanno tradito e svenduto la democrazia reale a proprio esclusivo e immeritato vantaggio, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d'altro. Operazioni come le privatizzazioni degli anni '80 e quelle degli anni '90, il dilagare del neoliberismo, la cessione di sovranità monetaria (prima con la separazione fra Tesoro e Banca centrale e poi con il sistema dell'euro) e politica (con il Trattato di Maastricht, capolavoro neoliberista), la deindustrializzazione, la crisi della democrazia e del Welfare.
Soprattutto, appare chiaro che l'Europa dei tecnocrati e dell'euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall'Europa dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin dall'immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard Coudenhove-Kalergi, Jean Monnet e molti altri) per portare al potere un' élite economico-finanziaria neo-feudale. Il neoliberismo si è caratterizzato, dunque, come un'ideologia costruita appositamente per questo fine, cioè per travasare ricchezza dai poveri ai ricchi e per asservire gli Stati alle banche private mediante il debito, secondo il più tradizionale sistema imperialista e tenendo buone le masse con la favoletta del debito pubblico, della crisi, dei vincoli europei, del rapporto deficit-PIL, dell'austerity e infine dello spread. [˄]


IL RUOLO DELL'EUROPA
La Comunità Economica Europea (CEE), poi evolutasi in Unione Europea dopo la caduta del muro di Berlino e allargatasi ai paesi dell’ex blocco sovietico, nasce come grande spazio di libertà, prosperità e condivisione di diritti, dopo la tragedia delle due guerre mondiali del secolo scorso e sulle ali di un sogno delineato da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene. Un progetto ripreso in modo parziale e frammentario nei trattati di Roma del 1957.
L’UE soffre oggi di una spaventosa crisi di identità che non può essere sottaciuta nell’imminenza di nuove elezioni europee (maggio 2019).
Nel quasi ventennio fra i 1985 e il 2003, l’Europa ha rappresentato una speranza per milioni di giovani che l’hanno conosciuta grazie al programma Erasmus, e ad alcune istanze formalmente progressive di un Presidente come Jacques Delors, che affermava “L’Europe sera sociale ou ne sera pas” (= L’Europa sarà sociale o non sarà).
In quegli anni l’Europa ha sviluppato una sensibilità all’avanguardia mondiale per l’ambiente (direttive rifiuti e energia), standard di protezione sociale (salario minimo, espansione dei diritti) e valori umani.
Anche l’Unione Monetaria nello spirito di Delors era il completamento di una Unione dei diritti e delle politiche e economiche e sociali convergenti, ma non si capisce perché non si sia partiti dalla convergenza fiscale (aliquote delle imposte dirette, livello uguale per tutti dell’IVA, ecc.) per arrivare a quella monetaria. Quel processo che aveva toccato l’apice con la Convenzione Europea (insediata con la Dichiarazione di Laeken del 2001 e presieduta da Valery Giscard D’Estaing nel 2002), ha sofferto una imprevista battuta d’arresto dovuta al referendum francese (e poi quello olandese) che hanno bocciato la Costituzione Europea così come era scaturita dalla Convenzione.
L’Unione Monetaria è rimasta conseguentemente l’unica politica europea effettivamente implementata per molti anni, per poi degenerare in quelle inefficaci politiche di austerità che, con i loro parametri astratti a garanzia di una stabilità puramente finanziaria ed aritmetica, hanno quasi distrutto il tessuto produttivo e ridotto le tutele sociali di interi Paesi, fra cui il nostro.
Infatti le politiche della cosiddetta austerità hanno violato e contraddetto i principi fondamentali sui quali era nata l’Europa negli anni '50 e sui cui si era sviluppata- almeno formalmente- nei decenni successivi (specialmente, ripetiamolo) sotto Jacques Delors.
Ma tali politiche di austerità della cosiddetta Troika hanno contraddetto anche se stesse. Infatti, i parametri di stabilità decisi a tavolino da oscuri funzionari secondo cui il rapporto fra debito e PIL non deve superare il 60% e quello fra deficit annuale e PIL il 3%, potevano essere perseguiti sia agendo sulla diminuzione del numeratore (il debito), che sull’aumento del Denominatore (PIL). Ma siccome la Troika decise di imporre una applicazione totemica della riduzione del debito, privilegiando ideologicamente i tagli agli investimenti, questo determinò un crollo del PIL più che proporzionale rispetto alla riduzione del debito.1
Risultato: In Italia il rapporto debito PIL che era al 99,68% nel 2007, oggi è al 132%. In Grecia prima della cura della Troika il rapporto era al 110%. Dopo la cura è al 184%.
Ma perché tutta questa insistenza sui tagli anziché sugli investimenti e la crescita? È ovvio: per costringere i paesi indebitati a “dismettere”. Il vero obiettivo della finanza internazionale non è la stabilità della Grecia (o dell’Italia), ma l’acquisto a prezzi di saldo del loro patrimonio pubblico e privato, autostrade, ferrovie, aeroporti, Poste, banche, isole, alberghi, infrastrutture, aziende e quant’altro. [˄]


UN NUOVO NEW DEAL PER UN NUOVO CONTRATTO SOCIALE
Secondo i dogmi neoliberisti e allo scopo di rientrare nei parametri del patto di stabilità per la zona euro, è stato firmato un nuovo trattato nel 2012 - entrato in vigore nel 2018 - che prevede il “rientro programmato per i paesi che sono fuori dai parametri. Questo trattato è il cosiddetto Fiscal Compact, che (senza andare per le lunghe) prevede una serie di passi vincolanti (fra cui l’inserimento del pareggio di bilancio fra i principi costituzionali, cosa che il Parlamento italiano ha fatto alla quasi unanimità sotto Monti nel 2012, modificando gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione).
Adesso, però, dopo un decennio e più di follia ultraliberista, austerità autolesionista e adorazione totemica della logica suicida del debito, è venuto il momento di rivedere tali impegni alla luce di nuovi indicatori ispirati agli obiettivi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e al Manifesto di Ventotene (prosperità e benessere dei cittadini, qualità della vita e dell'ambiente, senso di comunità, grado di alfabetizzazione etc.).

Nel perseguire tale scopo, è utile considerare gli obiettivi socio economici ricavati dall'Agenda 2030 dell'ONU, con i suoi 17 sustainable development goals, incredibilmente sovrapponibili ai principi di Spinelli e compagni.

Quali sono questi 17 obiettivi ONU per il 2030?
  1. Eliminare la POVERTÀ
  2. Azzerare la FAME
  3. Benessere e SALUTE generalizzati
  4. ISTRUZIONE di alta qualità
  5. Effettiva parità fra UOMINI E DONNE
  6. ACQUA potabile e infrastrutture sanitarie ovunque
  7. ENERGIA pulita e accessibile
  8. LAVORO dignitoso per tutti nella crescita generalizzata
  9. INNOVAZIONE industriale e infrastrutturale
  10. Riduzione DISUGUAGLIANZA
  11. Città e comunità SOSTENIBILI
  12. PRODUZIONE E CONSUMO Responsabili
  13. Lotta al CAMBIAMENTO CLIMATICO
  14. Protezione della vita animale nei MARI
  15. Protezione della vita animale sulla TERRA
  16. PACE GIUSTIZIA E Istituzioni solide
  17. PARTNERSHIP GLOBALE per gli obiettivi
Tutte le azioni (e le relative spese) intese a perseguire questi obiettivi sono da considerarsi un unicum, una sorta di New Deal che deve avere la precedenza sui parametri puramente astratti e aritmetici del Fiscal Compact, elaborando un sistema di esenzioni e deroghe di tali spese dal computo relativo al rapporto fra deficit e PIL, che potranno essere applicate in via unilaterale o sulla base di appositi accordi di deroga come quello che è stato stipulato fra l’Europa e l’Italia per sottrarre al computo del rapporto deficit PIL le spese sostenute nel quadro degli interventi umanitari per il salvataggio e la cura dei migranti.

Se davanti a questi nobili obiettivi verranno nuovamente posti i fittizi limiti economici imposti da istituzioni controllate dai dogmi neoliberisti, piuttosto che dal volere e dall’interesse del popolo, si risponderà con gli insegnamenti provenienti dal recente passato. E a questo punto dovrà farsi avanti la proposta di un nuovo New Deal per il XXI secolo che rimetta l’Uomo al centro di politica ed economia, che dia forza e lustro a un nuovo contratto sociale, e che ribadisca che non ci può essere taxation without representation. [˄]


CONCLUSIONI
Il capitalismo avrebbe potuto assumere (e potrà ancora fare suo) il volto umano delineato da pensatori, economisti, politici e politologi come John Maynard Keynes, Franklin Delano Roosevelt, Eleanor Roosevelt, George Marshall, William Beveridge, John Fitzgerald Kennedy, Martin Luther King, John Rawls e Amartya Sen, ma ha invece assunto i maleodoranti panni neoliberisti, realizzati secondo quattro principi:
  • Marginalizzazione del fattore umano nei processi produttivi (e decisionali) per una economia ad altissima intensità finanziaria e a bassissima intensità occupazionale, nella quale l’essere umano perde di centralità, mentre ne acquisisce a dismisura il capitale finanziario
  • Sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, per minimizzare i costi cosiddetti “esterni” dei processi energetici e industriali, con devastante impatto ambientale sociale e climatico.
  • Transnazionalità: non ci sono stati neoliberisti e stati socialisti, non ci sono Paesi virtuosi e paesi “fannulloni”: ci sono solo élites apolidi dominanti e intere popolazioni dominate e asservite.
  • Controllo “militare” dei mass media per evitare la presa di coscienza collettiva, il dissenso organizzato e l’aspirazione del popolo alla sua sovranità.
Oggi è indispensabile tornare a parlare di democrazia, di uguaglianza delle opportunità, di giustizia e mobilità sociale e di sovranità del popolo. Una sovranità che va esercitata a livello municipale, cittadino, regionale, nazionale e comunitario o federale. Per poter realizzare tutto ciò, bisogna tornare ad anteporre il benessere collettivo ad astratti dogmi economicistici, completamente slegati dall’interesse popolare.

Inoltre, dobbiamo occuparci degli incombenti problemi ambientali e sociali causati dal neoliberismo negli ultimi anni.

Grazie alle nuove politiche europee sulla sostenibilità, l’economia circolare, la sharing economy, gli standard sociali e retributivi minimi, e grazie all’Agenda 2030 dell’ONU diventa possibile, per gli uomini di buona volontà, ristabilire il giusto rapporto fra economia, natura ed esseri umani, mettendo fine ad una deriva devastante per la coesione sociale, lo spirito di uguaglianza e il benessere sociale e ambientale su scala mondiale.

L’Italia e l’Europa devono occupare un ruolo centrale nel processo che porterà la società globale a riappropriarsi del proprio futuro, nel rispetto della dignità di tutti e di ciascuno. [˄]


Note
1 Per quanto riguarda l'unione monetaria, bisogna ricordare che il Trattato di Maastricht introduce non solo i criteri del rapporto deficit/ debito PIL, ma ben cinque criteri di convergenza, cioè i parametri rispetto ai quali i paesi devono essere in regola per essere ammessi alla terza fase e quindi per poter introdurre l'euro.
Lo scopo dei criteri di convergenza è quello di garantire che lo sviluppo economico all'interno dei Paesi che hanno adottato l'euro risulti equilibrato, senza provocare tensioni.
I cinque criteri di convergenza appaiono in un protocollo siglato a piè di pagina del Trattato di Maastricht.
- Il primo stabilisce che il debito pubblico non deve superare il 60 per cento del prodotto interno lordo.
- Il secondo: il disavanzo nei conti dello Stato non può superare il 3 per cento del prodotto interno lordo.
- Il terzo: l'inflazione deve essere contenuta entro il limite dell'1,5% della media dei migliori tre Stati membri.
- Il quarto: la moneta nazionale deve stare dentro le fluttuazioni previste dall'accordo di cambio con le altre monete europee.
- Il quinto: occorre rispettare i margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazione nei confronti della moneta di qualsiasi Stato membro. [˄]



(Articolo del 21 novembre 2018)




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