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MR Logo600x600 88681DALLA CRITICA DEL PRESENTE ALLA COSTRUZIONE DEL FUTURO.
LA PROPOSTA DEL MR PER L'AFFERMAZIONE DI UN NUOVO PARADIGMA


[NOTA BENE: In preparazione dell’Assemblea Generale MR del 24-25 novembre 2018, vengono proposte due Bozze/Ipotesi - parzialmente distinte, anche se riconciliabili in una ulteriore sintesi - di “Documento di indirizzo politico MR per il 2019”, da offrire alla discussione e alla valutazione dei soci rooseveltiani riuniti in Assemblea Generale il prossimo fine settimana e poi ad un ulteriore lavorio preparatorio di Segreteria Generale e Presidenza MR, in vista di una definitiva stesura unitaria da approvare in una successiva Assemblea Generale rooseveltiana che avrà svolgimento a marzo 2019. Quella che segue è una prima Bozza/Ipotesi, aggiornata al 16 novembre 2018, frutto del lavoro collegiale di alcuni dirigenti MR]


PREMESSA
Siamo ad una svolta epocale. Il modello di sviluppo capitalista, nell'attuale versione neoliberista, basato sulla supremazia del mercato, sull'energia fossile e sulla finanza speculativa, è entrato in crisi. Non si tratta di una crisi passeggera o contingente, ma di una crisi strutturale e probabilmente definitiva.
La logica del profitto estremo ha portato benefici a pochi grandi gruppi finanziari e a poche grandi multinazionali fossili, manifatturiere, chimiche, siderurgiche, a detrimento della quasi totalità del resto dell’umanità, ma così facendo ha praticamente distrutto il presupposto del mercato capitalista, ossia il potere d’acquisto di larghe masse di consumatori salariati accomodati ai margini dei processi produttivi e remunerati con le briciole dei proventi stratosferici del mercato globale.
Questo modello comincia ad entrare in crisi già negli anni Ottanta, con il prevalere dell'ultraliberismo ideologico guidato da Reagan e Thatcher. Il capitalismo poteva anche scegliere una via più umana (ad esempio quella indicata da Adriano Olivetti che diceva che “la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti, ma deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”) basata sulla valorizzazione del fattore umano rispetto alla remunerazione esclusiva del capitale finanziario. Il “capitalismo dal volto umano” di John Maynard Keynes vedeva come fine dell'economia non la stabilità monetaria e la concentrazione della ricchezza in poche mani, ma la piena occupazione e la dignità umana.

Invece, prevalse il modello neoliberista ispirato alle teorie della scuola di Chicago di Milton Friedman, basato fondamentalmente su 4 principi:
  1. Privatizzazioni dei beni e dei servizi pubblici e riduzione al minimo del ruolo riequilibratore dello Stato in economia, con il conseguente abbandono dei cittadini più deboli e con la marginalizzazione del fattore umano nei processi produttivi e decisionali;
  2. Deregolamentazione, ovvero abolizione di ogni vincolo al profitto privato, con il conseguente sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, per minimizzare i costi cosiddetti “esterni” dei processi energetici e industriali, con devastante impatto ambientale, sociale e climatico.
  3. Transnazionalità: nel mondo globalizzato, non ci sono stati capitalisti e stati “socialisti”, non ci sono Paesi virtuosi e paesi “fannulloni”: ci sono solo una minoranza apolide di ricchi sempre più ricchi e una maggioranza globale di poveri sempre più poveri.
  4. Controllo “militare” dei mass media per evitare la presa di coscienza collettiva e il dissenso organizzato e l’aspirazione del popolo alla sua sovranità.

IL CONTESTO STORICO
Il neoliberismo è diventato il modello economico dominante a partire dagli anni '80 del '900. Esso rappresenta un'evoluzione storica del capitalismo e del liberismo, che ne è la teoria economica. Sebbene i prodromi del capitalismo possano essere fatti risalire al Basso Medioevo e all'intraprendenza dei mercanti-imprenditori, esso si sviluppa in Occidente dopo la scoperta dell'America e nasce come reazione all’economia feudale sviluppatasi nel Vecchio Continente, in cui la proprietà e lo sfruttamento dei beni erano appannaggio di una casta che decideva l’accesso del resto delle persone a suo esclusivo arbitrio. In seguito alla scoperta del Nuovo Continente, il mito della nuova frontiera e della Land of opportunities contribuiscono a liberare l’uomo dalla mentalità feudale e dal signoraggio.1 
Il capitalismo, rispetto alla tradizionale economia della scarsità, rappresenta un sistema economico nuovo, fondato sulla razionalizzazione della produzione, che viene meccanizzata, sull'abbondanza di beni prodotti, sulla centralità del mercato e sull'iniziativa imprenditoriale. Esso ha consentito alle masse di raggiungere, dopo il trauma delle origini e la devastazione delle guerre mondiali, una progressiva agiatezza, che in Occidente si è accompagnata alla diffusione della democrazia e dei diritti civili, politici e sociali.
Tuttavia, esso è stato anche, specie agli inizi della Rivoluzione industriale, un sistema organizzato di sfruttamento spietato della forza-lavoro e delle risorse ambientali, di saccheggio coloniale delle risorse di altri Paesi e di concentrazione della ricchezza. Come Marx ha mostrato, il capitalismo porta con sé una fondamentale ambivalenza. La sua concentrazione sulla libertà del mercato da ogni influenza esterna e da ogni controllo statale e sul profitto come fine dell'attività economica, se da una parte ha favorito come mai prima l'iniziativa e l'intraprendenza dei singoli, l'abbandono di vincoli giuridici e di privilegi arbitrari nell'attività economica, la produzione su larga scala di beni sempre nuovi, la progressiva liberazione dalla schiavitù del lavoro manuale, grazie alle macchine, la valorizzazione della ricchezza come giusta ricompensa all'impegno profuso e un benessere più ampiamente diffuso, dall'altra ha prodotto ferite profonde nella coscienza di interi popoli, sfruttati e non di rado sterminati, ha perpetuato disuguaglianze e lesione dei diritti, ha promosso l'egoismo, ha devastato l'ambiente e generato nuove forme di povertà, ha distrutto sul nascere forme di governo democratico nei Paesi del Terzo Mondo e ogni tentativo di vera indipendenza da parte dei leader locali, spesso fermati con l'eliminazione fisica. Si pensi a Salvador Allende in Cile, vittima delle “sperimentazioni” neoliberiste del massone neoaristocratico Milton Friedman e del suo complice locale Augusto Pinochet, sotto l'egida della Ur-Lodge Three Eyes, come spiega Gioele Magaldi2, a Patrice Lumumba in Congo, a Thomas Sankara in Burkina Faso, a Ken Saro Wiva in Nigeria o anche a Mu'ammar Gheddafi in Libia, che voleva introdurre una moneta panafricana al posto del franco coloniale francese.3 Questi fatti storici vanno peraltro attentamente considerati nella valutazione dell’attuale situazione migratoria, perché è ad essi che si deve far risalire la situazione di miseria che ha messo in ginocchio le economie africane da cui fuggono i cosiddetti migranti “economici”, la cui sofferenza va considerata responsabilità storica delle economie occidentali al pari di quella dovuta a guerre e conflitti, nonché al cambiamento climatico.

Fra i due modelli possibili di capitalismo, quello social-liberale, orientato alla difesa della democrazia, alla tutela dei diritti sociali per tutti e per ciascuno, alla regolamentazione statale degli “spiriti animali” dell'economia (come li definiva Keynes), alla solidarietà sociale, alla libertà d'impresa incorniciata nel quadro della sua utilità sociale e non solo privata, alla prosperità diffusa e alla piena occupazione, che trovò espressione nella teoria keynesiana e nella Costituzione italiana del '48, e quello neoliberista, orientato al profitto esclusivamente individuale, all'arricchimento senza regole, alla stabilità monetaria, alla privatizzazione dei beni comuni, alla subordinazione dei diritti umani e sociali all'interesse economico, ha indubbiamente prevalso il secondo, che nella sua sostanza antidemocratica ha trovato ampia applicazione anche nei regimi dittatoriali, fascisti, comunisti o ex comunisti. L'esempio attuale più significativo ne è la Cina, ma la ricetta neoliberista ha guidato la disastrosa transizione al capitalismo dell'ex URSS.

Va precisato che il crepuscolo del modello economico centralizzato e verticistico del capitalismo fossile neoliberista non ha coinciso con l’ascesa del concorrente (o almeno apparentemente concorrente) socialismo reale, che anzi si è suicidato in una implosione incontenibile e non è riuscito a capitalizzare la crisi dell’altro estremo del mondo bipolare postbellico. La crisi del socialismo reale in realtà potrebbe essere vista come l’altra faccia di quella del capitalismo neoliberista: entrambi i modelli economici hanno messo il profitto ottenuto a discapito dell’ambiente e del benessere dei cittadini al centro e, nei paesi di economia pianificata, i mali del neoliberismo si sono manifestati in modo spesso anche più virulento che nei paesi occidentali. Basti pensare alla tragedia di Chernobyl o all’ascesa irresistibile di nuove oligarchie altrettanto fossili di quelle precedenti, quali quelle di Putin in Russia.

Una fondamentale chiave di lettura delle vicende qui rapidamente ricordate è rappresentata dal libro Massoni: Società a responsabilità illimitata. La nascita delle Ur-Lodges di Gioele Magaldi. Da questo libro emerge un quadro storico-politico assai diverso da quello comunemente rappresentato, che vede negli Stati i protagonisti delle vicende storiche e nella contrapposizione fra ideologie di destra e di sinistra l'essenza della dialettica politica. Il back-office del potere ci svela un'origine apolide più che nazionale ed esoterica più che politica dell'attuale globalizzazione neoliberista e ultra-finanziarizzata. Magaldi sostiene, sulla base di una gran mole di documenti provenienti dagli archivi riservati delle cosiddette Ur-Lodges, che esistono due livelli della Massoneria, uno pubblico e nazionale (le comunioni massoniche ordinarie, come – in Italia – il Grande Oriente d'Italia, la Gran Loggia d'Italia, la Gran Loggia regolare d’Italia, la Gran Loggia Madre Camea, ecc. che sono associazioni regolarmente registrate e dichiaratamente fedeli alla Costituzione) e uno coperto e sovranazionale, le Ur-Lodges, un network di super-logge che rappresentano l'élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di prestigio (moltissimi i politici di governo) iniziate per particolari doti individuali esoteriche e sapienziali e provenienti da ogni angolo del pianeta, la cui esistenza è sconosciuta ai più. Di queste super-logge, i vari club paramassonici, quali la Trilateral Commission, il Bilderberg Group, il Bohemian Club, il Royal Institute of International Affairs, il Council on Foreign Relations, ecc., sono solo l'espressione più visibile e aperta.

Benché la Massoneria sia stata l'artefice della modernità, dei processi di laicizzazione e costituzionalizzazione, della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani, fra le Ur-Lodges – che costituiscono il back-office del potere a livello internazionale – si distinguono quelle conservatrici (per esempio Edmund Burke, Joseph De Maistre, Compass Star-Rose, Pan Europa, Three Eyes, White Eagle, Hathor Pentalpha) e quelle progressiste (come Thomas Paine, Montesquieu, Chistopher Columbus, Ioannes, Hiram Rhodes Revels, Ghedullah), che hanno visioni e obiettivi divergenti e spesso opposti. Mentre le Ur-Lodges progressiste continuano la tradizione democratica e libertaria della massoneria tradizionale, quelle conservatrici lavorano ad una restaurazione neoaristocratica e oligarchica, il cui scopo è “invertire il corso della storia, trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti. Aumentare a dismisura il proprio potere materiale mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e nazioni. Assurgere essi stessi, nell'incomprensione generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia iniziatico-spirituale dell'era globalizzata” (G. Magaldi, op. cit., pp. 31-32).

In questo senso si può dire che la fine del bipolarismo e la crisi contemporanea e reciproca di Capitalismo fossile e Socialismo reale abbiano favorito l’emergere di un mondo monopolare dominato dalle multinazionali occidentali, russe, cinesi e arabe, a discapito dei propri cittadini, favorite dalle strategie delle Ur-Lodges conservatrici. Come si è espresso il sociologo David Harvey, “Se l'obiettivo era il ripristino del potere di classe delle élite, il neoliberismo era senz'altro la risposta giusta”.4 


IL CONTESTO ECONOMICO
Gli economisti Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati alle Ur-Lodges Three Eyes ed Edmund Burke; dal 1978 anche alla White Eagle. Fu grazie all'impulso di queste Ur-Lodges che Von Hayek e Friedman ottennero, nel 1974 e nel 1976 rispettivamente, il premio Nobel per l'Economia (che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di Svezia, ma dai banchieri svedesi). Il progetto era far diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il mainstream in economia. Nemico apparente era il socialismo, obiettivo vero era il keynesismo, teoria ampiamente accettata e artefice del boom economico (John Maynard Keynes era un massone progressista). Si voleva abbattere il “capitalismo dal volto umano”, che si era consolidato specie in Europa, con l'intervento regolatore dello Stato in economia e la diffusione del Welfare. Fu l'ideologia neoliberista ad ispirare la globalizzazione così come la conosciamo, con tutti i suoi tremendi squilibri e le sue enormi disuguaglianze, che fu programmata a tavolino dalle super-logge reazionarie.

L’attuale modello economico concentra ricchezza nelle mani di pochissimi gruppi e manager e impoverisce masse sempre crescenti di diseredati al di qua come al di là del Mediterraneo. Alcuni dati ricordati dall’economista napoletano Emiliano Brancaccio sono particolarmente significativi di cosa possa succedere quando la logica del profitto corporate e personale prenda il sopravvento come unica leva dell’agire economico:5 il rapporto fra il salario manageriale e quello dell’operaio nella FIAT di Valletta era di 1 a 20 (ossia il salario di Valletta era di venti volte superiore a quello medio dell’operaio della “sua” Fiat). Il rapporto fra il salario manageriale di un Marchionne, in tempi recenti, e il salario medio dell’operaio della Fiat attuale è di 1 a 66.000 (sessantaseimila!!!). Si è progressivamente delineato uno nuovo quadro di relazioni industriali basato sulla più sfacciata utilizzazione della competizione al ribasso dei diritti e al rialzo dei profitti in un nuovo e inedito, ma oggi prevalente ferocissimo darwinismo sociale.
Portando alle estreme conseguenze questa evoluzione si arriva all’attuale modello economico produttivo jobless, che se da un lato risponde alla esigenza (fondamentale per le élites dominanti) di eliminare la manodopera dal processo produttivo tagliandone il relativo costo economico e sociale grazie all’automazione, dall’altro però mina alla base le fondamenta del mercato capitalistico, perché elimina le masse di consumatori dotate del potere d’acquisto necessario a procurarsi i beni e servizi prodotti.
Fino a prova contraria, come dice Rifkin, le macchine non fanno la spesa al supermercato...
Il Capitalismo neoliberista dunque, al pari di un mostro mitologico, mangia se stesso per eccesso di voracità e entra definitivamente in crisi lasciando un mondo in preda a una crisi climatica, sociale, ambientale ed economica senza precedenti nella storia. Abbiamo dunque una percentuale irrisoria della popolazione mondiale che sta distruggendo le probabilità di sopravvivenza per il resto dell’Umanità.

Per avere una misura di quanto questo modello economico, indifferente al fattore umano e basato su una superfetazione dei mercati finanziari, sia completamente slegato dalla realtà, basti pensare al rapporto tra economia finanziaria ed economia reale. Nel 2007 il PIL mondiale si aggirava intorno ai 65 mila miliardi di dollari ed il valore delle società quotate nelle borse valori del mondo raggiungeva i 63 mila miliardi di dollari.
Gli investimenti in prodotti derivati arrivavano però a 596 mila miliardi di dollari, oltre otto volte la dimensione dell’economia reale. Il valore totale delle transazioni in valute aveva raggiunto 1168 miliardi di dollari - ossia 17 volte il PIL mondiale. Un'economia che produce denaro per pochi, ma non benessere per i più è lontanissima dalla nostra visione della società.

Il retroterra oligarchico dell'attuale modello economico va tenuto presente per ogni analisi economico-politica. Il neoliberismo si presenta come una “scienza esatta” dell'economia. Spesso incorniciate entro complessi modelli matematici, le teorizzazioni di Friedman e colleghi costituivano brillanti quanto inattendibili raffigurazioni della realtà, funzionali alla sostanziale mistificazione di essa dietro una cortina fumogena di apparente rigore. Se la matematica, dalla Rivoluzione scientifica, diventa il linguaggio stesso delle scienze, in economia essa può avere solo un ruolo ausiliario, di supporto alla chiarezza del pensiero e al rigore argomentativo. Lo scopo dell'economia dovrebbe essere comprendere e interpretare il comportamento dell'uomo nella dimensione economica.6 Essa è una scienza sociale, ovvero una conoscenza della complessità dell'agire umano. I maggiori economisti classici – Smith, Ricardo, Marx, perfino Keynes - ricorrevano assai poco alla matematica. Per dirla con le parole di un grande economista quale Gunnar Myrdal, oggi caduto nel dimenticatoio delle mode che cambiano: “l’oggetto di tutte le scienze sociali, in ultima istanza, è il comportamento umano. E il comportamento umano non è costante come il moto dei corpi celesti o delle molecole. Dipende ed è determinato dal complesso delle condizioni di vita e delle istituzioni in cui si trovano gli individui e dai loro atteggiamenti, così come quelle condizioni di vita e quelle istituzioni che li hanno plasmati nell’atto stesso in cui vi reagivano”.7 

Camuffate da ricette infallibili perché espresse in formule matematiche complesse, le soluzioni macroeconomiche neoliberiste hanno dominato le politiche delle grandi istituzioni internazionali, in particolare della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, generando quasi ovunque disastri sociali e politici, impoverimento e spostamento di ingenti ricchezze dai poveri ai ricchi, come largamente spiegato da Joseph Stiglitz8 e come vividamente esemplificato dal caso della Grecia. Tuttavia, il loro evidente fallimento rispetto agli obiettivi dichiarati non ha impedito che venissero costantemente riproposte come verità indiscutibili. Questa perseveranza nell'errore merita la massima attenzione e rafforza la conclusione che si tratti di un'impostazione ideologica e non scientifica dell'economia.


IL CONTESTO SOCIALE E POLITICO EUROPEO
Il neoliberismo è anche e soprattutto ideologia. Come ha scritto il sociologo Ulrich Beck, esso “è un virus del pensiero che ha colpito ormai tutti i partiti, tutte le sedi, tutte le istituzioni. Il principio su cui si basa non ha a che vedere solo con la politica dei profitti, ma sul fatto che tutti e tutto – politica, scienza, cultura – sono sottomessi al primato dell’economico. […] Una sorta di setta religiosa i cui seguaci e profeti non distribuiscono volantini alle uscite della metropolitana, ma annunciano la salvezza del mondo ad opera del mercato. Il globalismo neoliberale è a tale riguardo una manifestazione altamente politica, che si esprime però in modo completamente impolitico. Mancanza di politica come rivoluzione! L’idea di questo globalismo è: non si agisce, ma si ubbidisce alle leggi del mercato mondiale, le quali costringono a ridurre al minimo lo Stato (sociale) e la democrazia”.9 

Nella visione neoliberista, l'economia, anziché il mezzo per rendere prospera e soddisfacente la vita degli esseri umani, è il fine, l'orizzonte ultimo e il metro di valore di ogni attività umana. Considerando le presunte leggi infallibili dell'economia come le costanti dell'agire politico, la visione neoliberista sacrifica alla volontà del Mercato, divinità della nuova religione del denaro, la democrazia, i diritti, la libertà di scelta degli esseri umani e delle Nazioni sotto tutti i cieli del pianeta. Come ideologia, esso genera una falsa coscienza e una vera e propria antropologia fondata sull'egoismo, sul diritto del più forte, sul valore strumentale della vita umana e dell'ambiente naturale. Come disse chiaramente Margaret Thatcher, “L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima”.10 
L'ideologia neoliberista ha profondamente influenzato la legislazione e le politiche sociali, scolastiche, ambientali dei Paesi europei, sotto i governi di destra e di sinistra, producendo un'evidente torsione antidemocratica ed oligarchica nel nostro sistema di governo, come si evince considerando le modifiche via via apportate alla Costituzione italiana del '48, fino all'assurdo dell'equilibrio di bilancio in Costituzione, vera apoteosi del dogma neoliberista che subordina la politica all'economia, invece di subordinare l'economia alla politica e all'etica civile, come dovrebbe avvenire in democrazia.
Essa ha plasmato il linguaggio, contaminando ogni ambito della vita associata con termini economici, ha costruito descrizioni discutibili del mondo sociale, ha svalutato tutto ciò che è pubblico, comune, condiviso e partecipato dai cittadini. Individuare le mistificazioni prodotte da questa mentalità e disintossicare le coscienze dalle deformazioni economicistiche del neoliberismo dovrebbe essere uno degli obiettivi di un Movimento che si muove nell'orizzonte di un capitalismo keynesiano, social-liberale, democratico e fondato sui diritti umani e sociali, che trae ispirazione dalle riflessioni più avanzate di grandi uomini e donne, quali John Maynard Keynes, Franklin Delano Roosevelt, Eleanor Roosevelt, George Marshall, William Beveridge, John Fitzgerald Kennedy, Martin Luther King, John Rawls e Amartya Sen.

Nel 2019 ci saranno le elezioni europee. L'Europa rappresenta il nodo fondamentale nell'attuale contesto politico. La Comunità Economica Europea (CEE), poi evolutasi in Unione Europea, e dopo la caduta del muro di Berlino allargatasi ai paesi dell’ex blocco sovietico, nasce come grande spazio di libertà, prosperità e condivisione di diritti, dopo la tragedia delle due guerre mondiali del secolo scorso sulle ali di un sogno delineato da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, e ripreso in modo parziale e frammentario nei trattati di Roma del 1957.
L’UE oggi soffre oggi di una spaventosa crisi di identità che non può essere sottaciuta. Nel quasi ventennio fra i 1985 e il 2003, l’Europa ha rappresentato una speranza per milioni di giovani che l’hanno conosciuta grazie al programma Erasmus, e ad alcune istanze formalmente progressive di un Presidente come Jacques Delors, che affermava “L’Europe sera sociale ou ne sera pas” (= L’Europa sarà sociale o non sarà).
In quegli anni l’Europa ha sviluppato una sensibilità all’avanguardia mondiale per l’ambiente (direttive rifiuti e energia), standard di protezione sociale (salario minimo, espansione dei diritti) e valori umani.
Anche l’Unione Monetaria nello spirito di Delors era il completamento di una Unione dei diritti e delle politiche e economiche e sociali convergenti, ma non si capisce perché non si sia partiti dalla convergenza fiscale (aliquote delle imposte dirette, livello uguale per tutti dell’IVA, ecc.) per arrivare a quella monetaria. Quel processo che aveva toccato l’apice con la Convenzione Europea (insediata con la Dichiarazione di Laeken del 2001 e presieduta da Valery Giscard D’Estaing nel 2002), ha sofferto una imprevista battuta d’arresto dovuta al referendum francese (e poi quello olandese) che hanno bocciato la Costituzione Europea così come era scaturita dalla Convenzione.
L’Unione Monetaria è rimasta conseguentemente l’unica politica europea effettivamente implementata per molti anni, per poi degenerare in quelle inefficaci politiche di austerità che, con i loro parametri astratti a garanzia di una stabilità puramente finanziaria ed aritmetica, hanno quasi distrutto il tessuto produttivo e ridotto le tutele sociali di interi Paesi, fra cui il nostro.
Infatti le politiche della cosiddetta austerità hanno violato e contraddetto i principi fondamentali sui quali era nata l’Europa negli anni '50 e sui cui si era sviluppata- almeno formalmente- nei decenni successivi (specialmente, ripetiamolo) sotto Jacques Delors.
Ma tali politiche di austerità della cosiddetta Troika hanno contraddetto anche se stesse. Infatti, i parametri di stabilità decisi a tavolino da oscuri funzionari secondo cui il rapporto fra debito e PIL non deve superare il 60% e quello fra deficit annuale e PIL il 3%, potevano essere perseguiti sia agendo sulla diminuzione del numeratore (il debito), che sull’aumento del Denominatore (PIL). Ma siccome la troika decise di imporre una applicazione totemica della riduzione del debito, privilegiando ideologicamente i tagli agli investimenti, questo determinò un crollo del PIL più che proporzionale rispetto alla riduzione del debito .11 
Risultato: In Italia il rapporto debito PIL che era al 99,68% nel 2007, oggi è al 132%. In Grecia prima della cura della Troika il rapporto era al 110%. Dopo la cura è al 184%.
Ma perché tutta questa insistenza sui tagli anziché sugli investimenti e la crescita? È ovvio: per costringere i paesi indebitati a “dismettere”. Il vero obiettivo della finanza internazionale non è la stabilità della Grecia (o dell’Italia), ma l’acquisto a prezzi di saldo del loro patrimonio pubblico e privato, autostrade, ferrovie, aeroporti, Poste, banche, isole, alberghi, infrastrutture, aziende e quant’altro.
Possiamo dunque affermare che l’Europa ha giocato la partita dalla parte dei “cravattari” per spogliare i paesi debitori; quindi il giudizio su questa Europa non può che essere negativo. Il fatto è che o a brevissimo termine l'Europa vedrà il ritorno del primato della politica sullo strapotere della finanza apolide e sulla globalizzazione nelle versione neoliberista, che invece di comportare valore aggiunto conduce senza riserva alcuna ad una generale “glebalizzazione", oppure imploderà su se stessa in un fragoroso autogoal. Abbandonando gli ideali degli originari pensatori europeisti, i materiali manovratori non eletti della nomenclatura di Bruxelles anziché fare approdare il continente in porti politici, magari inizialmente rissosi ma strategicamente vincenti, hanno preferito costruire una Europa dei mercanti senza cuore e senza idee, un'Europa della finanza divenuta apolide nonché variabile indipendente del sistema economico reale, una Europa che così come è strutturata ha condotto alla distruzione delle classi più deboli, ivi compreso quel mondo delle PMI, fiore all'occhiello proprio del nostro Paese.

O l'Europa sarà una Europa dei popoli e politicamente unità o non sarà affatto. D'altronde, le potenti forze apolidi e sovranazionali richiamate prima, in grado di manovrare i governi sia dei Paesi emergenti che degli stessi Usa (in assenza di un globale riscatto democratico della classe politica in quanto tale) non aspettano altro che una fragorosa implosione del Vecchio Continente, per continuare a fare shopping e a dividerci in una controversia che diventerà sempre più una lotta tra poveri. Nulla di più nulla di meno.

Al tempo stesso è impossibile dimenticare l’Europa della Economia Circolare, della Sharing Economy, della sostenibilità ambientale e della decarbonizzazione del modello energetico. Un'Europa che sviluppi nuove tecnologie, sostenendo la ricerca, al fine di produrre in modo ecologicamente sostenibile per rendere migliore la vita di tutti, e tutelando beni pubblici e diritti sociali, sarebbe il sogno di molti cittadini europei. La falsa dicotomia europeismo/sovranismo si basa su un equivoco: da una parte, dimentica che, dietro la facciata comunitaria, si celano forti rivalità economiche e politiche fra Paesi aderenti e l'assenza di un'unione politica in forma federativa o confederativa; dall'altra, che rivendicare la sovranità popolare, politica, giuridica, economica non vuol dire rifiutare l'Europa o riesumare vecchie forme di nazionalismo anacronistico, ma fondarla su una base più solidamente democratica e partecipativa. Per l'Europa che verrà dovranno essere ripensati i Trattati europei o applicati nelle parti più nobili e la governance europea dovrà essere restituita al controllo democratico dei cittadini. Si può immaginare sia una formula politica che salvaguardi la sovranità popolare di ciascun Paese in un quadro paritario fra nazioni sovrane superiorem non recognoscentes (confederazione europea), all'interno di un'UE che esprima la comune coscienza europea e una politica condivisa, sia un processo di integrazione ancora più avanzato, in stile Stati Uniti d’Europa. Se ne può discutere. Uscire dal modello oligarchico neoliberista e approdare ad una Europa a gestione politica sostanzialmente democratica dovrà essere comunque il primo passo.


IL CONTROLLO DEI MEDIA E DELLE UNIVERSITÀ
Il predominio assoluto del modello neoliberista non sarebbe possibile se la massa di miliardi di persone danneggiate da questo modello avesse la percezione esatta del problema.
Per scongiurare questo pericolo, le élites finanziarie e fossili mondiali praticano un vero e proprio controllo militare delle fonti di informazione, fino a avvelenarle con vere e proprie fake news (storica quella della provetta esibita da Colin Powell alle Nazioni Unite nel 2003 nel suo discorso per giustificare l’invasione in Iraq con il pretesto che Saddam fosse in possesso di armi di distruzioni di massa, poi rivelatasi un clamoroso falso). Inoltre, finanziano lautamente la formazione accademica dei futuri esperti nei settori strategici della conoscenza, a partire dall'economia. L'ascesa del neoliberismo in un mondo accademico keynesiano si spiega anche con il cospicuo foraggiamento dei think tank e delle Università che lo abbracciavano.
I grandi media sono tutti condizionati da proprietà appartenenti alle grandi élites, perfino i media indipendenti o di proprietà pubblica che hanno bisogno di finanziamenti e pubblicità per sopravvivere. Il problema dell’indipendenza dei mezzi di informazione non può dunque essere eluso specialmente in un Paese che, come il nostro, ha affidato le proprie sorti per 20 anni (e ancora le affida) a personaggi in totale conflitto di interessi come, ad esempio, Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi; quest’ultimo monopolista dell’informazione privata, tuttora determinante nell’elezione dei vertici RAI, e presente con una forte minoranza di blocco nei processi decisionali della politica nazionale.
Allo scopo di evitare il formarsi di una coscienza sociale e politica contro questo modello economico criminale, i media vengono direzionati su false flags e questioni che rappresentano una vera e propria distrazione di massa, facenti leva sulle ancestrali paure popolari quali la paura del diverso, la paura della miseria, la paura della povertà, la paura della malattia, la paura delle invasioni straniere. Tutte problematiche che riscontriamo in modo ossessivo nelle cronache dei media attuali, controllati o posseduti da personaggi appartenenti ai gruppi di potere apolidi che hanno pilotato le principali operazioni che ci hanno derubati della nostra ricchezza, hanno tradito la Costituzione e svenduto la nostra vita e il nostro Paese a proprio esclusivo e immeritato vantaggio, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d'altro: operazioni come le privatizzazioni degli anni '80 e quelle degli anni '90, il dilagare del neoliberismo, la cessione di sovranità monetaria (prima con la separazione fra Tesoro e Banca centrale e poi con il sistema dell'euro) e politica (con il Trattato di Maastricht, capolavoro neoliberista), la deindustrializzazione, la crisi della democrazia e del Welfare. Soprattutto, appare chiaro che l'Europa dei tecnocrati e dell'euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall'Europa dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin dall'immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet) per portare al potere un' élite economico-finanziaria a danno delle democrazie europee. Il neoliberismo era un'ideologia costruita appositamente per questo fine, cioè per travasare ricchezza dai poveri ai ricchi e asservire gli Stati alle banche private mediante il debito, secondo il più tradizionale sistema imperialista, tenendo buone le masse con la favoletta del debito pubblico, della crisi, dei vincoli europei, del rapporto deficit-PIL, dell'austerity e infine dello spread.12 
La riduzione dei fondi alle Università e alla ricerca, l'assurda politica della competizione fra Atenei e fra scuole, l'impoverimento del sistema di istruzione, la sua subordinazione a logiche aziendali del tutto estranee allo spirito e alla lettera della Costituzione, appaiono funzionali alla perpetuazione del modello neoliberista e all'inconsapevolezza delle masse.


LA PROPOSTA DEL MR
Allo scopo di rientrare nei parametri del patto di stabilità per la zona euro, è stato firmato un nuovo trattato nel 2012, entrato in vigore quest’anno, che prevede il “rientro programmato” per i Paesi che sono fuori dai parametri. Questo trattato è il cosiddetto Fiscal Compact, che (senza andare per le lunghe) prevede una serie di passi vincolanti (fra cui l’inserimento del pareggio di bilancio fra i principi costituzionali cosa che l'Italia ha fatto alla quasi unanimità sotto Monti nel 2012, modificando gli l’articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione).
Adesso, però, dopo un decennio e più di follia ultraliberista, austerità autolesionista e adorazione totemica della logica suicida del debito, è venuto il momento di rivedere tali impegni alla luce di nuovi indicatori ispirati alla Costituzione italiana del '48, alla Dichiarazione universale dei diritti umani, agli obiettivi del Manifesto di Ventotene menzionati prima (prosperità e benessere dei cittadini, qualità della vita e dell'ambiente, senso di Comunità grado di alfabetizzazione etc.), ma soprattutto alla luce degli obiettivi socio economici ricavati dall'Agenda 2030 dell'ONU con i suoi 17 sustainable development goals, incredibilmente sovrapponibili ai principi di Spinelli e compagni.

Quali sono questi 17 obiettivi ONU per il 2030?
  1. Eliminare la POVERTÀ
  2. Azzerare la FAME
  3. Benessere e SALUTE generalizzati
  4. ISTRUZIONE di alta qualità
  5. Effettiva parità fra UOMINI E DONNE
  6. ACQUA potabile e infrastrutture sanitarie ovunque
  7. ENERGIA pulita e accessibile
  8. LAVORO dignitoso per tutti nella crescita generalizzata
  9. INNOVAZIONE industriale e infrastrutturale
  10. Riduzione DISUGUAGLIANZA
  11. Città e comunità SOSTENIBILI
  12. PRODUZIONE E CONSUMO Responsabili
  13. Piena collaborazione umana, economica e tecnologica tra i popoli per affrontare i cambiamenti climatici, i problemi idrici e le emergenze dell’evoluzione ambientale
  14. Protezione della vita animale nei MARI
  15. Protezione della vita animale sulla TERRA
  16. PACE GIUSTIZIA E Istituzioni solide
  17. PARTNERSHIP GLOBALE per gli obiettivi
Partendo da queste indicazioni, che rispondono ad una visione democratica e social-liberale del capitalismo, il Movimento Roosevelt propone l'idea di un New Deal post-keynesiano, che risponda alle esigenze autentiche dei cittadini europei. Perciò proponiamo che tutte le azioni (e le relative spese) intese a perseguire questi obiettivi siano da considerarsi un unicum, che deve avere la precedenza sui parametri puramente astratti e aritmetici del Fiscal Compact, elaborando un sistema di esenzioni e deroghe di tali spese dal computo relativo al rapporto fra deficit e PIL, che potranno essere applicate in via unilaterale o sulla base di appositi accordi di deroga come quello che è stato stipulato fra l’Europa e l’Italia per sottrarre al computo del rapporto deficit PIL le spese sostenute nel quadro degli interventi umanitari per il salvataggio e la cura dei migranti.
Su questo tema potrà essere costituito un'apposita Commissione nel MR.

Questi obiettivi mirano a restituire all’essere umano e al cittadino la sua sovranità, in particolare la sovranità energetica, quella alimentare e quella economica, oltre a quella giuridico-politica.
Una boccata di aria pura dopo quasi 30 anni di follia ultraliberista, fossile, speculativa, che si è impadronita dell'economia reale, condizionando la politica a tutti i livelli: dal livello comunitario, dove il sogno spinelliano e delorsiano di una Europa esportatrice di diritti, benessere e prosperità ha lasciato posto all'incubo del debito e della Troika, fino al più piccolo comune, immobilizzato da assurdi criteri finanziari che ignorano i diritti dei cittadini, i valori fondanti della Comunità Europea e perfino gli obiettivi di sviluppo sostenibile dettati dall'ONU con l'Agenda 2030 (a parte la quota di energia da fonti rinnovabili, per la quale l'Italia ha già superato l'obiettivo fissato per il 2020).

Ma oggi grazie alle nuove politiche europee sulla sostenibilità, l’economia circolare, la sharing economy, gli standard sociali e retributivi minimi, e all’Agenda 2030 dell’ONU diventa possibile per gli uomini di buona volontà ristabilire il giusto rapporto fra economia, natura ed esseri umani, mettendo fine alla una deriva devastante per la coesione sociale, lo spirito di uguaglianza e il benessere umano sociale e ambientale su scala mondiale.
  • Che ruolo può e deve giocare l’Italia in questo processo, a partire da questo 2019 in cui è di scena l’Europa con la discussione collettiva per le Elezioni continentali?
  • Che cosa ci offre di valido l'Europa e che cosa invece non è più tollerabile?
  • Come conciliare sovranità popolare e spirito europeo?
  • Quali proposte politiche ci consentirebbero di traghettare l'Italia e l'Europa verso un nuovo paradigma economico, sociale, politico e ambientale?


Note
1
Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori, Milano 2002. [˄]
2 Gioele Magaldi, Massoni: società a responsabilità illimitata, Chiarelettere, Milano 2014. [˄]
3  Le bombe di Sarkozy sulla moneta africana [˄]
4 D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, Milano 2005, p. 106. [˄]
5 Emiliano Brancaccio Contro l'apertura indiscriminata dei mercati LIBERAZIONE 23 settembre 2010 [˄]
6 Si veda l'articolo di Egidio Rangone, Sulla necessità di riconsiderare a fondo l'economia quale scienza sociale. [˄]
7 G. Myrdal, Controcorrente. Realtà di Oggi e Teorie di Ieri, Laterza, Bari 1973, pag. 144 e seg. [˄]
8 J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino 2002. Sintesi disponibile nella Biblioteca virtuale MR. [˄]
9 U. Beck, Che cos'è la globalizzazione, Carocci Editore, Roma 1999, pag. 146. [˄]
10 Margaret Thatcher, intervista a "The Sunday Times", 1° maggio 1981. [˄]
11 Per quanto riguarda l'unione monetaria, bisogna ricordare che il Trattato di Maastricht introduce non solo i criteri del rapporto deficit/ debito PIL, ma ben cinque criteri di convergenza, cioè i parametri rispetto ai quali i paesi devono essere in regola per essere ammessi alla terza fase e quindi per poter introdurre l'euro.
Lo scopo dei criteri di convergenza è quello di garantire che lo sviluppo economico all'interno dei Paesi che hanno adottato l'euro risulti equilibrato, senza provocare tensioni.
I cinque criteri di convergenza appaiono in un protocollo siglato a piè di pagina del Trattato di Maastricht.
- Il primo stabilisce che il debito pubblico non deve superare il 60 per cento del prodotto interno lordo.
- Il secondo: il disavanzo nei conti dello Stato non può superare il 3 per cento del prodotto interno lordo.
- Il terzo: l'inflazione deve essere contenuta entro il limite dell'1,5% della media dei migliori tre Stati membri.
- Il quarto: la moneta nazionale deve stare dentro le fluttuazioni previste dall'accordo di cambio con le altre monete europee.
- Il quinto: occorre rispettare i margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazione nei confronti della moneta di qualsiasi Stato membro. [˄]
12 Patrizia Scanu, Il colpo di Stato delle élite. Monopoli privati, neoliberismo e massoneria neoaristocratica. [˄]



(Articolo del 21 novembre 2018)
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