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La conferenza Cop21 di Parigi si è conclusa.

Al di là dei dei facili e illusori toni trionfalistici di chi vuole fare apparire una vittoria l'accordo raggiunto e del pessimismo di matrice tradizionale ambientalista sulla pochezza delle decisioni prese, ritengo che qualche considerazione in più vada fatta.

Guardando a ciò che è successo nel recente passato è indubbio che qualcosa si stia muovendo riguardo alla presa di coscienza dei grandi rischi che gli effetti dei cambiamenti climatici causati dall'uomo stanno recando al mondo, al pianeta, alle persone; per la prima volta nei mesi scorsi si è assistito a chiare e forti prese di posizione di un Papa e di un Presidente degli Stati Uniti d'America, eventi mai accaduti prima e di indubbia importanza.

Il fatto che l'accordo formale di Parigi, benché per molti versi ancora poco aggressivo e coraggioso, sia stato raggiunto e sottoscritto da tutti i paesi partecipanti è da considerare un elemento positivo ed equivale ad una ufficiale ammissione che il tempo di agire sia arrivato e non sia più rinviabile.

Il risultato raggiunto nella conferenza parigina è, però, da leggere in termini positivi solo se sarà effettivamente il punto di partenza per una nuova fase di progettualità globale economica ed ecologica, il lavoro da fare sarà lungo e faticoso.

Gli interessi che ruotano introno ai carboni fossili e al petrolio sono ancora enormi e continueranno ad essere un forte ostacolo al cambiamento, così come le resistenze legate al ricatto del lavoro in ambienti sindacali poco lungimiranti.

Se si cade nell'errore di considerare l'accordo di Parigi un arrivo e non una partenza si rischia di non aver compreso appieno la complessità delle azioni da affrontare nei prossimi anni, partendo da subito.

Economia ed ecologia dovranno sempre più unirsi, dialogare in senso figurato ed integrarsi in nuovi modelli di vita e di sviluppo, non è più pensabile un'economia che non tenga conto in modo serio delle problematiche ambientali, così come un ecologismo ed un ambientalismo ideologico che non abbiano in considerazione degli sviluppi e dei sani interessi economici.

Le nuove generazioni sono irrequiete, fremono, criticano la situazione attuale, capiscono che il pericolo è reale per la loro generazione e per quelle dei loro figli, questo è un fattore che potrà essere determinante a spingere le classi politiche dirigenti a mantenere gli impegni presi a Parigi, ad accelerare le azioni concrete da intraprendere, a pensare ad un nuova era che lasci alle spalle il carbone e che, partendo dalle energie rinnovabili, ridisegni alcuni aspetti nei modi di vita futuri.

Per questo ognuno di noi sarà chiamato a fare la propria parte.

Giorgio Mosca