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Se il tubercolo della manioca
Resta per molto tempo esposto al sole
Si indurisce e non si ammorbidisce
Più nell’acqua
(Proverbio Lari, gruppo etnico africano)

Se nel precedente articolo abbiamo dato uno sguardo alla natura del Movimento Roosevelt e abbiamo suggerito che tale natura si dovrà tradurre in prassi, mutevoli a seconda dei contesti, con il presente articolo invece vorrei continuare l’indagine, solo accennata nel primo articolo, sull’essenza dell’educazione. Per fare ciò mi avvarrò anche delle tesi del mio docente di Pedagogia Generale, prof. Daniele Loro. Perchè fare questa ricerca? Perchè è necessario che chi voglia farsi alfiere di una iniziativa di natura politico-pedagogica sappia, a modo suo, rispondere alla domanda: ‘che cos’è ‘educazione’?
Occorre in primo luogo riconoscere che l’educazione ha una sua realtà specifica e costitutiva, dunque una sua essenza, in mancanza della quale ogni azione educativa sarebbe in balìa di realtà ad essa esterne, pronte a condizionarne e a strumentalizzarne la funzione a proprio vantaggio. Oggigiorno questo rischio è palpabile, vista la crisi in cui essa versa: occorrerà, in futuri interventi, fare delle disamine anche su questo aspetto; per oggi limitiamoci a dichiarare che al centro della crisi di senso dell’educazione vi è la mancanza di ideali.

L’educazione ha un campo d’azione vastissimo: si pensi solo al rapporto che intercorre tra genitore e figlio, tra fratello e sorella, tra cittadino e società, tra nonno e nipote, tra professore e alunno, tra educatore e migranti, malati psichiatrici, disabili, anziani, orfani, tra apprendista e professionista e, perchè no, tra neofita e maestro spirituale. Insomma c’è qualcosa di trasversale, di sempre presente, in tali contesti educativi anche profondamente diversi. Quel qualcosa, che risiede tra le pieghe del fatto educativo in sè, è l’essenza dell’educazione, reale e inoggettivabile. E’ a questo punto che intervengono le teorie pedagogiche, le speculazioni concettuali, le quali tentano di dare un significato all’educazione nel suo complesso, mediando quindi tra l’aspetto empirico e quello ontologico. Questa visione che pretende di assegnare all’essenza dell’educazione una realltà ontologica anteriore alle sue manifestazioni può essere chiamata realismo educativo. Perchè è importante fare queste precisazioni? Perchè affermare la validità del realismo educativo comporta ammettere che l’educazione è un fatto inemendabile.
In poche parole, l’educazione esiste come esistono i fiori. Possiamo tentare di catalogarli ma loro esistono già prima della catalogazione. Possiamo abbracciare qualsiasi teoria del mondo, ma le nostre percezioni sono inemendabili. Esistono prima del senso che gli diamo. L’educazione “ha le sue leggi” strutturali e le sua dinamiche evolutive, anche prima che la riflessione pedagogica ne dia una determinazione concettuale.
Se c’è un limite con il quale l’educatore deve fare i conti, questo è dato dalla realtà dell’educando. Qui si aprirebbe un capitolo interessante, personalmente il preferito, che ha a che fare con l’ambiguità, con l’indeterminatezza, con l’imprevedibilità dell’educazione. Devo fare capire a mio figlio che questa cosa è importante, ma lui non la vuole imparare. Fino a che punto posso spingermi per fargli capire che è importante? E se forse non è vero che è così importante? E se invece lo è davvero? Esiste un limite invalicabile nell’educazione che è la libertà dell’educando. Oltre di essa non stiamo più parlando di educazione. Ma torneremo in altri articoli su questi aspetti che meritano sicuramente un miglior approfondimento.

Eravamo arrivati al punto in cui abbiamo affermato che l’educazione ha una dimensione essenziale, permanente e una fattuale, empirica, contestualizzata. In che modo interagiscono i due livelli? Il rapporto tra fatto ed essenza si esplica per via simbolica. Io posso provare a parlarvi dell’essenza dell’educazione, ma forse un proverbio di una tribù africana che parla di come la crescita della manioca si faccia nel suolo, e che quindi bisogna vegliare a che le talee siano ben ricoperte di terra affinché i tubercoli non restino eccessivamente al sole, perchè in tal caso non si ammorbiderebbero più immergendoli nell’acqua, ebbene forse tale proverbio mi può aiutare nella mia impresa educativa.
In altre parole, ogni azione educativa concreta, oltre ad avere un suo proprio significato fattuale, si offre come una realtà che porta a pensare ad un altro livello della realtà educativa; livello che non può essere sperimentato direttamente, ma che può essere pensato e compreso proprio attraverso la mediazione simbolica rappresentata dalla realtà concreta. Ma il fatto che voi capiate ciò a cui mi riferisco non è automatico, dipende, oltre che dal linguaggio che utilizzo, dal vostro atteggiamento interpretativo il quale dipende dal grado di intenzionalità che anima la conoscenza di chi interpreta il proverbio in questione.

A tal proposito il rooseveltiano Gianfranco Carpeoro scrive nel suo ‘Summa symbolica’: “Quindi esiste un mondo universale di conoscenza simbolica, tradotto nel nostro presente da un ulteriore mondo costituito dal linguaggio con cui tale conoscenza può essere a noi trasmessa. Ma la funzione del simbolo è anche quella di ricongiungere nel nostro cervello la funzione cognitiva decodificante della percezione della realtà, situata nell’emisfero sinistro, con la funzione emozionale, fondata sul riconoscimento intuitivo del contenuto tramite la memoria ancestrale, somma di tutte le micromemorie individuali dei nostri atomi, tipica dell’emisfero destro del nostro cervello.” (pp. 16-17, Edizioni L’Età dell’Acquario, 2017)
Senza perderci in spiegazioni troppo tecniche, l’approccio simbolico all’educazione permette di andare oltre il fatto educativo in sè. Il proverbio Lari non è solo un segno della conoscenza agricola, ma è anche simbolo dell’essenza dell’educazione. E visto che la profondità del simbolo è inesauribile, con un po’ di sforzo, possiamo pensare addirittura all’educazione come categoria dell’esistenza umana, accanto ad altre grandi categorie come quelle culturali, sociali, politiche, economiche, giuridiche, artistiche, religiose, etc.. L’ipotesi quindi è quella di considerare l’educazione, quindi anche la prassi rooseveltiana (è stato recentemente annunciato l'approssimarsi del convegno milanese sulla figura di Olof Palme), non come semplice “vissuto”, ma come una grande “esperienza”, perchè richiede la presenza del pensiero nella forma della riflessione, che in tal modo modifica il vissuto in “vissuto consapevole”. Dobbiamo renderci conto che è questo ciò a cui ambisce e ambirà il Movimento Roosevelt in ogni suo azione meta-partitica esplicata negli spazi reali e virtuali: creare esperienze democratico-progressiste. Ma cos’è ‘esperienza’?
Continua...